martedì 25 dicembre 2007

COMING OUT COI GENITORI E PRUDENZA GAY

L’ho scritto, lo ripeto e non mi stancherò mai di ripeterlo: qualunque cosa dicano gli altri, non smetterò mai di pensare come un gay che si riferisce a se stesso e ad altri gay in termini soprattutto di singoli e non di gruppo, quando sto in chat con i ragazzi io parlo con persone vere, diversissime l’una dall’altra, e non con “un gay”. In sostanza cerco di vedere le cose essenzialmente dal punto di vista del singolo e non dal punto di vista dei gay come gruppo. Anch’io, qualche volta, quando parlo dei gay dico “noi”, ma quando parlo del gruppo che si è creato intorno a questo blog e dico “noi” lo dico in modo molto diverso, è un noi più forte, è un noi che deriva dall’intrecciarsi di rapporti personali forti e da una reciproca conoscenza che non è più ormai tanto superficiale. Fatta questa premessa vengo al punto: il coming out. Ho già espresso più volte il mio parere in proposito ma ci tengo moltissimo a sottolineare che ogni tentativo di semplificare la questione, di non vederla come cruciale e problematica nella vita di un ragazzo gay è un tentativo di deresponsabilizzazione che può provocare e provoca spessissimo in realtà danni irreparabili. E cercherò di spiegare che cosa intendo. Parto da un commento di Loki a “Natale Gay 2001”. In sostanza Loki dice, a mio giudizio, una cosa verissima e cioè che il vero coming out è quello che si fa con i genitori, perché per un ragazzo, l’accettazione da parte dei genitori è la base sulla quale costruire in modo libero e senza patemi una vita gay in cui esiste anche una dimensione di calore familiare. Nel romanzo gay “Andy”, che è una storia vera, non ci sono solo due protagonisti ma ce ne sono quattro: oltre a Marco e ad Andy, ci sono anche i genitori di Marco che hanno nella vicenda, che lo ripeto, è una vicenda reale, un’importanza fondamentale. Andy è stato rifiutato dalla sua famiglia, già condizionata da mille contraddizioni, e questo fatto ha indotto in lui un stato di totale insicurezza affettiva. Anche i primi contatti con Marco saranno difficili, ma fin dall’inizio i genitori di Marco faranno di tutto per accogliere Andy come un figlio e Andy sarà sostanzialmente adottato dai genitori di Marco e scoprirà quanta sicurezza affettiva può dare ad un ragazzo il calore di una famiglia che gli vuole bene. Il rapporto tra Andy e i genitori di Marco è un rapporto profondo e, di fatto, la presenza dei genitori di Marco è il terreno necessario perché il rapporto tra Marco e Andy possa crescere in modo sereno. Portare a casa il proprio ragazzo e vedere che non si creano situazioni di disagio ma che l’ambiente è affettuoso e caldo è una cosa che rappresenta un sogno per ogni ragazzo gay. Ma nel romanzo si vede chiaramente anche il comportamento dei genitori di Andy, figlio della madre ma non del marito della madre, che pure Andy chiama papà, Andy all’interno della sua famiglia era stato considerato nonostante tutto abbastanza bene, quando era piccolo, ma poi i rapporti con il patrigno si erano deteriorati e Andy aveva cominciato ad usare il suo essere gay dichiarato come un’arma per mettere in difficoltà il patrigno di fronte ai suoi amici. Il comportamenti dei genitori di fronte alla presa di coscienza che il figlio è gay, sia che la cosa sia avvenuta attraverso un coming out vero e proprio sia che sia avvenuta per altre strade, sono imprevedibili. Un ragazzo siciliano, chiamiamolo Alessandro, mi ha raccontato in chat come è avvenuto il suo coming out con i genitori. Un giorno erano a tavola tutti e tre e il padre gli ha detto: “Adesso ti dirò una cosa e ci tengo molto a dirtela, quando ero ragazzo, fino ai 22 anni io mi sentivo gay, avevo un ragazzo ed ero felice, poi ho conosciuto tua madre e ho trovato la mia strada... ma quando ero gay ero felice di esserlo” Dopo questa dichiarazione Alessandro ha fatto il suo coming out e dalla domenica successiva Alessandro, il ragazzo di Alessandro e i genitori di Alessandro hanno preso l’abitudine di pranzare insieme nei giorni di festa. Alessandro era un ragazzo felice e nella sua felicità i genitori avevano una parte determinante. Sempre rifacendomi al commento di Loki che parla di timori di perdere in contatto affettivo con i genitori, vorrei raccontare in breve una storia vera, quanto mai significativa. Un ragazzo di Padova, chiamiamolo Marco, all’età di 23 anni, non essendosi mai dichiarato con nessuno, pensò di farlo con la famiglia. Al primo momento trovò una reazione molto positiva: “Per noi non cambia nulla, sei nostro figlio e ti vorremo sempre bene” ma poi, lentamente, giorno dopo giorno, come in uno stillicidio terribile, Marco cominciò a percepite atmosfere strane. Marco aveva un ragazzo al quale voleva bene, propose ai genitori di conoscerlo, ma gli risposero che forse non era il caso e che loro non volevano intromettersi: Marco disse: “Ma io con lui ho parlato e per lui sta bene, non è un’intromissione...” ma la risposta dei genitori fu fredda, non lo ostacolavano ma non volevano parlare con lui del suo ragazzo o del suo possibile futuro con lui, quando accadeva gli dicevano di stare attento perché la gente è cattiva. I genitori di Marco non lo hanno mai costretto, nemmeno in modo dolce, ad una terapia psicologica, non si sono mai impicciati in modo invasivo della vita di Marco, non hanno mai fatto domande nemmeno quando Marco non rientrava a casa. Marco si è sentito ospite di un albergo, ha cominciato a non uscire dalla sua camera, a mangiare fuori ogni volta che poteva e, lentamente (ci sono voluti due anni), i rapporti con i genitori sono arrivati alla rottura e Marco si è sentito rinfacciare cose che non avrebbe mai immaginato di sentirsi dire dai suoi, tipo: “Noi un sostegno economico te lo daremo sempre ma non ci devi coinvolgere negli affari tuoi” dove l’espressione “affari tuoi” era detta in tono di sottolineatura, o ancora: “Qui non ce lo puoi portare.” Marco aveva appena finito gli studi, si era laureato in Ingegneria e aveva avuto diverse proposte di lavoro, alcune e non da poco a Padova, ma Marco ha accettato un lavoro a Milano ed è andato vivere lì col suo ragazzo che, per seguirlo, ha abbandonato il suo lavoro a Padova e ne ha trovato uno a Milano con une retribuzione nettamente inferiore. I genitori di Marco lo chiamano solo per le feste e in quei momenti il dialogo è imbarazzante. Marco non a se i genitori gli vogliano ancora bene ma certo non fanno nulla per dimostrarglielo. Quando parlo con Marco la nota negativa è una sola: la totale perdita del rapporto affettivo sostanziale con i genitori. Vorrebbe chiamarli e li andrebbe volentieri a trovare, se ci potesse andare col suo ragazzo, ma sa che questo non sarà mai possibile, si sente amato comunque almeno un po’, ma non per quello che è ma “nonostante il suo essere gay”. Una terza situazione l’accenno soltanto: un ragazzo di Cosenza ha parlato chiaro con la madre che lo ha accettato in modo serio, ma la madre lo ha sconsigliato nel moto più radicale di dirlo al padre e la madre ora ha paura che il marito scopra come stanno le cose perché, a parte la reazione verso il figlio, teme di essere accusata dal marito di averlo tenuto deliberatamente al di fuori. La prudenza non è mai troppa e per sbagliare c’è sempre tempo.

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