martedì 4 dicembre 2007

CIAO RITTER

Ciao Ritter,
non credo che ci sia bisogno di dire che le puntualizzazioni del tuo ultimo commento sono graditissime, quando mi dici che qui ti senti a casa tua mi fai un bellissimo regalo! ... ti ringrazio di nuovo dei tuoi commenti che risvegliano veramente la discussione e spero di leggerne molti altri, naturalmente compatibilmente con i tuoi impegni. Ma adesso vengo al punto... Riporto alla lettera le tue parole che faccio mie: “La domanda che mi faccio e che di riflesso faccio a questo punto non è un inno all'edonismo, ma è in modo improprio un atto di fede verso la vita. Ha senso (è GIUSTO?) dover soffocare i propri sentimenti, dover fare atto di abiura verso se stessi - che è davvero questa l'unica cosa contro natura - rinunciare al vivere serenamente un amore e rinunciare anche solo alla speranza di una vita felice (o che ci si avvicini)... per chi o cosa?” Credo che questa domanda risuoni spesso nel cervello di tantissimi gay che vogliono vivere onestamente la loro vita che, si badi bene, non porta danno a nessuno. Io aggiungerei che solo intendendo il bene e il male sulla base di una ipotetica legge di Dio o di natura può essere pensabile condannare l’omosessualità in quanto tale, perché essa, in sé, cioè quando è libera da inganni e prevaricazioni, non fa del male a nessuno, se male è, è un male che non provoca sofferenza. Solo seguendo una concezione formalistica (conformità o meno a una norma astratta) l’essere gay può essere ritenuto male, se si adotta invece un criterio di tipo sostanziale, per cui è male ciò che provoca sofferenza, e non ciò che è formalmente proibito, non c’è assolutamente spazio per alcuna condanna dell’essere gay. Naturalmente una valutazione morale su base sostanziale può facilmente essere bollata come relativismo da chi preferisce il principio di autorità alla coscienza individuale. Grazie Ritter, mi hai dato la possibilità di fare una ulteriore puntualizzazione.

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