venerdì 21 novembre 2014

GAY E STEREOTIPI DI ORIGINE MEDICA

Riporto qui di seguito il breve saggio che ho preposto al “Romanzo di un invertito nato” da poco pubblicato della Biblioteca di Progetto Gay:
Michel Foucault, nell’anno accademico 1974-75 e precisamente da gennaio a marzo 1975, tenne al Collège de France un corso intitolato Gli Anormali.[1]
Foucault affronta il problema degli individui pericolosi, che nel XIX secolo erano chiamati anormali e analizza largamente il fenomeno della medicalizzazione della sessualità in Francia nella seconda metà dell’800. La sessualità era diventata oggetto di studio della medicina legale e dell’antropologia criminale.
Auguste Ambroise Tardieu (1818 – 1879) medico legale e criminologo francese, presidente della Accademia Nazionale di Medicina e professore di Medicina legale all’Università di Parigi, si occupò di pedofilia, di violenza sessuale e in genere di reati di libidine. Scrisse un libro sugli attentati ai buoni costumi,[2] che tra il 1857 e il 1878 vedrà ben sei successive edizioni. Proprio in questo libro si trova una descrizione dei caratteri fisici dei pederasti (questo è il termine che usa Tardieu per indicare gli omosessuali) e in particolare delle cosiddette zie:
La caratteristica esteriore dei pederasti
Il carattere dei pederasti, di quelli soprattutto che per passione o per calcolo cercano e attirano gli uomini, si manifesta spesso, all’esterno, nel loro modo di vestire, nella loro andatura e nei loro gusti, che riflettono in qualche modo la perversione contro natura delle loro propensioni sessuali.
Se questo non si osserva sempre, è comunque tanto frequente da meritare di essere segnalato: ed è d’altra parte risaputo da tutti quelli che sono stati messi in un certo senso a osservare un gran numero di quei pederasti ai quali si applica il nome di zie.
I capelli ricci, la pelle imbellettata, il collo scoperto, il corpo fasciato in modo da fare risaltare le forme. Le dita, le orecchie, il petto carichi di gioielli, tutta la persona che esala l’odore dei profumi più penetranti e in mano un fazzoletto, dei fiori o qualche merletto, questa è la fisionomia strana, ributtante e a buon diritto sospetta, che tradisce i pederasti. Un tratto non meno caratteristico che ho osservato cento volte, è il contrasto di questa falsa eleganza e di questo culto esteriore della persona con una sordida sporcizia che basterebbe essa sola a tenersi a distanza da questi miserabili.”[3]
Tardieu considera l’omosessuale un vero criminale dal quale ci si deve difendere, e insegna che gli omosessuali maschi passivi sono identificabili da alcune caratteristiche fisiche:
“I segni della pederastia passiva che successivamente esamineremo sono lo sviluppo eccessivo dei glutei, la deformazione imbutiforme dell’ano, il rilassamento dello sfintere, la cancellazione delle pieghe, le creste e le escrescenze che circondano l’ano, la dilatazione estrema dell’orifizio anale, l’incapacità di contenere le feci, le ulcere, le ragadi, le emorroidi, le fistole, la blenorragia rettale, la sifilide, i corpi estranei introdotti nell’ano”.[4]
Per lui gli omosessuali sono pericolosi sovvertitori dell’ordine sociale. Tardieu considera gli omosessuali “la feccia del mondo più vile” e associa sistematicamente l’omosessualità al crimine. Tradieu, lungi dall’essere un vero uomo di scienza, si dimostra succube di incredibili pregiudizi religiosi, e il suo insegnamento finirà per diffondere una radicale omofobia nella classe medica francese.
Nelle descrizioni di Tardieu il lettore del XXI secolo non faticherà a ritrovare i più comuni pregiudizi sugli omosessuali, tuttora molto diffusi.
Cesare Lombroso (1835-1909) non è da meno di Tardieu nel diffondere pregiudizi pseudo-scientifici che sono divenuti luoghi comuni: un uomo che, tra i 15 e il 17 anni, si lascia crescere i capelli, li orna con forcine o pettini, veste attillato o con abiti femminili, scopre il collo e i fianchi, si guarda allo specchio pavoneggiandosi, storpia il proprio nome al femminile, ruba un anello per indossarlo e si interessa d’arte, ha molta probabilità di diventare omosessuale. Allo stesso modo, una bambina che manifesta passione per i giochi maschili, per i vestiti da uomo, che – divenuta fanciulla – ama fumare sigari, ballare con le donne, ubriacarsi, andare a cavallo, addirittura fare a pugni, che disdegna i lavori d’ago, si masturba, vuole fare l’attrice (o la suora) mostra segni preoccupanti.
Alexandre Lacassagne (1843-1924), professore alla facoltà di medicina di Lione, si allontana dall’atavismo di Lombroso. Lacassagne sostiene che c’è una “implicazione mutua tra l’individuo che commette l’atto delittuoso e la società che lo patisce”. Lacassagne dice che se è vero che il criminale è un “microbo” che deve essere eliminato, quel microbo “non ha importanza se non trova un brodo che lo faccia crescere”.[5]
È proprio con Lacassagne che si passa dall’idea della omosessualità come vizio o come circostanza criminale all’idea della omosessualità come patologia; con lui, l’inversione sessuale diventerà una presenza frequente negli archivi di Antropologia criminale, che però, a dispetto del nome, non si limitano al mero aspetto criminologico ma allargano il discorso a situazioni di interesse clinico anche se prive di implicazioni medico legali. La denominazione Archivi di Antropologia criminale è sintetica e impropria, la denominazione completa Archives d’Anthropologie criminelle ed de psychologie normale et pathologique ne evidenzia molto meglio l’ambito almeno in parte innovativo.
Va tenuto presente che l’omosessualità nel secondo Ottocento, in Francia, non emerge attraverso altri canali e arriva alle orecchie della classe medica, in pratica, esclusivamente attraverso l’opera di medici legali e di studiosi di antropologia criminale, che se ne occupano non come tale, ma come circostanza di delitti o di comportamenti patologici emergenti nell’esercizio della psichiatria.
Nell’Ottocento l’omosessualità non congiunta con aspetti criminali o patologici, di fatto, non è minimamente conosciuta, cioè non esiste una vera sociologia della omosessualità e, proprio per questo, i modelli di personalità e di comportamento omosessuale elaborati dalla psichiatria e dell’antropologia criminale finiscono per essere impropriamente generalizzati e riferiti a tutti gli omosessuali. Nascono così gli stereotipi di origine medica sulla omosessualità, che in pratica derivano da una conoscenza dell’omosessualità relativa solo a situazioni patologiche o criminali.
La documentazione sulla omosessualità non criminale e non patologica è rarissima nel secondo Ottocento Francese e per questo i medici la ricercano e la studiano ma sempre con l’ottica deformante della patologia nascosta e della medicalizzazione della sessualità. L’idea di omosessualità come variante normale della sessualità umana è ancora lontanissima.
Zola e il Roman d’un inverti-né
Nel 1889 Émile Zola riceve, in forma anonima, una lunga confessione di un omosessuale italiano, un ragazzo di 23 anni di estrazione sociale molto alta. La confessione è contenuta in quattro documenti inviati a brevissima distanza uno dall’altro, un giorno o poco più. Dalla lettura di quei documenti si evince con chiarezza che il ragazzo italiano intendeva fornire a Zola lo spunto e anche la documentazione necessaria per scrivere un romanzo dedicato alla omosessualità. Zola è perplesso ma crede che il pubblico e la critica lo aggredirebbero se veramente scrivesse un tale romanzo. Inizialmente rielabora forse parzialmente il manoscritto, che poi resta però in un cassetto della sua scrivania fino al 1893, quando conosce il Dr. Georges Saint-Paul (1870-1937), un giovane medico laureatosi a Lione nel 1892, allora ventitreenne e molto interessato all’antropologia criminale, e gli consegna il manoscritto perché lo pubblichi negli Archivi di Antropologia criminale, e il testo viene effettivamente pubblicato da Saint-Paul negli Archivi nel 1895.[6]
Nel 1896 esce a Parigi nella collezione Tares et poisons, per i tipi dell’editore Georges Carré, il libro “Perversion et perversité sexuelles – Une enquête médicale sur l’inversion. Notes et documents. Le roman d’un inverti-né. Le procès Wilde. La guérison et la prophylaxie de l’inversion.” del Dr. Laupts, con la prefazione di Émile Zola.[7]
Il testo del Roman d’un inverti-né era stato redatto originariamente tutto in Francese, in realtà in un Francese piuttosto approssimativo e con qualche scorrettezza ortografica. Nell’edizione a stampa, come accadeva nell’Ottocento, i brani contenenti riferimento sessuali espliciti appaiono il latino.
Il Dr. Laupts non è che uno pseudonimo del Dr. Georges Saint-Paul.
Nel paragrafo successivo riporto, tradotta da me, la prefazione di Émile Zola a Le roman d’un inverti-né, che è in realtà una lettera di risposta inviata al Dr. Laupts.
La Prefazione di Emile Zola
Dr Laupts, Lione.
Egregio Dottore,
Non trovo nulla di male, al contrario, nel fatto che voi pubblichiate Il Romanzo di un invertito, ed io sono veramente felice che voi, in quanto scienziato, possiate fare quello che un semplice scrittore come me non ha osato fare.
Quando, ormai alcuni anni fa, ho ricevuto questo documento così curioso, sono rimasto colpito dal grande interesse medico e sociale che presentava. Mi ha toccato con la sua assoluta sincerità, perché ci si sente la fiamma e quasi l’eloquenza della verità. Tenete presente che il giovane uomo che si confessa scrive in una lingua che non è la sua; e ditemi se non arriva, in certi passaggi, allo stile emozionato dei sentimenti profondamente provati ed espressi? È una confessione totale, ingenua, spontanea, che ben pochi uomini hanno osato fare, qualità che la rendono veramente preziosa da diversi punti di vista. E così, proprio quando pensavo che la pubblicazione potesse essere utile avevo avuto inizialmente il desiderio di utilizzare il manoscritto, di renderlo accessibile al pubblico in una forma che ho cercato in vano, cosa che alla fine mi ha fatto abbandonare il progetto.
Mi trovavo allora nei momenti più sgradevoli della mia battaglia letteraria, la critica mi trattava ogni giorno come un criminale, capace di tutti i vizi e di tutte le dissolutezze; e mi vedete voi in quell’epoca farmi editore responsabile di questo Romanzo di un invertito? Mi avrebbero accusato subito di avere inventato la trama di tutte le mie opere per corruzione personale. E poi sarei stato necessariamente condannato per avere visto in tutta la questione solo una bassa speculazione sugli istinti più ripugnanti. E che clamore se mi fossi permesso di dire che nessun argomento è più serio e più triste, che lì si trova una piaga molto più frequente e profonda di quanto si creda e che la cosa migliore per guarire le piaghe è studiarle, farle conoscere e prendersene cura.
Ma il caso ha voluto, mio caro dottore, che, discutendo una sera insieme, noi venimmo a parlare di questo male umano e sociale delle perversioni sessuali. E vi affidai il documento che dormiva in uno dei miei cassetti, ed ecco che il documento può alla fine venire alla luce, dalle mani di un medico, di uno scienziato, che non potrà essere accusato di cercare lo scandalo.
In un’altra lettera privata, che ho ricevuto più o meno nel medesimo periodo e che sfortunatamente non ho ritrovato, uno sfortunato mi aveva mandato il grido più acuto di dolore umano che io abbia mai udito. Si proibiva di cedere a degli amori abominevoli, e si chiedeva il perché del disprezzo di tutti, il perché dei tribunali pronti a colpirlo, se lui portava dentro di sé, nella sua carne, il disgusto per la donna e la passione per l’uomo. Mai un indemoniato, mai un corpo umano consegnato alle fatalità sconosciuta del desiderio ha urlato così spaventosamente la sua miseria. Questa lettera, me ne ricordo, mi aveva profondamente turbato e nel Romanzo di un invertito la situazione non è forse la stessa con una più felice incoscienza? Non si assiste forse a una vero caso clinico, a una esitazione, ad un mezzo errore della natura? Nulla è più tragico, secondo me, nulla ha più bisogno di un approfondimento e di un rimedio, se ne esiste uno.
Nel mistero della concezione, così oscuro, si pensa a questo? Nasce un bambino: perché un maschietto, perché una bambina? Non si sa. Ma quale complicazione di oscurità e di miseria, se la natura ha un attimo di incertezza, se il maschietto nasce a metà femminuccia e se la bambina nasce a metà maschietto! I fatti sono lì, nella vita di ogni giorno. L’incertezza può cominciare dal semplice aspetto fisico, dalle grandi linee del carattere: l’uomo effeminato, delicato, rammollito; la donna mascolina, violenta, senza tenerezza. E prosegue fino alla mostruosità costatata, l’ermafroditismo degli organi, i sentimenti e le passioni contro natura. Certo la morale e la giustizia hanno ragione ad intervenire, perché a loro tocca la difesa della pace pubblica. Ma, alla fine, con che diritto, se la volontà è in parte abolita? Non si condanna un gobbo per nascita, perché è gobbo. Perché disprezzare un uomo che agisce come una donna, se è nato per metà donna?
Naturalmente, mio caro dottore, non intendo nemmeno porre il problema. Mi accontento di indicare le ragioni che mi hanno fatto desiderare la pubblicazione del Romanzo di un invertito. Forse questo ispirerà un po’ di pietà e un po’ di equità per certi miserabili. E poi tutto quello che riguarda il sesso riguarda la stessa vita sociale. Un invertito è un disorganizzatore della famiglia, della nazione, dell’umanità. L’uomo e la donna sono certamente qua giù per fare dei bambini, ed essi uccidono la vita il giorno in cui non fanno più quello che è necessario per farne.
Médan, 25 giugno 1895.
Cordialmente vostro Émile Zola
Zola e l’omosessualità
Come vedremo seguendo il testo del Romanzo di un invertito, Zola, come aveva fatto prima di lui Balzac, accenna anche alla omosessualità nei suoi romanzi, ma quasi sempre in chiave negativa. L’influenza di Tardieu e dei suoi pregiudizi verso l’omosessualità è evidente nella Prefazione al Romanzo di un invertito. Il rischio del pubblico scandalo che Zola adduce come scusante al fatto di non aver dato seguito alle aspettative del ragazzo italiano, nasconde probabilmente dei pregiudizi molto radicati, paradossalmente anche qui di origine religiosa, che emergono dai toni sensazionalistici, dall’idea di difendere la morale e la società dagli omosessuali, distruttori di famiglie e della stessa società civile e dalla finale compassione verso quei miserabili.
Il Dr. Saint-Paul nel 1910, dopo la morte di Zola, scrive:
“La vista degli invertiti e soprattutto il loro contatto erano sgraditi a Zola. Ho parlato di loro nel mondo, mi disse un giorno, ma nello stringere loro la mano provo una repulsione istintiva, che faccio fatica a controllare. La prima volta che discutemmo di inversione sessuale, mi venne alla labbra una domanda assolutamente naturale: Perché non avete trattato dell’inversione, perché non consacrate all’inversione uno dei vostri romanzi? Varrebbe la pena di affrontare l’argomento. Zola non mi diede mai una risposta precisa. Mi dichiarò che senza dubbio non aveva mai osato.”[8]
Tuttavia esistono elementi, nell’opera stessa di Zola, che lasciano pensare che la sua posizione nei confronti della omosessualità fosse in realtà assai più ambigua e complessa di una semplice repulsione istintiva o di una valutazione di opportunità nei rapporti tra autore, pubblico e la critica.
Nel 1892 Zola pubblica il XIX volume della serie Les Rougon-Macquart, (Storia naturale e sociale di una famiglia sotto il secondo impero), col titolo La Débâcle (La Disfatta).[9] La pubblicazione precede probabilmente l’incontro tra Zola e il Dr. Sain-Paul e contiene degli elementi che lasciano pensare che effettivamente Zola avesse fatto uso del Roman d’un inverti, come suggerisce un documentato articolo di Michael Rosenfeld.[10]
Ne La Débâcle, Jean Macquart, già protagonista di La Terre, uno dei più violenti romanzi della serie dei Rougon-Macquart, dopo aver perso la moglie e appunto la terra si arruola per la campagna del 1870 col grado di caporale. I soldati lo rispettano per il suo buon senso e per il suo modo bonario di esercitare l’autorità. Le vicende ruotano intorno al crollo del secondo impero, ma affrontano anche il tema dell’amicizia amorosa, più che della omosessualità in senso stretto, nell’esercito.
Il caporale Jean Macquart, un contadino che vorrebbe una Francia in cui regnassero l’ordine e il buon senso, ha ai suoi ordini un solato, Maurice Levasseur, un borghese intellettuale che sogna la fine delle ingiustizie e la rivoluzione.
Maurice sente un’attrazione verso Jean ma dice a sé stesso che il suo caporale non lo vorrà mai perché “lui non è come me”. Tra i due si arriva ben presto agli insulti:
“sì, è proprio questo, io sono un contadino mentre voi… voi siete un signore! Ed è per questo che siete un porco! uno sporco maiale”[11]
Ma dopo Maurice offre da bere ai compagni col permesso di Jean, e quando Maurice viene ferito a un piede, Jean si prende cura di lui, e i due si riavvicinano rapidamente. Poche pagine più tardi, tra i due sembra esserci una complicità e una tenerezza molto forte:
“Maurice si abbandonò sul suo braccio e si lasciò portare come un bambino. Mai braccia di donna gli avevano così scaldato il cuore. Nel crollo di tutto, in mezzo a questa miseria estrema, col la morte in faccia, quello era per lui un delizioso conforto, nel sentire un essere che lo amava, che si prendeva cura di lui, e forse l’idea che questo cuore tutto per lui era quello di un semplice, di un contadino rimasto attaccato alla terra, di cui aveva avuto all’inizio addirittura ripugnanza, aggiungeva ora alla sua gratitudine una dolcezza infinita e l’amicizia diventava per tutti e due come una liberazione: non c’era bisogno che si baciassero, si toccavano nel profondo, erano l’uno nell’altro, per quanto differenti fossero.”[12]
Sarà poi Maurice a salvare la vita e Jean, rifiutando di abbandonarlo e mettendo a rischio la sua stessa vita:
“Maurice piangeva a grossi singhiozzi e le sue lacrime lente scorrevano sulle guance di Jean. Era lo sciogliersi del loro lungo tormento, la gioia di dirsi che il dolore stava forse per avere pietà di loro. E si stringevano in un abbraccio disperato nella fraternità di tutto quello che avevano appena sofferto insieme, e il bacio che si scambiarono allora parve loro il più dolce e il più forte della loro vita.
Un bacio come non ne avrebbero mai ricevuto da una donna, l’immortale amicizia. L’assoluta certezza che i loro cori avrebbero costituito per sempre un solo cuore. … Abbracciami, piccolo mio! E si baciarono, e come la nel bosco, durante la veglia, c’era la fondo di questo bacio la fraternità dei pericoli corsi insieme, quelle poche settimane di eroica vita comune che li aveva uniti. Possono forse separarsi due cuori quando il dono di se stessi li ha quasi fusi l’uno nell’altro? Ma il bacio scambiato sotto le tenebre degli alberi era pieno della speranza nuova che la fuga apriva loro, mentre quel bacio a quell’ora restava tremante delle angosce dell’addio. Si sarebbero rivisti un giorno? E come? In che circostanze? Nel dolore o nella gioia? … – Ti affido mio fratello, prenditi cura di lui, amalo come io lo amo!”[13]
Jean e Maurice si ritroveranno ma da pari opposte alla Comune di Parigi. Maurice, comunando, e Jean soldato dell’esercito regolare. Durante la settimana di sangue Jean colpisce a morte un comunardo e si accorge solo dopo che è Maurice. Jean tenterà di curarlo ma Maurice morirà. Le storie d’amore omosessuale in pieno Ottocento non possono che concludersi con la morte.
È pur vero che si tratta di solidarietà e di affetto tra soldati in condizioni disperate, ma dietro questa lettura, troppo suggerita per essere spontanea, se ne intravede un’altra, per lo meno plausibile, che non si accorda troppo con la figura di uno Zola omofobo tratteggiata da Saint-Jean.
Se si mette a confronto la visione della omosessualità derivata da Terdieu, da Lombroso, da Laccassagne e, almeno esplicitamente dallo stesso Zola con quella che emerge dalle Memorie di Johan Addignton Symonds, risulta evidente che nel mondo universitario inglese c’è di fatto una presenza omosessuale notevole che favorisce una cultura laica di ampio respiro, mentre il mondo accademico francese resta su posizioni di retroguardia in materia di omosessualità ispirate ancora da fortissimi pregiudizi che hanno l’apparenza della scientificità e la sostanza del dogma religioso.
È doveroso sottolineare quanti danni e quanta sofferenza abbiano prodotto e producano i pregiudizi sulla omosessualità tuttora diffusi e radicati nella classe medica. La lettura del Romanzo di un invertito nato ne fornirà al lettore la prova evidente, proprio perché, con l’ottica del XXI secolo, non vi si ritrova niente di patologico mentre, come vedremo, il Dr. Saint-Paul vi ritrova una dimensione patologica innata e innalza il protagonista ad archetipo della categoria dell’invertito feminiforme, categoria che ha finito per trasformarsi in stereotipo e per condizionare ancora oggi la valutazione comune dell’omosessualità.
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[1] Michel Foucault: Les Anormaux – Cours au Collège de France, 1974-1975, pubblicato il 18/03/1999 nella collezione Hautes Études della Scuola degli Alti studi in scienze sociali delle Edizioni Gallimard e delle Edizioni du Seuil.
[2] Étude médico-légale sur les attentats aux mœurs.
[3] Ambroise Tardieu, Etude médico-légale sur les attentats aux mouers, JB Baillière, Parigi 1859, p. 137-138.
[4] Ambroise Tardieu, Etude médico-légale sur les attentats aux mouers, p. 142-143.
[5] Alexandre Lacassagne et l’école de Lyon , revue de science criminelle et de droit comparé 1974 no 3 p. 533-559.
[6] Enquête sur l’Inversion Sexuelle, Archives d’anthropologie Criminelle, de criminologie et de psychologie normale et pathologique, Tomo X, Lyon, Storck, Paris, Masson, 1895, p. 130-138, 228- 241, 320-325.
[7]  http://visualiseur.bnf.fr/CadresFenetre … pagination
[8] Georges Saint Paul, L’homosexualité et les Types Homosexuels, Paris, Vigot Frères, 1910, p. 431.
[9] Il testo è accessibili gratuitamente ne La Bibliothèque électronique du Québec alla pagina:http://beq.ebooksgratuits.com/vents/zola-19.pdf
[10] Michael Rosenfeld, Doctorant à l’Université de Strasbourg et l’Université Catholique de Louvain. Zola et l’homosexualité, un nouveau regard], articolo accettato per la pubblicazione nella rivista Les Cahiers Naturalistes nell’ottobre 2014. La pubblicazione è attesa per l’edizione 2015 o per quella del 2016, il testo è comunque reperibile in rete.
[11] Émile Zola, La Débâcle, Œuvres Complètes, t. VI, Paris, Cercle du Livre Précieux, 1967, p. 688 et 709.
[12] Ibid, p. 790-791.
[13] Ibid, p.1013 et 1019.

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