giovedì 9 aprile 2015

IL PROCESSO AD OSCAR WILDE 2

È questo [quello riportato nel precedente post], riassunto dal Times, il secondo atto di questo processo, che al momento era ben lungi dall’essere terminato. Il terzo atto si svolge davanti alla corte d’assise. Gli stessi fatti immorali sono rimproverati a Wilde. Il suo avvocato Edward Clarke fa una difesa tanto abile quanto è possibile dimostrando lo scarso valore delle persone citate come testimoni a carico, e la poca affidabilità delle loro dichiarazioni. Si ascolta Wood, il maestro cantore, Atkins, il commesso dell’allibratore, che Wilde ha portato con sé in viaggio di piacere a Parigi e col quale aveva cenato un una stanza separata. Il povero testimone Edward S…., domestico di uno degli editori di Wilde arriva piangendo a raccontare nuovamente la sua miserevole caduta. Legge una lettera indirizzata da lui a Wilde nella quale gli rimprovera la sua immoralità e si lamenta del fatto di averlo conosciuto, il poveretto fa pena e produce una certa sensazione di intenerimento. Wilde lo guarda piangere alzando le spalle e sorridendo sdegnosamente. È il primo segno di emozione che dà da quando il processo ha preso una strada così pericolosa per lui. Ha perso tutta la sua arroganza, non dà più segni di gioia, resta impassibile e all’apparenza indifferente.
Il processo continua con delle fasi diverse. L’avvocato di Wilde rileva delle contraddizioni e delle menzogne nelle deposizioni dei testimoni; ma il numero dei testimoni, l’onorabilità di qualcuno di essi sembrano mettere fuor di dubbio che Wilde ha tenuto una condotta del tutto immorale. Si ascolta anche l’editore di Wilde che ha congedato il suo domestico a causa delle sue relazioni con l’autore, il proprietario dell’Albermale Hotel, il gioielliere che ha venduto a Wilde tutti i gioielli che egli offriva ai suoi accoliti, e infine i domestici – due dipendenti del Savoy Hotel – che dichiarano di aver visto Wilde portare spesso nella sua camera dei giovani.
La requisitoria fu molto dura. Il sig. Gill sfruttò un certo numero di frasi, di pensieri pretenziosi che Wilde si era lasciato sfuggire al tempo del suo primo processo. Le frasi seguenti, in particolare, produssero un effetto deplorevole per l’accusato.
“L’indifferenza è la madre della perfezione. Non ho mai adorato che me stesso. Il piacere è la sola cosa per la quale io vivo, nulla mi invecchia più dell’avversità. Amo lo scandalo negli altri. Quanto e me, nessuno scandalo mi tocca. La perversità è un mito inventato dalla brava gente per designare il fascino delle seduzioni che essi non comprendono.”
“Il peccato si imprime da se stesso sulle facce degli uomini. Il vizio segreto non esiste; da quando un uomo ha un vizio, quel vizio si manifesta dalle pieghe delle sue labbra.”
Leggendo questa frase, il sig. Gill si girò verso Wilde e guardandolo fisso, sembrò scoprire sulla sua fisionomia delle tracce delle passioni di cui lo accusava.
Alle domande del suo avvocato, Wilde rispose con la più totale tranquillità che tutte le supposizioni fatte a suo riguardo erano false. Diede dei dettagli sui suoi lavori, la sua vita, la sua famiglia, al centro della quale dichiarò di aver sempre vissuto, tra sua moglie che ha sposato nel 1884 e i due figli che ha avuto.
Poi venne il controinterrogatorio del sig. Gill, di cui ecco dei frammenti: (Estratti dal giornale Times)
D. Nel precedente processo due poesie di lord Alfred Dougles sono state lette. Le trovate belle?
R: Sì, molto belle. Esprimono sentimenti che io ho saputo ispirare al mio amico e che molti non comprendono, perché quei sentimenti compongono un affetto tanto profondo che Platone lo considerava e lo descriveva come l’inizio della saggezza. Oggi, questo sentimento è assai mal compreso, anche se è così fecondo e capace di ispirare tanti artisti: un’amicizia intellettuale tra due uomini, uno più grande e uno più giovane, il più grande che possiede un’esperienza del mondo e il più giovane che racchiude in sé la gioia, la speranza, la bellezza della vita. Questa è una cosa, lo ripeto, che la nostra epoca non comprende; e che pota, forse, alla berlina!
Scoppiano degli applausi in un angolo della galleria superiore, con viva sorpresa dell’uditorio e suscitando l’indignazione del giudice che minaccia di espulsione i manifestanti. Poi l’interrogatorio riprende:
D. Avete ascoltato le deposizioni del massaggiatore e della cameriera del Savoy Hotel. Sono deposizioni gravi. Come rispondete?
R. Tutto quello che hanno detto è falso.
D. Allora mentono?
R. Non dico che mentono; possono sbagliarsi. Chiunque è esposto al rischio di affermare un fatto falso con la convinzione intima che sia vero.
D. E Edward S…?
R. Oh! Quello è un bugiardo, una sorta di squilibrato, di lunatico. Non ho mai avuto per lui altro che un’amicizia letteraria.
D. Un’amicizia letteraria per un domestico?
R. Perché no?
D. Avete cenato con lui al Savoy?
R. Non c’è una parola di verità in tutto questo, non più che in quello che ha osato raccontare Frederick Atkins.
D. Comunque, avete portato con voi Atkins a Parigi?
R. Non l’ho mai negato.
D. Atkins ha mai cercato di ricattarvi?
R. Mai.
D. E voi non avete avuto nemmeno alcun motivo di risentimento contro Burton?
R. Nessuno, non lo conosco neppure.
D. Negate che Atkins sia venuto da voi in Tite street, cioè nel domicilio della vostra famiglia, e che voi siete andato a trovarlo a casa sua?
R. No, non lo nego questo; ma una visita di Atkins o una mia visita ad Atkins non ha alcuna importanza.
D. Dite che Wood ha mentito?
R. Sì, su molte cose. Wood mi è stato presentato da Lord Alfred Douglas e io ho fatto conoscenza con Taylor attraverso Schwabe. Non sono mai andato a caccia di relazioni; sono le relazioni che vengono da me.
D. Chi incontravate da Taylor?
R. Degli altri, dei cantori, e altra gente ancora. Sono rimasto amico di Taylor fino all’ultimo processo.
Wilde nega tutti i fatti contestatigli, di cui alcuni non possono essere citati qui.
Si ascolta allora Taylor. Trentatré anni; è nato a Malborough, ha fatto ottimi studi a Preston e ha passato qualche tempo sotto le armi, nella milizia. Nel 1883, ricevette in eredità da uno zio una fortuna di 1.125.000 franchi che dissipò in piaceri a Londra e in cattive speculazioni. Nel 1893 fu dichiarato fallito. Nel marzo dello stesso anno fu presentato da Sghwabe a Oscar Wilde, e ha riconosciuto di avergli presentato a sua volta i fratelli Parker, ma afferma che in questo non c’era alcuno scopo immorale.
Poi afferma che gli abiti femminili travati a casa sua erano destinati a un travestimento per un ballo in costume.
Finiti questi due interrogatori, sir Edward Clarke riprende la difesa del suo cliente, contro il quale, dice, non può essere invocata alcuna prova formale di colpevolezza.
- Paragonate, dice, il passato di oscar Wilde al passato degli individui che lo accusano e la causa sarà giudicata. Noi abbiamo dimostrato che sono tutti organizzatori di ricatti, glielo abbiamo fatto confessare. Quanto a me, su tali testimonianze, non oserei condannare nemmeno un cane!
L’accusa è già tornata indietro e voi la farete tornare ancora più indietro: voi gli mostrerete quanto è stata male ispirata nel farvi assistere a questa sfilata di individui reclutati in tutti i posti peggiori e che la polizia avrebbe dovuto conoscere molto meglio pur avendone già perseguiti, arrestati e sorvegliati alcuni. Nulla si può rimproverare a Wilde! Non c’è nulla contro di lui se non la superiorità della sua natura, il carattere artistico tipico di tutti i suoi scritti, di tutte le sue parole e di tutte le sue azioni. Da questo deriva l’errore dell’opinione pubblica circa le lettere indirizzate a Lord Alfred Douglas.
La perorazione di sir Edward Clarke è stata sostenuta con un vigoroso e irresistibile talento. Ha concluso tra gli applausi che il giudice non tentava nemmeno di fermare.
Ascoltandolo, Wilde ha dato segno di una profonda emozione. Ed è con le lacrime agli occhi che si è alzato per stringere entrambe le mani di sir Edward Clarke.
Si sa come si concluse questa parte del processo. Il giudice Charles, come vuole la legge inglese, sintetizzò il dibattimento; dopo che l’accusato era stato lasciato nelle mani della difesa e dell’accusa, pronunciò un vero discorso molto eloquente e di una nettissima chiarezza, i suoi punti più interessanti sono i seguenti:
1° Il giudice si congratula con l’accusa per aver abbandonato le accuse relative alla cospirazione e alla incitazione alla dissolutezza, essendo tutti i complici di Wilde dei dissoluti o dei maestri del ricatto;
2° Una giuria non deve mai confondere l’uomo e l’autore o giudicare il primo guardando al secondo. Ricorda il motto di Coleridge “Non giudicate alcun uomo dai suoi liberi”. Infine facendo allusione e quelli tra i testimoni che non erano tarati, terminò così:
“Quelli, cioè i testimoni che hanno una onorabilità, sono sinceri; e dovete chiedervi se le loro deposizioni sono sufficienti e motivare un verdetto di colpevolezza. Se voi accettate quello che vi hanno detto come corrispondente al vero, sapete quello che dovete fare… Vi dicevo poco fa di dimenticare l’uomo di lettere ma non preoccupatevi nemmeno dell’uomo di mondo. Nessuno qui ha un passato né degli antecedenti. Solo i fatti della causa devono interessarvi. Quanto e me mi sono fatto la mia opinione e mi auguro caldamente di trovare il giudizio che mi farete rendere come magistrato in accordo con la mia libera coscienza!”
I giurati non poterono sentirsi. Tre di loro, tra i dodici, si dice che abbiano rifiutato un verdetto di colpevolezza. Dato che la legge inglese richiede per il verdetto l’unanimità dei voti, il giudice decise che Wilde e Taylor sarebbero stati mandati davanti ad un’altra giuria.
Tutto era da rifare.
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