mercoledì 8 ottobre 2014

JULIEN GREEN OMOSESSUALE CATTOLICO

Scorrendo il catalogo de La Pléiade ci si rende conto che dal 1972 al 1998 sono stati pubblicati otto corposi volumi, per un totale di più di 14.000 pagine, contenenti l’opera completa di Julien Green. Chi ha una frequentazione anche minima con la Letteratura Francese sa che gli onori de La Pléiade competono solo ai grandi maestri riconosciuti della Letteratura francese: Julien Green è uno di loro. Eletto, primo tra i non Francesi, tra gli “immortali” dell’Accademia di Francia nel 1971, al posto di François Mauriac, si dimise nel ’96 affermando di sentirsi “esclusivamente americano” e di “non essere affatto interessato agli onori, di qualsiasi tipo essi siano”. Non era effettivamente di origini francesi, il suo nome era in realtà Julian Hartridge Green. Era nato a Parigi il 6 settembre del 1900, ultimo di otto figli, da genitori di ascendenze scozzesi e irlandesi, emigrati in Francia dalla Georgia nel 1893. Il nonno di Julien era un ricco mercante di cotone, padrone di piantagioni, che fece in Francia una discreta fortuna, la madre veniva dalla Georgia, il padre, originario della Virginia, era un uomo d’affari ed era Segretario della Camera di Commercio americana a Parigi.
In genere Julien Green è qualificato come scrittore cattolico, espressione che ha, nel suo caso, un significato tutto particolare: cattolico sì, certamente, ma anche omosessuale. Il tentativo lacerante di conciliare omosessualità e cattolicesimo è stato una costante della sua vita e va detto che questo tentativo di conciliare l’inconciliabile, almeno dando alla parola cattolicesimo il senso tradizionale che la gerarchia cattolica le attribuisce, emerge in modo molto netto in tutta la sua opera. Julien Green ha offerto di sé e dei suoi conflitti interiori un’immagine estremamente onesta e realistica. L’autocensura relativa ai contenuti sessuali si è fatta via via meno vincolante nel corso degli anni ed è accaduto che edizioni successive delle sue opere si siano arricchite di molte pagine, originariamente omesse; gran parte di queste pagine riguarda l’omosessualità. È il caso del primo volume del “Diario”, Les années faciles – Gli anni facili, la prima edizione, del 1938, è fortemente autocensurata, mentre la seconda, del 1970, che presenta quasi 200 pagine in più, dà molto più spazio al tema della omosessualità. La censura è rimasta invece rigida in rapporto alla omosessualità di altre persone, indicate talvolta con pseudonimi.
Pur tuttavia, un omosessuale laico, nel senso più radicale del termine, che si accosti all’opera di Julien Green non può che riconoscergli un notevole rigore intellettuale e morale, beninteso, nel senso laico del termine, e una onestà di fondo nel trattare il tema dell’omosessualità e nel cercare di analizzarlo di fronte alla propria coscienza. Julien Green ha un indubbio valore emblematico perché incarna le aspirazioni ideali e le angosce tipiche dei cattolici veri che vogliono essere onesti con se stessi di fronte alla omosessualità, non considerata come questione teorica o come problema altrui, ma come elemento profondo della propria personalità, inconciliabile con la fede.
Il 15 maggio 2013, l’Osservatore Romano pubblicava un articolo a firma Joseph Ratzinger intitolato “E Julien Green ridiventò se stesso”. Così Ratzinger si esprime a proposito dell’educazione religiosa di Green: “Egli racconta come, fin dalla fanciullezza, sua madre, anglicana, lo avesse letteralmente immerso nella Sacra Scrittura. Era ovvio per lui sapere a memoria tutti i centocinquanta Salmi. La Scrittura era l’atmosfera della sua vita. E dice: “Mia madre mi insegnò a comprenderla come libro d’amore e mi permeò profondamente dell’idea che, da un capo all’altro della Scrittura, fosse unicamente l’amore a parlare. E tutto il mio essere non voleva nient’altro che amare”. Ecco, alla fine non può perdersi un uomo che ha ricevuto delle basi così.”
Queste affermazioni di Ratzinger, da un punto di vista laico e in riferimento alla omosessualità di Green, fanno invece pensare alla violenza di una educazione religiosa basata sulla Scrittura, che fu accompagnata tra l’altro dalla radicale repressione della sessualità, operata sistematicamente, fin dalla più tenera età. Come vedremo nel seguito, questa educazione repressiva lasciò profondissime tracce nell’animo di Julien adulto. Imparare a memoria i centocinquanta Salmi non è per nulla ovvio per un adolescente che, esposto ad una educazione così radicalmente e rigidamente religiosa, rischia di diventare dipendete da molti pregiudizi di origine religiosa, dai quale è spesso difficile affrancarsi.
La madre di Julien non fu affatto la “madre religiosa ideale” descritta da Ratzinger, o forse lo fu pienamente, la valutazione dipende dall’idea di religione di chi giudica. Resta il fatto che la madre di Julien condizionò pesantemente il figlio nello sviluppo della sua sessualità. Julien ricorda almeno due volte il comportamento rigido della madre quando lui era nella vasca da bagno e l’atteggiamento quasi di rigetto che lei dimostrava per tutto ciò che concerneva il sesso anche in rapporto al figlio di 10 o 11 anni. Julien ricorda che quando disegnava dei corpi nudi erano sempre del tutto privi di sesso.[1]
Le uniche curiosità sessuali venivano in mente a Julien dalla lettura della Bibbia ed erano risolte sistematicamente con un “Comprenderai quando sarai grande. Per il momento non c’è nessun bisogno che tu sappia.”
Green non omette di descrivere la sua perplessità di fronte ai tentativi di altri ragazzi di spiegargli qualcosa riguardo al sesso o anche di sedurlo, in effetti non era in grado di riconoscere il normale risveglio della sessualità né di avere una autentica consapevolezza del piacere come i suoi coetanei. Aveva circa 15 anni quando alcuni suoi compagni del Liceo Janson di Sailly lo iniziarono ai piaceri della masturbazione. A quel tempo il senso del peccato era legato al concetto di puro e di impuro ma non attraverso una valutazione personale ma in termini di consentito o vietato. Riferendosi alla masturbazione dice: “Quanto al gesto in questione non lo riconnettevo a nessuna offesa conosciuta”. Passarono settimane prima che gli venisse in mente che avrebbe dovuto pentirsene.
Lo stesso Julien ci parla del suo amore muto per il compagno di scuola Frédéric: “Nessun desiderio carnale mi tormentava. Se il cuore ardeva, i sensi erano profondamente addormentati e io ero di una freddezza eccezionale. L’idea di mettere le mani su Frédéric mi sarebbe parsa semplicemente mostruosa, perché nulla mi sembrava bello che non fosse puro, trovando quella parola nella mia mente tutto il potere che aveva quasi perduto”.[2]
Del suo amore per Frédéric Julien aveva parlato al suo amico Philippe ma non a padre Crété che si occupava della sua istruzione religiosa. Non avendo il coraggio di confessare a padre Crété quello che faceva con il suo amico Philippe o da solo, andava a confessarsi altrove in pieno anonimato. Julien adolescente è ormai affascinato dal corpo umano, specialmente da quello maschile. Raramente Julien parla di ragazze, quando manifesta un interesse, anche minimo, verso una ragazza, ogni approccio è troncato dall’intervento della sorella Mary e dalla madre, terrorizzate dall’idea che Julien possa fare la fine dello zio Willie, morto di sifilide contagiatagli da una serva.
Ancora a 15 anni Julien leggeva Baudelaire ma non era in grado di coglierne la sensualità. Solo l’anno successivo il risveglio dei sensi avvenne, almeno parzialmente, durante un viaggio in Italia. In Italia lesse Boccaccio e ne rimase sconvolto.
Nel 1916, a seguito della scomparsa della madre, si convertì al cattolicesimo e lasciò trasparire l’ipotesi di una vocazione alla vita religiosa nell’ordine dei Benedettini. Si era convertita al cattolicesimo per prima la sorella Mary, poi anche il padre e la madre l’avevano seguita. Da un punto di vista laico è difficile credere che la conversione di Julien sedicenne e il suo slancio verso la vita monastica fossero scelte libere e ben meditate. Un anno dopo la conversione troviamo Julien diciassettenne coinvolto nella guerra, a prestare servizio volontario nella croce rossa degli Stati Uniti sul fronte italiano. Finita la guerra, ormai diciottenne, oscilla tra l’idea della vocazione religiosa e le tendenze artistiche (pittura e musica). Va quindi negli Stati Uniti e studia dal 1919 fino al 1922 Lingue e Letteratura nell’Università della Virginia, tre anni di studi offertigli dallo zio di Savannah. È proprio all’Università della Virginia che Green comincia a capire di essere “un uomo con un grande segreto” cioè un uomo che dovrà portarsi appresso il segreto della sua omosessualità. È tuttavia incantato dai suoi compagni di studio, che considera la migliore umanità che si possa immaginare. Nell’Università della Virginia si innamora di Benton Owen, che chiamerà con lo pseudonimo di Mark. È proprio attraverso i ragazzi della Virginia e attraverso l’amore inconfessabile verso Owen che Green si rende conto della forza emotiva della omosessualità. L’amore verso Owen è platonico ma non per questo è meno violento. Green abbandona Mark nel 1922 senza confessagli il suo amore, ma poi ha un’occasione imprevista di incontrarlo di nuovo nel luglio del 1923, quando Mark è in viaggio e si trova a Parigi. Julien si ripromette di parlare finalmente chiaro a Mark sul Pont-Royal, Mark è pronto ad ascoltarlo, ma alla fine Julien rinuncia:
“Uno o due minuti più tardi, dall’altra parte del ponte, dissi a Mark: “Mi dispiace ma non posso”. Lui mi strinse un po’ il braccio e mi disse: “Ti capisco molto bene.” Ancora una volta mi ero trovato di fronte al rischio di perdere definitivamente il suo affetto e avevo considerato quel rischio troppo grande. Non c’è bisogno di sottolineare che nella mia opera Mark ricompare continuamente, sotto una forma o sotto un’altra. È sempre il misterioso bel ragazzo al quale non si osa dichiarare il proprio amore. Eric Mac Clure, in “Sud”, Praileau in “Moïra”, Angus et Wilfred, tutti e due alternativamente, in “Chaque homme dans sa nuit”, Paul in “Le Voyageur”, e soprattutto il bel ragazzo di “L’Autre Sommeil””[3]
Forse non è un caso che a distanza di molto tempo Green abbia considerato gli anni della Virginia come alcuni tra i più tristi della sua vita, furono certamente quelli che lo turbarono di più e lo misero di fronte alla realtà della sua omosessualità.
Lasciata l’Università della Virginia senza laurearsi e tornato in Francia, nel 1924, Green pubblica sotto lo pseudonimo di Théophile Delaporte il “Pamphlet contro i cattolici di Francia” (“Pamphlet contre les catholiques de France”) dedicato “ai sei cardinali francesi”. Sia ben chiaro, non si tratta di un pamphlet contro la chiesa cattolica ma al contrario di un pamphlet contro i cattolici accusati di essere troppo tiepidi nei confronti della loro fede.
Alcune citazioni del testo possono dare un’idea del suo contenuto.
“I cattolici di questo paese hanno finito per fare della loro religione un’abitudine, al punto che non si preoccupano più di sapere se sia vera o falsa, o se ci credono oppure no; e questo tipo di fede meccanica li accompagna fino alla morte.”[4]
“Non è possibile credere senza lottare, ma essi non lottano affatto con se stessi, e accettano il cattolicesimo come qualcosa di semplice e naturale; e finirebbero per ucciderlo, se questo fosse possibile.”[5]
“Tuttavia sono cattolici, in quanto hanno ricevuto il marchio della Chiesa, e lo sono per sempre, perché la Chiesa non fa nulla che non sia eterno, ma questi bambini sottomessi portano i germi di una potente corruzione. Non cercate altrove i veri nemici di questa Chiesa cristiana di cui essi stessi si credono i difensori.”[6]
“Sono stati allevati nel cattolicesimo; ci vivono e ci muoiono, ma non capiscono né quello che essi stessi rappresentano né ciò che sta accadendo intorno a loro, e non percepiscono nulla del mistero che li circonda e li separa dal mondo.”[7]
“Essi vivono nel mondo come se fossero del mondo; tuttavia, essi sono stati scelti in virtù ci certi segni e di certe parole e se capiscono che essi hanno ricevuto un marchio e che si stanno ribellando, non per questo sono meno cattolici, e se si sviliscono, restano cattolici anche nella loro caduta e nella loro dannazione.”[8]
“Leggono le preghiere, ogni parola delle quali è di grande importanza, e le leggono come se nelle preghiere si trattasse di qualcun altro, della vita di qualcun altro, della salvezza di qualcun altro. Si direbbe che non sappiano che si parla solo della loro condanna a morte e della loro grazia; si direbbe che essi credano che il cattolicesimo sia stato fondato per gli altri e che loro stessi, se ne fanno parte, è solo per caso o per gioco.”[9]
Ma se il 1924 è l’anno dell’apologia del cattolicesimo contenuta nel Pamphlet è anche l’anno in cui, dopo aver toccato il massimo della sua esaltazione religiosa, Green si allontana dal cattolicesimo.
Riprendo qui l’articolo citato di Ratzinger: “[Julien Green] Scrive che nel periodo tra le due guerre egli viveva proprio come vive un uomo di oggi: si permetteva tutto quello che voleva, era incatenato ai piaceri contrari a Dio così che, da un lato, ne aveva bisogno per rendersi la vita sopportabile, ma, dall’altro, trovava insopportabile proprio quella stessa vita. Cerca vie d’uscita, allaccia rapporti. Va dal grande teologo Henri Bremond, ma la conversazione resta sul piano accademico, sottigliezze teoriche che non lo aiutano.
Instaura un rapporto con i due grandi filosofi, i coniugi Jacques e Raissa Maritain. Raissa Maritain gli indica un domenicano polacco. Lui lo incontra e gli descrive ancora questa sua vita lacerata. I sacerdote gli dice: “E lei è d’accordo a vivere così?” “No, naturalmente no!”, risponde. “Dunque vuole vivere in modo diverso; è pentito?” “Sì!” fa Green. E poi accade qualcosa di inaspettato. Il sacerdote gli dice: “Si inginocchi! Ego te absolvo a peccatis tuis – ti assolvo.” Scrive Julien Green: “Allora mi accorsi che in fondo avevo sempre atteso questo momento, avevo sempre atteso qualcuno che mi dicesse: inginocchiati, ti assolvo. Andai a casa: non ero un altro, no, ero finalmente diventato me stesso””.
Così Julien Green scrisse a Jacques a Raissa Maritain il 25 aprile 1939: “Vi scrivo poche parole prima di partire, per dirvi che questa mattina ho fatto la comunione in seguito a una conversazione che ho avuto con padre Rzewuski”.[10]
Si può ben capire quanto il giovane Ratzinger abbia trovato nel resoconto della conversione di Green una conferma alla famosa affermazione di San Cipriano secondo la quale “Non c’è salvezza fuori dalla Chiesa”[11]
Eppure Green era cattolico, si era convertito a 16 anni, perché dunque si parla di una seconda “conversione” nel 1939? Ratzinger non ci dice in modo esplicito che cosa c’è stato nella vita di Green, prima del 25 aprile 1939, che ha portato poi alla necessità di una nuova conversione al cattolicesimo, e preferisce restare nel vago per tema di imbrattare un personaggio che sembrava incarnare in pieno il modello di cattolico ideale.
Per capire che cosa sia accaduto nelle vita di Julien prima del 1939 si può leggere un breve romanzo pubblicato da Green nel ‘31, “L’altro sonno” (L’autre sommeil), tutto centrato sul tema della scoperta della propria omosessualità (il risveglio) da parte di Denis, il protagonista. Il romanzo ritrae Denis, prima bambino e poi adolescente, che vive una vita né migliore né peggiore di quella tipica dei figli di migliaia di famiglie borghesi. La morte del padre, che è per lui una liberazione, segna il vero inizio della sua giovinezza.
Casto fino a 15 anni per freddezza naturale, Denis sperimenta un po’ più tardi, la rivelazione del piacere dei sensi. “Con delle oscillazioni tra freddezza e volontà di resistere, ero debole e sensuale.” Egli conosce quindi le strane vie della passione, crede di amare Andreina ma è Remy, l’amante di lei, che lo affascina. “Niente è misterioso come il cammino della passione in un cuore senza esperienza.”
Claude, cugino e amico d’infanzia di Denis, rimasto orfano dopo la morte della madre, è accolto in casa dai genitori di Denis e i due ragazzi si trovano a vivere insieme. Per Denis è come se fosse crollata una diga rivelando la violenza di tutto ciò che essa tratteneva, ormai Denis è consapevole di essere innamorato del cugino. Vorrebbe rivelare a Claude i suoi sentimenti ma durante le poche occasioni che ha di vederlo, dopo un periodo di allontanamento, prima che questi riparta, stavolta definitivamente, non riesce a confessarglieli. Il protagonista si rende conto che rimpiangerà questa mancata dichiarazione per tutta la vita.
Questo ritratto di un giovane uomo dal cuore pesante, i cui sogni, i cui desideri e le cui paure alimentano una vita interiore ricca e terribile, evidenzia l’emozione eterna di un amore silenzioso, di una passione che non osa dichiararsi e di cui si conserva per tutta la vita il peso triste e inutile.
Questo libro rivela “l’ossessione del freddo e la paura del fuoco”, un racconto di oscurità psicologica abbastanza sorprendente. È evidente, e lo stesso Green lo ammette senza difficoltà, che “L’autre sommeil” riflette il suo innamoramento per “Mark”, il Benton Owen che Julien aveva conosciuto all’università della Virginia, si tratta quindi di un romanzo sostanzialmente autobiografico.
Ma l’omosessualità come elemento fondamentale della vita di Green tra le due conversioni emerge anche da altri elementi.
È lo stesso Green, in “Jeunesse” quarto volume dell’autobiografia, che ci parla del periodo successivo al suo rientro in Francia dalla Virginia e ci presenta un Julien che frequenta i luoghi d’incontri degli omosessuali parigini del lungosenna. Va aggiunto che in quel periodo Green conosce e frequenta letterati dichiaratamente omosessuali come André Gide e Jean Cocteau e altri anche essi omosessuali ma molto più velatamente di Gide e di Cocteau, come François Mauriac, sulla cui omosessualità rinvio all’ottimo studio di Jean-Luc Barré.[12]
Il quarto volume dell’autobiografia si conclude con un accenno ad una “persona” di cui Julien si innamora e che gli farà vivere gli anni più belli della sua vita.
Nonostante la reticenza estrema dello stesso Green sul punto, sappiamo che Green si legò di forte amicizia con Robert de Saint-Jean, Green parla raramente del rapporto con l’amico e lo definisce platonico. Il Diario e l’Autobiografia di Green non lasciano dubbi sul fatto che i due abbiano convissuto per anni. Che il legame sia stato veramente importante si desume anche dal fatto che Green si diede molto da fare, dopo l’ingresso dei tedeschi a Parigi, per consentire a Saint-Jean di espatriare e di rifugiarsi negli Stati Uniti.
Saint-Jean era un personaggio molto importante e molto esposto al tempo dell’occupazione tedesca, non era solo uno dei più cari amici di Green, molto probabilmente il più caro, era anche il vice capo di stato maggiore del ministro francese delle informazioni. Saint-Jean aveva scritto più volte sulla stampa francese cose riguardanti Joachim von Ribbentrop, ministro degli esteri tedesco, e questi gli portava rancore personale e, se avesse potuto, non se lo sarebbe fatto scappare. Saint Jean chiamò Green da Bordeaux quando il governo francese si stava disintegrando, e Green, che si era rifugiato presso il confine spagnolo e avrebbe potuto attraversarlo perché per lui, cittadino americano, il divieto di ingresso in Spagna disposto contro i cittadini francesi in fuga, non poteva essere applicato, non ebbe alcun dubbio sul da farsi, non avrebbe in nessun caso lasciato l’amico Saint-Jean al suo destino e alle vendette di Ribbentrop. Ne “La fine del mondo”, che è del giugno del ’40, Green racconta come sia riuscito a fare arrivare il suo amico in Portogallo, e poi a fargli ottenere il visto per l’ingresso negli Stati Uniti.[13]
In sostanza “La fine del mondo” di Green è una vera storia d’amore, anche se non ne ha l’apparenza. Il rapporto tra Green e Saint-Jean era cominciato ben prima della guerra. In “Fin de Jeunesse” Green parla di un viaggio in Germania insieme con Saint-Jean, nell’estate del ‘29, e non nasconde che la finalità fosse la ricerca di avventure sessuali. Erano ormai gli anni del tramonto della Repubblica di Weimar e la città di Berlino appariva agli occhi degli omosessuali una specie di patria ideale, in cui la tolleranza era massima e i ragazzi erano disponibili e non prevenuti contro l’omosessualità. L’”Addio a Berlino” di Christopher Isherwood rappresenta molto bene il clima culturale e umano, particolarmente accogliente, tipico della Berlino di Weimar. Tuttavia, se si volesse cercare di ricostruire il rapporto tra Green e Saint-Jean, sulla base delle opere di Green, non si approderebbe a nulla perché l’autocensura e la difesa della privacy sono sostanzialmente impenetrabili.
Va sottolineato che Saint-Jean era omosessuale, nel suo romanzo “Passé pas mort”[14] gli amori maschili sono spesso citati, senza maschere o pudore, anche se con tutta la moderazione e l’eleganza della scrittura. La lotta dell’anima col corpo si sente anche in Saint-Jean ma meno esasperata di quanto appaia in Green: “Avremmo attraversato le tempeste e questo bisogno della reciproca presenza non sarebbe venuto meno, questa fame che il tempo non può soddisfare. Perché lui? Perché io? Perché questa felicità che non è altro che sentirsi silenziosi nella stessa stanza?”[15]
Per cercare di capire l’evoluzione delle posizioni di Green nei confronti della omosessualità dopo la seconda conversione, vorrei soffermarmi ora su due opere di Green strettamente collegate tra loro anche se lontane nel tempo, il romanzo “Moïra” pubblicato nel 1950 e il testo teatrale “L’étudiant roux” completato dall’autore nel 1993. L’opera teatrale è un adattamento del romanzo per il teatro ma con delle sostanziali modifiche. Chi legge il romanzo tende a non interpretarlo come un romanzo omosessuale perché il protagonista, uno studente diciannovenne dell’università della Virginia, rosso di capelli, violento e fanatico, ennesima reincarnazione letteraria del Benton Owen di cui Green si era innamorato, è dichiaratamente eterosessuale. Joseph condivide con i suoi compagni di università quella stagione della vita in cui le pulsioni esplodono incontrollate e in cui ogni valore viene messo in discussione. Joseph si impone sia per la sua presenza fisica che per la sua particolarissima disposizione morale di “puritano” radicale, strenuo difensore di una fede intransigente. Nel romanzo c’è anche un personaggio omosessuale, Simon, che, innamorato di Joseph e, non ricambiato, decide di suicidarsi, ma si tratta di un episodio marginale nel romanzo, ammesso e non concesso che un episodio del genere possa essere considerato marginale da chi ne resta veramente coinvolto. Si intuisce anche una specie di rapporto segreto tra Joseph e il suo amico Praileau ma la cosa resta troppo nel vago per assumere un peso reale nello sviluppo della vicenda. Moira, che è la forma irlandese del nome Maria, figlia adottiva dell’affittuaria di Joseph, è abituata a sedurre e non si aspetta di essere essa stessa sedotta da un bellissimo ragazzo vergine che cerca la santità e considera la castità il valore supremo. Al termine della loro unica notte d’amore, Joseph si renderà conto che il suo mito di castità e di santità è ormai distrutto e ucciderà Moira.
“Odio l’istinto sessuale” disse Joseph con voce sorda. Egli stava dritto, presso la tavola, i pugni stretti, la fronte rischiarata dalla lampada. Qualche cosa si infranse nei suoi lineamenti come un’onda. Con una violenza contenuta, riprese: “Hai sentito ciò che ho detto? Odio l’istinto sessuale. Vi cediamo forse noi? Quella forza cieca è il male […]. Noi siamo concepiti in una crisi di demenza”.
Dopo avere citato questo passo. Ferdinando Castelli, S.I., nel suo saggio “Il sapore dell’inferno nei romanzi di Julien Green”[16] così prosegue:
“Arroccato in quest’odio, Joseph diventa un isolato: vive in compagnia della diffidenza, della paura, del disprezzo per quanto riguarda la sfera del sesso. Lo chiamano “l’Angelo sterminatore”. Non ha amici […], non ha interessi se non quello della salvezza eterna, non si concede divertimenti. Soprattutto non ha amore. Si può vivere senza amore in orgogliosa solitudine? Quando il demone della lussuria, accovacciato nel suo profondo, si ridesta e morde, Joseph strangola la ragazza con la quale ha peccato: Moira”
La lettura del romanzo di Green data da Castelli, come conflitto tra la carne e lo spirito, che d’altra parte riproduce un motivo caro a Green, sembra logica e soddisfacente, anche se lascia il lettore, e soprattutto il lettore omosessuale, piuttosto perplesso. Un bellissimo ragazzo eterosessuale, paladino della castità, che strangola l’unica ragazza con la quale ha avuto un rapporto sessuale spinge inevitabilmente il lettore a chiedersi che cosa c’è dietro il delitto e soprattutto che cosa c’è dietro l’odio dichiarato verso la sessualità.
La risposta ai dubbi ci viene dallo stesso Green, che nel 1993, adattando per il teatro la vicenda svela l’arcano: tra Joseph e il suo compagno di studi Praileau esiste un rapporto d’amore omosessuale. È Green stesso che afferma che è questo il fulcro di tutta la vicenda. Tra l’altro, nel testo teatrale, l’episodio di Simon viene molto ridimensionato e Simon, rifiutato da Joseph, si limiterà ad abbandonare l’università e non si suiciderà come accadeva nel romanzo.
Proviamo adesso a dare una lettura di matrice non cattolica ma omosessuale di tutta la vicenda, naturalmente è solo una delle interpretazioni possibili e sarà il lettore a giudicare della sua plausibilità. Joseph, come già detto, studente diciannovenne dell’università della Virginia, una regione del Sud degli Stati Uniti che non brillava certo all’epoca per apertura mentale, ha una storia d’amore omosessuale con un suo compagno di studi, Praileau, ovviamente la storia di Joseph e Praileau è vissuta in modo del tutto nascosto. Joseph non ha paura dell’omosessualità in sé ma del fatto di essere individuato come omosessuale. La storia d’amore è vissuta con tale discrezione che un altro ragazzo omosessuale, Simon, individuando in Joseph qualcosa che lo attira e non vedendolo affatto interessato alle ragazze, pensa di potersi fare avanti. Joseph è già impegnato a livello affettivo, ma il vero motivo per cui allontana Simon è un altro: Simon tende a manifestare troppo apertamente i suoi sentimenti e Joseph rischia di poter essere identificato come omosessuale. C’è poi un altro punto fondamentale, per un ragazzo 19enne molto bello è ovvio avere avventure con le ragazze, Joseph deve quindi trovare qualcosa che gli permetta di tenere le ragazze a distanza senza che questo susciti pettegolezzi, l’espediente migliore è la castità per convinzioni religiose. Ecco quindi che Joseph diventa il nemico giurato della sessualità, ma attenzione, si parla della sessualità etero. Si tratta in sostanza di un atteggiamento molto esasperato ma nello stesso tempo tutto esteriore. La vita segreta di Joseph non ne è minimamente toccata, anzi risulta quasi difesa e messa al sicuro da questi atteggiamenti. Fin qui si potrebbe dire che si tratta di una classica storia omosessuale in un ambiente omofobo, ma, all’apparenza almeno, non si capirebbe come Joseph possa arrivare a passare una notte di sesso con una ragazza e come possa arrivare a strangolarla subito dopo. Cerchiamo ora di approfondire il discorso. Joseph, vive, è vero, una storia d’amore omosessuale, ma in realtà non è disposto a rinunciare, in nome di quell’amore, ad una vita gratificante fatta di frequentazioni e di rapporti sociali “normali”, un po’ come il Clive del “Maurice” di Forster. L’apparire di Moira è lacerante per Joseph non perché Moira scateni in lui il fuoco della lussuria ma perché gli richiama alla mente una realtà alternativa al suo amore omosessuale, socialmente accettata e molto meno complicata da gestire. Moira rappresenta per Joseph la tentazione di tradire il suo vero amore e di vivere da etero. Moira è molto seduttiva e Joseph pensa che si possa anche provare ad essere etero e la cosa a livello tecnico funziona, è questa la grande tentazione di un gay represso, ma poi sopravviene l’idea che non è possibile tradire se stessi e vivere una vita che non è la propria. Moira viene assassinata perché ha distrutto il “vero” sogno d’amore di Joseph ossia il rapporto con Praileau.
Questa lettura della vicenda di “Moira” e de “L’étudiant roux”, che è assai più credibile di quella basata su una figura di Joseph veramente eterosessuale, dilaniato dalla lotta tra la carne e lo spirito, è l’ennesima prova di quanto, anche molti anni dopo la seconda conversione di Green, l’omosessualità sia viva e presente nelle sue opere.
Un esempio forse ancora più significativo si trova in un altro romanzo “Le malfaiteur”. Green aveva smesso di lavorare a questo romanzo nel 1938, quando stavano maturando ormai i tempi per la sua seconda conversione al cattolicesimo, ma nel 1955 la volontà intimamente sentita di contribuire ad una comprensione più profonda della condizione omosessuale spinge Green a riprendere e completare il romanzo “per portare all’attenzione dei lettori seri uno degli aspetti più tragici della vita sessuale (carnale) del nostro mondo moderno, tragico perché coinvolge in un modo qualche volta violento tutta la vita affettiva e tocca gravemente la vita spirituale.”[17]
Come si vede abbastanza chiaramente, Green, con gli anni, pur restando cattolico, recupera almeno in parte la sua coscienza omosessuale.
Il romanzo ha una trama piuttosto semplice: Hedwige, una giovane orfana, vive nella stessa casa di Jean e si rende conto solo parzialmente della omosessualità di Jean che non avrebbe paura di spiegarle le cose lui stesso anche se per iscritto. Gaston Dolange, oggetto d’amore sia di Hedwige che di Jean, è sfacciatamente omosessuale e sa bene monetizzare le sue grazie. Gaston che non è affatto interessato né a Hedwige né a Jean, compare solo brevemente all’inizio e alla fine del romanzo ma il suo orientamento sessuale è assolutamente chiaro sia agli altri personaggi che al lettore. Il malfattore è Jean, perché ama troppo i bei ragazzi. La società borghese è disposta comunque a chiudere un occhio evitando almeno di mandare i poliziotti a dare scandalo bussando alla porta di Jean. Per anni Jean vive nascosto poi, prima di sparire suicidandosi, si confessa (la cosiddetta confessione di Jean), in una lettera a Hedwige che, nella versione del testo del 1955, non è in grado di capire realmente il senso di quello che legge perché la confessione di Jean è vaga e criptica. Lei sa solo di essere una ragazza innamorata di un uomo che non sarà mai in grado di desiderarla fisicamente e finirà anche lei per seguire la strada del suicidio.
Se è vero che Green nel 1955 ha ritenuto suo dovere far luce sul mondo sconosciuto, allora come oggi, della omosessualità, ha lasciato però il suo lavoro deliberatamente a metà perché, in pratica, il testo del 1936-38 è stato dato alle stampe nel ’55 privo del capitolo fondamentale contenente “la confessione di Jean”. Nell’edizione del ’55, i motivi che spingono Jean a fuggire in Italia, dove poi si suiciderà, restano fumosi e incomprensibili, e va sottolineato che la visione che Green offre della omosessualità è radicalmente negativa perché Gaston è un bel mantenuto gay e Jean è un illuso depresso che finisce per suicidarsi, e come se ciò non bastasse, non si offre nessuna spiegazione né per il comportamento del primo né per quello del secondo.
Solo nel 1973, con la seconda edizione di “Le malfaiteur”, si assiste a una sostanziale resipiscenza di Green: la “confessione di Jean” viene reintrodotta nella forma integrale originaria del 1938, senza censure, e così, leggendo il testo, si capisce che gli omosessuali sono costretti a frequentare i luoghi tipici degli incontri clandestini, sia a Parigi che in provincia, luoghi malfamati e squallidi, perché sono costretti a vivere nella menzogna e nella paura costante dello scandalo, sono schedati e sorvegliati dalla polizia e rinnegati perfino dalle loro famiglie. La reintroduzione del testo integrale della “confessione di Jean” dà al romanzo un altro spessore e fa capire in modo serio le situazioni drammatiche in cui gli omosessuali erano costretti a vivere nella Francia degli anni ’30.
Ma chiudiamo i riferimenti alle opere e torniamo alla biografia di Green.
C’è una parte della sua vita sulla quale Green è totalmente reticente, se possibile più di quanto non lo sia circa Saint-Jean, mi riferisco al suo rapporto col figlio adottivo Eric Jourdan. Se Saint-Jean aveva un anno meno di Julien, Eric era più giovane di lui di 40 anni. Jourdan è un romanziere e un drammaturgo, il suo romanzo di esordio “Les Mauvais Anges”, pubblicato nel 1955, quando non aveva ancora compiuto 16 anni, è ancora oggi uno dei romanzi omosessuali più apprezzati, in cui la sensualità emerge al massimo grado.
Pierre e Gérard, due diciassettenni sono travolti dalla passione, il loro desiderio sessuale è violento: “Noi avevamo voluto conoscere in una sola notte tutti i segreti dell’amore e una vera furia guidava questa scoperta, al punto che l’alba illuminò in questi corpi saziati ma non soddisfatti due giovani amanti doppiamente maschi per il loro modo di prendersi e di donarsi.”
Una tale unione non poteva che suscitare gelosia intorno a loro. Dei giovani vicini di casa di cui i due ragazzi avevano massacrato i falconi, per gioco o per vendetta, rapiscono Gérard e lo violentano. Da qui inizia lo scivolamento Pierre e Gérard verso morte. Il loro amore è insieme gioia e tortura. Sono insieme schiavi e padroni nel soddisfare il loro piacere, non tollerano nessun compromesso e preferiscono scegliere la morte che subire l’usura dei sentimenti e dei corpi provocata dal tempo.
Come si vede non solo si tratta di un romanzo omosessuale nel modo più esplicito ma di un romanzo immensamente lontano dalla visione dell’omosessualità tipica di Green. Dopo la pubblicazione di “Les Mauvais Anges” Juordan visse in modo molto libero prima di essere adottato da Green. Dopo l’adozione si stabilì a Parigi e rimase accanto a Green fino alla sua morte. Ma più di questo non sappiamo.
Francesco Gnerre ha intervistato Eric Joudan nel 2007.[18] Jourdan aveva posto la condizione che non ci fossero domande su Green, Tuttavia, all’esplicita domanda di Gnerre: “Perché non vuole che le si facciano domande su Julien Green?”
Jourdan risponde: “Il fatto è che molto spesso si tende a fare allusioni alla storia della mia adozione per sminuire la mia opera, e questo non mi piace.
Naturalmente ho adorato il mio padre adottivo, ma non abbiamo mai praticato lo stesso genere di scrittura e la nostra visione della vita è stata sempre agli antipodi.
Juliern Green era un fervente cattolico, io sono un pagano, un iconoclasta. Sono convinto che tutte le chiese e le religioni, in primo luogo quelle monoteiste, sono tenute in piedi da persone che esercitano la loro influenza sugli individui e sulla collettività sotto la spinta esclusiva di interessi materiali. Colpevolizzano la gente per “fargliela pagare”, sia in termini di offerte in denaro che di rimozione delle proprie pulsioni.”
Francamente non penso proprio che il rapporto tra Jourdan e Green si possa vedere come il rapporto tra il diavolo e l’acqua santa, le cose sono sicuramente molto più complesse. Green e Jourdan si conobbero quando Jourdan aveva 15 anni e sul loro rapporto si fecero pettegolezzi di tutti i generi ma i due non si fecero smontare e dopo alcuni anni, morti i genitori di Jourdan, Grenn lo adottò e anche su questo il pettegolezzo dilagò.
Ne “La Civiltà Cattolica”[19], dopo la morte di Green, Ferdinando Castelli S.I. ha pubblicato l’articolo “Julien Green testimone dell’invisibile – in memoriam”. L’articolo di Castelli mira a sottolineare la figura di Green dal punto di vista della fede, nell’articolo c’è però un riferimento diretto al problema dell’omosessualità nell’opera di Green. “Che cose pensa Green della sessualità e dell’omosessualità, temi più volte ripresi nella sua opera? – “C’è stato in me, in periodi differenti, un elemento di terrore dinanzi alla sessualità in generale e all’omosessualità in particolare […]. Nel 1958 ho vinto (supprimée) la sessualità. Ho inteso una voce che mi ha detto: “O ora o mai.” Ho risposto: “Se Voi non mi aiutate, non posso farcela.” L’aiuto è arrivato, ma l’esperienza è stata straziante. È durata due anni all’incirca, ma ora la pace è tornata”. L’omosessualità “è un tema molto grande, è mistero che riguarda la sfera più vasta della sessualità. Sia l’omosessualità che l’eterosessualità rientrano nella lotta tra la carne e lo spirito: il problema è questo,”[20]
Osservo che Green non vede uno specifico problema nella omosessualità ma tende a inquadrare tutta la morale sessuale nella dimensione della lotta tra la carne e lo spirito. Il dualismo radicale sembra inevitabile a Green, ma uno spirito laico, di fronte a queste cose, si chiede quale sia la ragione per la quale la sessualità debba essere soppressa e non trova altra motivazione che l’obbedienza cieca ad un precetto che si attribuisce a Dio.
Posso capire che nel tracciare il necrologio di uno scrittore omosessuale e cattolico, la Civiltà Cattolica si preoccupi di dare a Dio quel che è di Dio, ma per un omosessuale laico, quale io sono, è imprescindibile dare a Cesare quel che è di Cesare e mettere in luce gli elementi della vita e dell’opera di Julien Green che ne fanno risaltare l’omosessualità, vinta o repressa quanto si vuole, ma essenziale per capire il vero tormento di un’anima lacerata dalla fede. Il divieto della omosessualità, torno sul punto, come in generale il divieto della sessualità non procreativa perfino all’interno del matrimonio, non ha altra ragion d’essere che la volontà di conformarsi comunque alla pretesa volontà di Dio, anche a costo di sopprimere violentemente la propria sessualità. Dio ci dà la sessualità e poi ci vieta di usarla secondo la nostra libertà e senza danno per nessuno. Il divieto non ha altra ragione che misurare il livello di obbedienza e di annullamento di sé di fonte alla richiesta di Dio, un po’ come la richiesta fatta ad Abramo di sacrificare il figlio, ma, per riprendere un pizzico di linguaggio evangelico, chi di noi, se vedesse il figlio in un giardino pieno di frutta, gli vieterebbe di mangiare i frutti di un particolare albero per mettere alla prova la sua obbedienza? Se dunque noi, cattivi come siamo, non vietiamo ai nostri figli di magiare qualsiasi frutto del giardino, perché dovrebbe Dio, che è bontà infinita, mostrare ad Adamo l’albero della conoscenza per dirgli: tu non mangerai il frutto di quest’albero? Mi si potrà rispondere che questo è un mistero della fede, ma è proprio perché la fede attraverso questi meccanismi crea sofferenza, che non riesco a concepire come si possa fare della obbedienza cieca un principio sul quale fondare la vita.
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[1] Julien Green: Religion and Sensuality – Di Anthony H. Newbury – p. 12-14
[2] “Aucun désir charnel ne me tourmentait. Si le coeur brûlait, les sens étaient profondément endormis et j’étais d’une froideur exceptionnelle. L’idée de porter la main sur Frédéric m’eût paru tout bonnement monstrueuse, parce que rien ne me semblait beau qui ne fût pas pur, ce mot retrouvant dans mon esprit tout le pouvoir qu’il aveit failli perdre.”] (Partir avant le jour)
[3] Une ou deux minutes plus tard, de l’autre côté du pont, je dis à Mark : « Je regrette, je ne peux pas. » Il me serra légèrement le bras et dit : « Je comprends très bien. » Une fois de plus, j’avais mesuré le risque de perdre à jamais son affection et l’avais jugé trop grand. Ai-je besoin d’indiquer que dans mon œuvre, Mark revient sans cesse, sous une forme ou sous une autre ? II est toujours le mystérieux beau garçon à qui l’on n’ose pas déclarer son amour. Eric Mac Clure, dans Sud, Praileau dans Moïra, Angus et Wilfred, les deux alternativement, dans Chaque homme dans sa nuit, Paul dans Le Voyageur, surtout le beau garçon de L’Autre Sommeil. (Terre Lointaine, V, pp. 1257-1258)
[4] «Les catholiques de ce pays sont tombés dans l’habitude de leur religion, au point qu’ils ne s’inquiètent plus de savoir si elle est vraie ou fausse, s’ils y croient ou non ; et cette espèce de foi machinale les accompagne jusqu’à la mort.»
[5] «On ne croit pas sans se livrer bataille, mais ils ne luttent pas avec eux-mêmes, et ils acceptent le catholicisme comme quelque chose de simple et de naturel ; ils finiraient par le tuer, si c’était possible.»
[6] «Cependant ils sont catholiques, puisqu’ils ont reçu la marque de l’Eglise, et ils le sont pour toujours, car l’Eglise ne fait rien que d’éternel, mais ces enfants soumis portent les germes d’une corruption puissante. Ne cherchez pas autre part les vrais ennemis de cette Eglise chrétienne dont ils se croient les défenseurs.»
[7] «On les a élevés dans le catholicisme ; ils y vivent et ils meurent, mais ils ne comprennent ni ce qu’ils représentent ni ce qui se passe autour d’eux, et ils ne pressentent rien du mystère qui les enveloppe et qui les sépare du monde.»
[8] «Ils vivent dans le monde comme s’ils étaient du monde ; cependant ils ont été mis à part en vertu de certains signes et de certaines paroles, et s’ils comprennent qu’ils sont marqués, et qu’ils se révoltent, ils n’en sont pas moins catholiques, et s’ils s’avilissent, ils demeurent catholiques dans leur chute et leur damnation.»
[9] «Ils lisent des prières dont chaque mot est d’une grande importance et ils les lisent comme s’il s’agissait, dans ces prières, de quelqu’un d’autre, de la vie de quelqu’un d’autre, du salut de quelqu’un d’autre. On dirait qu’ils ne savent pas qu’on y parle uniquement de leur condamnation à mort et de leur grâce ; on dirait qu’ils croient que le catholicisme a été fondé pour les autres et qu’eux-mêmes, s’ils en font partie, c’est par hasard ou par jeu.»
[10] Vedi Osservatore Romano del 27/28 Agosto 2008 – “Storie di conversione: il duplice ritorno di Julien Green – di Claudio Toscani.
[11] Salus extra ecclesiam non est, Cipriano, epistola 72 a papa Stefano.
[12] François Mauriac, biographie intime, di Jean-Luc Barré – Fayard editore, Parigi, 2009.
[13] Julien Green: The End of a World – As Germany occupied France, Green brought Paris to life in his superlative diaries.http://www.neh.gov/humanities/2012/july … -end-world
[14] Passé pas mort, Grasset, 1983, riedito nel 2012.
[15] «Nous aurons traversé des orages sans que cesse ce besoin réciproque de la présence, faim que le temps ne rassasie pas. Pourquoi lui? Pourquoi moi? Pourquoi ce bonheur rien qu’à se sentir silencieux dans la même pièce?»
[16] Civiltà Cattolica 2971-2976, p. 353.
[17] ”…de porter à l’attention des lecteurs sérieux un des aspets les plus tragiques de la via charnelle dan notre monde moderne, tragique parce qu’il engage dune façon parfois violente toute la vie affective et qu’il touche gravement à la vie spirituelle.” Introduzione al Le malfaiteur nelle Opere Complete del 1955.
[18] http://www.culturagay.it/intervista/367
[19] La Civiltà Cattolica 1998 IV, 365-375.
[20] Brano dell’intervista riprodotta su Le Monde del 19 agosto 1998, 17.

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