sabato 28 giugno 2014

LAICITA’ DEL MATRIMONIO E MATRIMONIO OMOSESSUALE

Il 24 giugno 2014 è stata resa nota la Bozza di testo unificato proposto dalla relatrice per i disegni di legge in materia di regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze
Già il 17 giugno, all’annuncio fatto da Monica Cirinnà, senatrice PD, della prossima presentazione di un testo unico sulle unioni civili e sulle convivenze, Avvenire.it, aveva cominciato la sua battaglia:
“Il rischio del testo unico in arrivo – se veramente riuscirà ad approdare domani in Commissione un testo capace di raccogliere un generale consenso – è quello, per Belletti, di un’affrettata e inopportuna fuga in avanti «verso ipotesi di regolazione per cui “alle unioni civili tra persone dello stesso sesso si applicano tutte le disposizioni previste dal matrimonio”. Come a dire: non chiamiamolo matrimonio, ma cambia poco».”
Il quotidiano dei Vescovi sottolinea che non c’è niente di scontato:
“Se certa stampa entusiasta parla con disinvoltura di “matrimonio gay” a un passo, e tra i diritti delle coppie gay dà per scontata anche la pensione di reversibilità, i giochi sono in realtà ben più aperti. Basta ascoltare il senatore Maurizio Sacconi del Ncd: «Nessun matrimonio per i gay e nessuna pensione di reversibilità per chi non è sposato, ma cambiamenti nel Codice civile per consolidare le relazioni umane».”
 “Altre forme di convivenza possono avere una loro regolamentazione, soprattutto per tutelare la parte debole, ma non possono essere assimilate alla famiglia”.
Va sottolineato che con Papa Francesco, che è molto attento all’immagine della Chiesa, non si usano più le espressioni forti ed esplicite della polemica contro i diritti dei gay dei tempi di Papa Ratzinger, ma si parla solo di difesa della famiglia. Le parole cambiano ma la sostanza no!
Tanto premesso, vorrei cercare di chiare che cosa è il matrimonio in termini laici. Ferma restando per i credenti la facoltà di intendere il matrimonio come un sacramento e come tale indissolubile, resta il fatto che in uno Stato laico il matrimonio deve essere totalmente svincolato da una concezione sacramentale. Il credente è libero di credere quello che vuole, ma il matrimonio laico non è un sacramento e non è nemmeno l’espressione di una fantomatica legge di natura, ma è una istituzione giuridica che garantisce la libertà e l’uguaglianza di tutti i cittadini.
Vorrei soffermarmi ora a considerare la laicizzazione del matrimonio definita dalla Costituzione francese del 1791. Quanto segue è in gran parte derivato dal discorso di Christiane Taubira, Ministro della Giustizia francese in occasione della presentazione alla Assemblée nationale del progetto di legge sul matrimonio egualitario.
L’introduzione del matrimonio civile nel 1791 è veramente una “gloria nascosta” della Rivoluzione. Vivaci dibattiti avevano accompagnato l’introduzione del matrimonio civile, la sua natura contrattuale, e la connessa possibilità di divorziare. A quell’epoca, due religioni riconoscevano il divorzio, la religione protestante e la religione ebraica, mentre la religione cattolica, maggioritaria, dichiarava il matrimonio indissolubile. La Costituzione del 1791 ha compiuto una vera è propria rivoluzione con l’introduzione del matrimonio civile.
Il matrimonio civile reca con sé il segno dell’uguaglianza. Si tratta di una vera e propria conquista fondamentale della Repubblica francese, all’interno di un movimento generale di laicizzazione della società.
Una tale conquista è stata importante soprattutto per coloro che erano esclusi dal matrimonio a quell’epoca. Dopo la revoca dell’editto di tolleranza, detto editto di Nantes, nel 1685, i protestanti non potevano contrarre matrimonio se non segretamente, rivolgendosi ai loro pastori. Essi non potevano costituire una famiglia e i loro figli erano considerati bastardi. A partire dal 1787, l’editto di tolleranza autorizza nuovamente i preti e i giudici a celebrare questi matrimoni, in quanto ufficiali dello stato civile. C’è dunque una prima apertura, due anni prima della rivoluzione, grazie a tale riconoscimento di pluralismo religioso e alla possibilità di includere nel matrimonio coloro che ne erano esclusi, in particolare i protestanti e gli ebrei. Ma il matrimonio include ancora soltanto i credenti.
Vengono ancora esclusi gli esercenti alcune professioni, ad esempio gli attori, perché la religione proclama che non può riconoscere le pratiche infami degli attori di teatro. É proprio il celebre attore Talma a rivolgersi alla Costituente dopo che il curato di Saint-Sulpice si era rifiutato di effettuare le pubblicazioni del suo matrimonio con una «donna di mondo», come si diceva all’epoca.
I costituenti decidono così di introdurre un matrimonio civile e prevedono nell’articolo 7 del titolo II della Costituzione del settembre 1791 che il matrimonio non è altro che un contratto e che il potere legislativo stabilirà per tutti i cittadini, senza distinzione, le modalità in base alle quali la nascita, il matrimonio e la morte saranno constatati e designerà gli ufficiali incaricati di constatarli e di registrarli.
Il matrimonio civile permette così non solo di includere i credenti non cattolici, ma è aperto a tutti, ossia tutti coloro che desiderano contrarre matrimonio possono disporre degli stessi diritti e devono rispettare gli stessi doveri.
Una tale concezione del matrimonio civile, che reca in sé l’impronta dell’uguaglianza, ne fa essenzialmente una libertà, perché fin dalla sua introduzione nell’ordinamento, anche il divorzio viene ugualmente riconosciuto. Nella relazione accompagnatoria della legge del 1792, si trova scritto che il divorzio è il portato di una libertà individuale, e l’esistenza di un legame indissolubile la negherebbe. Poiché il matrimonio deriva dalla libertà delle parti e non dalla sacralizzazione di una volontà divina, tale libertà di contrarre matrimonio non si può concepire se non congiuntamente alla libertà di divorziare e poiché il matrimonio viene disgiunto dal sacramento che l’aveva preceduto, potrà rappresentare i valori repubblicani e incorporare progressivamente i cambiamenti della società.
Se si ricorda che il matrimonio era originariamente un’unione di patrimoni, di eredità, di parentele, e che si passava dal notaio prima di passare al prete, il fatto di riconoscere la libertà di ciascuno dei coniugi è un progresso considerevole, a tutt’oggi iscritto nel codice civile.
Il divorzio, dunque, si accompagna fin da subito al matrimonio. Sarà proibito in Francia nel 1816, in un contesto in cui le correnti conservatrici sono dominanti e in cui si assiste a un regresso delle libertà, specialmente quelle delle donne. Sarà ristabilito nel 1884 attraverso la legge Naquet, ancora una volta nell’ambito di un movimento generale di laicizzazione della società. L’evoluzione del matrimonio reca in effetti in maniera molto marcata il segno della laicità, dell’uguaglianza e della libertà, che sono valori che si sono evoluti nel diritto e nella nostra società francese, in base ad uno sviluppo diacronico che ha conosciuto a volte forti tensioni.
Il matrimonio, unitamente al divorzio, è espressione quindi di una libertà, compresa quella di non sposarsi, ed è questa la ragione per la quale la legge riconosce le famiglie fuori dal matrimonio e i figli di queste famiglie con pari diritti. Il matrimonio, che è riuscito a separarsi dal sacramento, si sta ora separando allo stesso modo da un ordine sociale fondato su una concezione patriarcale della società, concezione che fa del marito e del padre il proprietario, il possessore del patrimonio, e allo stesso tempo anche della moglie e dei figli.
Concludo citando alla lettera le parole di Christiane Taubira in occasione della presentazione del Progetto di Legge sul matrimonio ugualitario all’ Assemblée nationale francese:
“Che cosa toglie alle coppie eterosessuali il matrimonio omosessuale? Se non gli toglie niente, abbiamo il coraggio di definire per quello che sono sentimenti e comportamenti. Noi osiamo parlare di menzogne rispetto alle parole pronunciate in occasione di questa campagna di panico sulla presunta soppressione delle parole “padre” e “madre” dal codice civile e dal livret de famille (stato di famiglia).
Abbiamo il coraggio di parlare di ipocrisia rispetto a coloro che si rifiutano di vedere le famiglie omoparentali e i loro figli esposti alle incertezze della vita. Abbiamo il coraggio di parlare di egoismo rispetto a coloro che pensano che un’istituzione della Repubblica possa essere riservata ad una categoria di cittadini.
Noi affermiamo che il matrimonio aperto alle coppie dello stesso sesso illustra bene il motto della nostra Repubblica. È un esempio di liberté, della libertà di scegliere, della libertà di decidere di vivere insieme.”
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Se volete, potete partecipare alla discussione di questo post aperta sul Forum di Progetto gay:

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