Ciao Project,
ho letto il forum in lungo e in largo e voglio anche io portare il mio contributo sulle coppie gay.
Francamente, dopo tanti anni, posso dire di avere messo del tutto da parte questo concetto. Parlo di tanti anni perché mi sto avviando verso i 50, i 45 li ho superati e sono ormai nell’età in cui si cominciano a fare i bilanci. Da ragazzo, 30 anni fa, ero molto riservato, molto timido, complessato dal sesso e molto legato a una mitologia gay, passami il termine. Mi sono innamorato tante volte, direi troppe volte, e altrettante volte sono stato costretto a ridimensionare tutto, perché il mio ipotetico ragazzo era etero (è successo più volte), era un collezionista per il quale io ero solo uno dei tanti, o semplicemente perché il ragazzo di turno non aveva nessuna intenzione di costruire un rapporto vero con me, tipo più o meno: “Sesso sì, quanto ne vuoi, ma poi togliti dalle scatole!”
Non ti faccio il catalogo di quelli fissati col sesso di un certo tipo e solo quello, di quelli cattolici che prima fanno sesso con te e poi ti danno la colpa di tutto e ti accusano di averli portati sulla cattiva strada, perché “loro non sono gay e vogliono avere una famiglia ecc. ecc.”, ti risparmio pure quelli della categoria peggiore, quella dei gelosi possessivi, che ti spiano, che pretendono da te un’obbedienza senza discussioni e di quelli possessivi affettivi che ti vogliono rendere un satellite della loro galassia a forza di ricatti affettivi o sessuali, che pretendono di scegliere i tuoi amici, di decidere i film che devi vedere, di programmare le tue vacanze, ecc. ecc.. E poi c’è la categoria degli indecisi cronici, di quelli dei ma e dei però, dei sì ma con riserva, o dei no ma con riserva, che è ancora più assurdo, questi io li chiamo quelli del: “Mamma Ciccio mi tocca! … Toccami Ciccio che mamma non c’è!”
Alla fine, quando avevo ormai 40 anni, mi sono stufato e ho detto basta! Se mai ne troverò uno normale e se ne viene veramente qualcosa di accettabile, ok, altrimenti meglio solo che male accompagnato!” In pratica mi sono cancellato da certi siti e ho eliminato certe app. Non c’è bisogno che ti dica quali. Usavo un po’ di porno e mi accontentavo di quello, perché, diciamocelo chiaro, sono stato sempre ipocondriaco e non mi sono mai messo a rischio, cioè quando facevo sesso con un ragazzo stavo molto attento a non passare i limiti di guardia e quando dicevo di no era no e basta, e questo tanti ragazzi non lo accettavano proprio, per loro io ero uno strano, fissato, ecc. ecc.. Dopo aver messo da parte l’idea di trovarmi un compagno, ho fatto proprio altro, ho lavorato, ho messo su una piccola impresa privata, molto piccola ma che mi dà soddisfazioni e assorbe la gran parte del mio tempo.
A 42 anni ho incontrato un ragazzo che aveva 12 anni meno di me, era un ragazzo diverso dagli altri, prudente nel parlare e con un modo di fare che mi piaceva, mai aggressivo, era anche un bel ragazzo, oltre che intelligente, ma tutto questo per me significava che ci sono ancora ragazzi belli e intelligenti, ma niente più di questo. Pensavo che quel ragazzo appartenesse ad un mondo lontano dal mio, in pratica non pensavo nemmeno che tra noi ci potesse essere più di uno scambio di quattro parole di cortesia, ero convinto che fosse etero, insomma per me era e pensavo che sarebbe rimasto un perfetto sconosciuto.
Lo avevo incontrato per la prima volta nella sala d’aspetto del mio commercialista e avevamo parlato un po’ di tante tematiche generali, ma solo per passare il tempo e, dopo quell’episodio, non ci siamo più visti per un paio di mesi e praticamente io mi ero del tutto dimenticato di lui, poi verso la metà di dicembre, in una giornata in cui avevo un sacco di problemi per la testa, l’ho incontrato per caso in treno, mentre andavo a Milano per problemi legati alla mia piccola impresa, lui stava nel corridoio del mio vagone, e abbiamo cominciato a parlare. Dopo qualche minuto è venuto nel mio scompartimento, era mattina e c’era pochissima gente, nello scompartimento eravamo solo noi due e il viaggio sarebbe durato almeno altre tre ore. Mi sono dimenticato completamente dei miei problemi e ho passato il tempo del viaggio come in una nuvola rosa, mi sembrava un ambiente incantato, ma anche irreale.
Eravamo diretti entrambi a Milano, lui viveva a Milano e ci lavorava, ma veniva spesso a Roma, dove vivevano i genitori. Io non sono mai stato un conquistatore, con i ragazzi sono sempre stato molto impacciato ma con lui mi sentivo a mio agio, diciamolo chiaro, non ero impacciato perché semplicemente pensavo che non lo avrei più rivisto, non avevo nessun progetto su di lui, nemmeno a livello di minima fantasia. Io dovevo rimanere tre giorni a Milano e non avevo prenotato l’albergo, perché un albergo lo avrei trovato comunque e lui mi ha detto: “Ma se devi stare tre giorni a Milano stai a casa mia, è piccola ma comoda, in centro.” Alla stazione ci siamo separati perché lui aveva impegni di lavoro e anche io non mi sarei liberato prima delle 19.00. Ci siamo dati appuntamento per le 19.30 sotto casa sua, ovviamente ci siamo scambiati i numeri di cellulare.
Alle 19.30 sono in via [omissis] e lui è lì con una borsa di plastica in mano, mi dice: “Ho preso qualcosa per la cena…” La casa era minuscola, una sola stanza, ma era tutto in perfetto ordine, andiamo nella cucinetta e lui si mette ai fornelli, prepara due piatti di spaghetti e mette in forno pollo e patate della rosticceria, nel frattempo parliamo, ma sempre di cose molto generali. L’atmosfera è familiare, per un attimo ho avuto la sensazione che sarei stato bene con quel ragazzo, ma un’idea del genere mi sembrava mille miglia lontana dalla realtà.
Finita la cena, lava i piatti in un baleno e poi mi dice che è stanchissimo e che vorrebbe andare a dormire. Nella stanza ci sono due letti, mi indica il mio, ci prepariamo per la notte e ci mettiamo a letto, ma a dispetto della stanchezza ci mettiamo a parlare e andiamo avanti fino a notte alta. Era il primo giorno che parlavo con quel ragazzo, mi sentivo a mio agio e la situazione non mi sembrava affatto strana. Ti giuro, Project, ero convinto che lui fosse etero e ho evitato accuratamente qualsiasi riferimento anche vaghissimamente gay. Aveva una bellissima voce, maledettamente sexy, ma secondo me era etero… e tutto il discorso è rimasto su temi generalissimi, in pratica non siamo mai scesi nel privato. Lui non parlava mai di ragazze come non ne parlavo io, ma io al momento non potevo dare il minimo peso a un fatto del genere. In casa aveva qualche libro ma mi sembravano i classici libri etero, diciamo così, non c’erano fotografie o quadri, niente di tutto questo.
La mattina la sveglia suona alla sette in punto. Lui si alza immediatamente e va in bagno, sento l’acqua della doccia che scorre ma la cosa non mi fa né caldo né freddo, poi esce dal bagno e va in cucina. Io entro in bagno, ha aperto la finestra e ci fa un freddo cane, ma è tutto pulito, prima di uscire ha asciugato tutta la doccia e ha cambiato l’asciugamano. Io faccio la doccia in fretta e poi asciugo tutto, come aveva fatto lui, quando esco dal bagno trovo la colazione pronta. Mi dice che sarebbe uscito dopo 10 minuti e che se volevo potevo restare in casa, mi dà un mazzo di chiavi e mi dice solo che, quando esco, devo chiudere la porta. Lui sarebbe tornato intorno alle 19.15, poi mi fa un cenno con la mano e se ne va.
Ero solo, a casa sua, avevo le chiavi di casa, avrei potuto curiosare un po’, anche se c’era ben poco da curiosare. Scelgo una via diversa, rifaccio i letti, sia il suo che il mio, il suo conserva una traccia sensibile del suo profumo, lavo le tazze della colazione, sistemo quel poco che c’era da sistemare in cucina e poi esco per i miei incontri di lavoro. Alle 18.00 gli mando un sms: “Non prendere nulla per la cena, ci ho pensato io.” Vado in rosticceria e compro qualcosa, aggiungendo anche una bottiglia di vino toscano, poi torno a casa sua, metto l’acqua sul fuoco basso e preparo la tavola.
Qualche minuto prima delle 19.00 lui arriva e sembra molto contento di trovare tutto sistemato, a me viene un sorriso spontaneo, ma lui non parla della casa sistemata e della cena pronta, mi chiede invece con una faccia interrogativa a che punto sono con i miei impegni a Milano, la domanda mi suona strana, la interpreto come se lui volesse dirmi che se ho fatto quello che dovevo fare me ne posso pure andare, smetto di sorridere e con una faccia seria gli rispondo che in pratica ho fatto tutto quello che avevo da fare e che potrei ritornare a Roma anche in serata perché dovrei solo cambiare il biglietto. Lui mi dice: “Io domattina non lavoro, se vuoi ti faccio vedere un po’ di cose belle di Milano.” Non mi aspettavo quella risposta e lui deve avere visto dalla mia faccia che mi era tornato il buon umore. Evidentemente non ci fidavamo ancora uno dell’alto, cercavamo conferme e i fraintendimenti erano possibili.
La faccio breve, il mio secondo giorno a Milano è stato molto bello, mi sembrava di conoscere da sempre quel ragazzo, abbiamo pranzato fuori, siamo rientrati la sera e abbiamo parlato fino a tardi prima di addormentarci. Il terzo giorno è stato breve e ci siamo visti solo la mattina presto, lui lavorava fino alle 19.00 e io avevo il mio treno alle 11.30. Gli ho restituito le chiavi di casa e ci siamo salutati con una stretta di mano. Poco prima dell’orario della partenza mi ha mandato un sms ringraziandomi per le belle giornate che aveva passato con me. Gli ho detto che lo aspettavo a Roma al più presto e che se fossi tornato a Milano glielo avrei fatto sapere.
Preso il treno, ho cercato di riordinare i ricordi di quelle ore passate insieme, e lì mi è venuto in mente che quello poteva essere un modello di vita di coppia, ma in realtà sapevo benissimo che era solo fantasia. Davo comunque per scontato che fosse etero, e pensavo che anche lui mi avesse preso per etero. Dopo circa 10 giorni mi richiama, mi dice che verrà a Roma l’indomani e mi chiede se posso ospitarlo, per una notte, mi spiega che lui doveva andare dai suoi genitori ma che ha anticipato il viaggio di un giorno per passare una giornata con me, i suoi sapevano che sarebbe arrivato il giorno dopo e quindi dal giorno dopo sarebbe rimasto a casa loro, ma un giorno voleva passarlo con me.
L’indomani mattina alle 11.00 vado a prenderlo alla stazione e lo porto a casa mia. Non c’è bisogno di dire che avevo ripulito e sistemato tutto e avevo fatto sparire tutti gli indizi gay. Poco prima di mezzogiorno siamo a casa, gli avevo preparato una stanza tutta per lui, ma mi dice che era venuto per parlare con me e che così non sarebbe stato possibile. Spostiamo il suo letto nella mia stanza, poi pranziamo, lui nota che tutto è preparato con la massima attenzione, mi dice che casa mia è molto più grande della sua e anche molto più antica, in effetti vivo in una zona della Roma vecchia e in un palazzo che penso sia del 1700, di due soli piani, con le volte a vela fatte di mattoncini, era una casa di famiglia di quando quelle case erano case di povera gente, poi, col tempo, sono diventate case per turisti, se opportunamente ristrutturate, e la mia non lo è.
Il pomeriggio andiamo a fare un giro della città e soprattutto dei posti dove i turisti non vanno, la sera non vuole mangiare fuori, torniamo a casa, prepariamo una cenetta rapida e poi ce ne andiamo in salotto a parlare. Mi racconta la sua storia ma in modo molto sintetico e lacunoso, volutamente banalizzante, come se fosse un insieme di cose ovvie, e io sto a sentirlo con la massima attenzione. Si vede che è a suo agio, almeno relativamente o, meglio, si vede che non ha paura di me, ma sta esplorando il terreno, non mi dice niente di particolarmente significativo, però è in quella situazione che mi comincia a venire in mente che il rapporto che ho con quel ragazzo potrebbe essere qualcosa di più complicato di come mi appariva all’inizio, lo ascolto ma comincio a farmi domande, mi rendo conto che non abbiamo mai parlato di donne e comincio ad aspettarmi che il discorso possa finire con una qualche dichiarazione importante, ma a un certo punto mi dice che è stanco e che l’indomani mattina dovrà alzarsi presto e ce ne andiamo a dormire. Mi chiedo perché mi abbia fatto portare il suo letto nella mia stanza ma alla fine preferisco non farmi troppe domande.
La mattina del giorno successivo facciamo colazione insieme, poi mi saluta con una stretta di mano e se ne va. Io cancello rapidamente dal mio cervello ogni ipotesi alternativa e mi dico: “Ma che vado a pensare! I gay vedono gay dappertutto! E io non faccio eccezione.” Tre settimane dopo mi capita di dover andare di nuovo a Milano, lo chiamo e glielo dico, mi sembra contento, mi dice che non potrà venire in stazione e che ci vedremo direttamente alle 19.30 sotto casa sua. La telefonata è brevissima, si sente che è indaffarato. Io penso di dovermi sdebitare con lui e gli compro una sciarpa, un oggetto, come un modo di dire grazie.
Nel viaggio verso Milano comincio a pormi tante domande a anche ad alimentare qualche aspettativa, pensavo che finalmente saremmo arrivati “forse” a parlare chiaro perché tutta la storia aveva ben poco di ordinario. Alle 19.30 ci vediamo sotto casa sua, come la volta precedente ha preso qualcosa in rosticceria per la cena. In casa noto subito che è contrariato, che non è di buon umore, provo a fargli qualche domanda ma dribla le domande e parla d’altro. Gli arriva una chiamata sul cellulare, guarda chi è ma non risponde e spegne il cellulare. Penso che sia una cortesia nei miei confronti, ma mi dice che di rotture di scatole ne ha avute anche troppe. Si comporta in modo strano, non è come la prima volta, è gentile ma anche scostante, al punto che gli dico: “Se hai bisogno di restare solo, non c’è problema, c’è un albergo qui a 200 metri…” Lui mi guarda e mi dice: “No… tu non c’entri niente, sono rogne di lavoro…” Ma io non ho l’impressione che siano rogne di lavoro. Lui comunque taglia corto. Finiamo la cena e mi dice che è stanchissimo e vuole andare a dormire. Non restiamo a parlare come la prima volta, mi sento quasi un ospite sgradito, forse non proprio, comunque lui resta chiuso nel suo mondo, cioè nel suo malumore.
L’indomani ci salutiamo piuttosto freddamente. Io dovevo ripartire per Roma in mattinata. Questa volta non mi arriva alcun sms prima della partenza. Su treno mi ripeto tante volte che non devo lasciare correre troppo la fantasia e che farò bene a restarmene nel mio mondo. Mi riprometto di non chiamarlo quando avrò altre occasioni di andare a Milano e su questo, almeno in quel momento, non ho dubbi. Arrivo a Roma e lui mi chiama al telefono per chiedermi scusa, è una cosa che non mi aspetto affatto, ne sono positivamente impressionato e arrivo alla conclusione che dopotutto ognuno può avere dei momenti neri e che probabilmente i suoi derivavano proprio da faccende di lavoro.
Non ci sentiamo per quasi un mese. Pensavo che si fosse dimenticato di me e in un certo senso ne ero anche contento, perché così anche io avrei potuto metterci una pietra sopra. Poi, in modo del tutto inatteso mi chiama una mattina prima delle 7.00, mi dice che sarà a Roma l’indomani e mi chiede se può stare da me. Ovviamente gli dico di sì, ma dentro di me non sono affatto entusiasta della cosa. Comunque gli dico di sì. Ho la tentazione di fargli pesare il modo in cui mi aveva trattato a Milano la volta precedente, poi mi dico che un pensiero simile è proprio meschino e puerile e mi impongo di organizzare tutto esattamente come la volta precedente.
Vado a prenderlo alla stazione, è visibilmente contento di vedermi e anche io sono contento di rivederlo, gli chiedo se l’indomani deve andare dai suoi genitori ma mi dice che ha preso tre giorni di ferie e che è venuto per me, questa espressione mi suscita tanti interrogativi ai quali non so e non oso dare risposta. In pratica sarebbe rimasto a Roma tre giorni, cosa che io non mi aspettavo assolutamente, lui si rende conto del mio disappunto e mi dice: “Se ti creo problemi, basta dirlo, me ne vado anche subito…” Io lo guardo e gli dico: “Stai zitto! Adesso sposto i miei impegni, e non fare quella faccia!” Mi sono messo al telefono e nel tempo di un quarto d’ora mi sono organizzato tre giorni liberi. Questo è il vantaggio di chi fa il piccolo imprenditore come me, anzi dovrei dire piccolissimo!
Quando chiudo il telefono lui vuole riattaccare col fatto che può andare via anche subito, ma gli dico in modo perentorio: “Se sei venuto qui un motivo serio ce l’avrai…” Lui mi guarda e mi dice: “Dammi tempo …“ Si stende sul divano del salotto e io avverto che sta per dirmi qualcosa di importante. Mi dice: “Tu hai capito, vero?” Io in realtà non avevo capito che cosa, secondo lui, avrei dovuto capire e non volevo assolutamente dire sciocchezze, però non potevo fare il finto tonto perché lo avrei messo in imbarazzo, e gli ho risposto: “Beh, più o meno, penso di sì…” Io pensavo (speravo) che mi potesse dire che si era innamorato di me, che io ero importante per lui, ma non si trattava di niente di simile. Mi dice: “Il mio ragazzo mi ha mollato… con lui stavo bene, ma mi ero illuso e ieri mi ha mollato. Quando sei venuto a Milano l’ultima volta io ero già fuori dai gangheri perché mi trattava con indifferenza, ma adesso mi ha proprio mandato a quel paese… ”
In pochi minuti ero passato dal ruolo di quello che si aspetta una dichiarazione d’amore al ruolo di quello che deve fare da consolatore, tuttavia la cosa, in un certo senso, per me era rassicurante, anche se può sembrare paradossale. Cerco di lasciarlo parlare e di intervenire il meno possibile. Si sente ingannato dal suo ex. Si sfoga un po’ ma poi è evidente che da me si aspetta una qualche risposta seria. Io faccio come aveva fatto lui, evito del tutto i preamboli e gli dico: “Quando una storia finisce sembra sempre un fallimento ma può essere una liberazione. È meglio sapere come stanno realmente le cose che andare avanti restando all’oscuro di tutto. Non hai perso che un’illusione.” Lui mi guarda sconsolato e mi dice: “Lo so, ma ci sono rimasto male e molto.” Io decido di uscire dall’ambiguità e di fare anche io il mio coming out e gli dico: “È successo anche a me, una cosa praticamente identica, se n’è andato perché cercava qualcosa che io non ero capace di dargli” Dopo questo reciproco coming out sono entrato in pieno nel mio ruolo di consolatore. Gli ho detto: “Dai, dammi una mano che cuciniamo un po’ più in grande!” Lui mi ha guardato sorridendo e ha detto: “Ok!”
Mi chiedevo che cosa lui si aspettasse da me, quali dovevano essere i limiti del mio ruolo e su questo avevo le idee molto confuse. L’unica cosa possibile mi sembrava l’agire con la massima prudenza, o meglio con il massimo rispetto nei suoi confronti. Avevamo ancora due giorni da passare insieme e io non sapevo come comportarmi. Abbiamo cucinato, pranzato, lavato i piatti insieme, poi mi è venuto in mente di chiedergli se i suoi sanno di lui. Mi ha risposto che i genitori sono brave persone e che si sono sempre dati da fare per lui ma lui ha fatto di tutto per finire gli studi il prima possibile e per andarsene a lavorare in un’altra città, perché voleva avere un po’ di autonomia e alla fine è riuscito a procurarsela. Non ha fratelli né sorelle e anche per questo il rapporto coi genitori era strettissimo e quasi asfissiante. Ha mantenuto un buon rapporto coi genitori anche se non può parlare chiaro con loro, va a trovarli più o meno una volta ogni due mesi ma per il resto del tempo se ne sta a Milano e si mantiene in contatto con loro solo via skype. Mi ha detto: “La mia famiglia è una famiglia normale nel bene e nel male.”
Dopo il discorso sulla famiglia non sapevo più che cosa dire e l’imbarazzo reciproco si sentiva fortissimo. Anche lui non sapeva più che cosa dire e come comportarsi, adesso sapevamo che eravamo due gay che avevano piacere a parlare insieme, era evidente che sia a lui che a me era venuto in mente che si sarebbe potuto fare un passo oltre, ma la paura di rovinare tutto era talmente forte da essere paralizzante. Gli propongo di uscire nel pomeriggio per fare un giro in centro. Mi risponde che non è venuto per fare il turista ma per stare con me, espressione quanto mai ambigua in sé, ma dietro la quale, in quelle particolari circostanze, si può sottintendere qualsiasi cosa. Cominciamo a parlare delle nostre esperienze gay, ma era evidente che il discorso serviva solo a riempire il tempo, ed era altrettanto evidente che non c’era molto da raccontare. Qualche storia, ma in fondo niente di serio. Gli ho chiesto che cosa avrebbe voluto dalla sua vita e mi ha detto che non lo sapeva.
Si è alzato evidentemente per venire a sedersi vicino a me, ma non lo ha fatto, ha fatto dietrofront e se ne è andato a sedersi di nuovo in poltrona. Poi mi ha chiesto: “Perché pensi che sono venuto qui oggi?” Gli ho risposto: “Perché eri rimasto malissimo di quel ragazzo e ti andava di parlare un po’.” Ma mi ha fermato e ha detto: “Solo per questo?” Io gli ho detto: “Spero di no…” allora è venuto a sedersi accanto a me, mi ha preso la mano destra e l’ha stretta fin quasi a farmi male, poi ci ha appoggiato il viso, io gli ho passato una mano tra i capelli, lui mi ha detto: “Fammi stare così cinque minuti e poi basta…” Io sono rimasto in silenzio ad accarezzargli i capelli, poi si è appoggiato alla mia spalla e non ha detto una parola per lunghissimi minuti. Ne sentivo il calore, la presenza fisica, ma anche il disagio, l’incertezza.
A un certo punto si è alzato in piedi, sembrava turbato, rabbuiato in volto, qualche brutto pensiero deve avergli attraversato la mente. Gli ho chiesto: “Che c’è? Qualcosa non va?” Mi ha risposto solo: “Nulla…”, poi mi ha ripreso la mano e me l’ha stretta di nuovo in modo fortissimo. Penso che anche lui percepisse chiaramente tutta la mia incertezza, poi il suo telefono ha squillato, lo cercavano per problemi di lavoro ed è rimasto al telefono per tanto tempo, ha aperto il suo portatile super-tecnologico e si è messo in contatto col suo ufficio. Io l’ho lasciato tranquillo, nel frattempo ho fatto il caffè e gliel’ho portato con qualche biscotto, lui mi ha risposto con un sorriso e io sono andato a preparare un po’ di cena fino alla fine della telefonata.
Quando ha finito si è scusato e io gli ho detto: “Ma ci mancherebbe altro che tu debba scusarti se devi lavorare!” Poi mi è arrivata, come un flash, una domanda che non mi aspettavo, mi ha chiesto: “Perché non ci hai provato con me quando stavamo sul divano?” Mi sono sentito preso in contropiede e ho risposto banalmente: “Perché non vorrei mai che tu potessi sentirti forzato in nessun modo.” Lui mi ha guardato e mi ha detto: “Io ho pensato esattamente la stessa cosa di te…” E ci simo abbracciati strettissimi. Sentire la fisicità di un ragazzo che ti vuole è una sensazione fortissima, non sono parole ma è proprio il suo corpo. L’abbraccio è stato intensissimo, voluto, profondo, era già un modo di essere una cosa sola.
Pensavo che dopo sarebbe stata tutta una strada in discesa ma non è stato così. Lui mi stringeva ma non era veramente felice. Gli ho detto: “Ti vedo sconvolto…” Lui si è staccato da me e mi ha detto: “Devo dirtelo… io sto pensando ad un altro ragazzo, e vorrei che adesso qui ci fosse lui. Io un po’ un discorso del genere me lo aspettavo e gli ho detto: “Beh in una situazione come questa pochissime persone avrebbero la forza di fare un discorso come questo, lo apprezzo moltissimo, perché è un discorso onesto.” Mi vedevo riportato un’altra volta nel ruolo del consolatore, ma non mi sembrava affatto una cosa secondaria. In fondo tra noi si era creato in pochissimo tempo un rapporto di totale chiarezza, che è una cosa più unica che rara. Ma quella chiarezza non aveva messo in crisi nulla, anzi, aveva rafforzato un legame che ormai era dato per scontato da entrambe le parti.
Abbiamo cucinato insieme e la sintonia era perfetta. Sembravamo un équipe chirurgica affiata. Dopo cena mi ha detto che si sentiva stanchissimo, anche se non erano ancora le dieci. Se ne va in bagno e poi si mette al letto, mi chiama, vuole che metta la poltrona accanto al letto e che mi sieda in poltrona, mi dice: “Se vuoi…” Io sorrido e gli dico: “Certo che voglio!” e mi siedo accanto a lui. Ha due occhi meravigliosi, di quelli che ti rubano l’anima. Gli accarezzo i capelli per qualche minuto e lui si addormenta. Evidentemente si sentiva al sicuro e non si sentiva minimamente condizionato. Anche io me ne vado a dormire. In pochissimo tempo il nostro rapporto era diventato importantissimo, io ero contento che lui fosse lì ed era venuto da Milano per me. Pensavo che non avrei dormito per l’affollarsi dei pensieri ma non è successo così e ho dormito benissimo.
Mi sono alzato la mattina alle 7.00 e ho preparato la colazione, poi sono andato a svegliarlo, si è stiracchiato come un gatto e mi ha fatto un bellissimo sorriso. Gli ho detto: “La colazione è pronta!” Si è alzato ed è venuto a tavola in pigiama. A un certo punto mi ha detto: “Non te la sei mica presa per quello che ti ho detto ieri sera?” Io gli ho fatto cenno di stare zitto e di mangiare e lui ha risposto sì con la testa. Io gli dico: “Oggi ti porto al Museo Pigorini all’EUR e penso che ti piacerà parecchio!” Gli spiego brevemente di che cosa si tratta e mi sembra molto interessato. La visita al museo mi ha dato una chiara idea dello spessore culturale di quel ragazzo. Lui è un ingegnere ma sapeva moltissime cose di preistoria, dell’uomo di Neanderthal , delle periodizzazioni geologiche e di mille altre cose. La nostra non è stata una passeggiata di corsa attraverso il museo, ma una visita decisamente attenta e molto selettiva, soprattutto orientata verso il settore preistorico e meno verso quello etnografico.
Siamo rientrati a casa che erano quasi le tre, ma avevamo preso qualcosa da mangiare in rosticceria e il pranzo ha richiesto poco tempo. Dopo è subentrato un momento di reciproco imbarazzo, bisognava rompere il giaccio. Io non volevo fare danni e nemmeno lui, ma poi ha preso l’iniziativa e io non mi sono fatto pregare. Di esperienze sessuali nel vero senso della parola non ne avevo avute moltissime ma un minimo di esperienza ce l’avevo anche io (e anche lui), ma, per quanto mi riguarda, stare con lui era proprio una cosa totalmente diversa, era tutto spontaneo, ci si capiva, non c’era il minimo imbarazzo, insomma con lui stavo “bene” mi sentivo sereno, capito, accettato, importante e lo vedevo a suo agio.
C’è stato però un momento che mi ha turbato profondamente. Quando abbiamo finito lui aveva gli occhi umidi ma non ho osato chiedergli il perché. Il giorno appresso la cosa si è ripetuta, anche se in tono minore, ho provato a esplorare il terreno, lui mi sorrideva, mi accarezzava il volto e non parlava ma i suoi occhi tristi parlavano per lui. Il pomeriggio del terzo giorno ci siamo salutati molto calorosamente ma lui aveva un atteggiamento serio, pensieroso e non voglio dire triste. Gli ho mandato un sms per dirgli grazie e mi ha risposto con una frase che mi ha fatto tremare: “Non so se ho fatto bene. Perdonami.” Ho calcolato i tempi che ci avrebbe messo ad arrivare a Milano e l’ho chiamato. Mi ha detto che era appena arrivato a casa. Io gli ho detto che ero preoccupato per quelle frasi e lui mi ha detto: “Non ti devo illudere, perché ci puoi rimanere malissimo…” Gli ho detto che non sono affatto illuso ma che gli voglio bene, che lui con me è stato onesto al 100% e che non si deve sentire vincolato in nessun modo, perché la sua libertà, per me, è sacra. Ha aggiunto: “Però quando ti ho detto che non stavo penando a te ma al mio ex, beh penso che sia stata come una coltellata per te …” Gli ho detto: “No, è chiaro che continui a pensare a quel ragazzo e che potresti pensare anche ad altri ragazzi, ma non è che ti posso voler meno bene per questo, ti voglio bene per quello che sei e per come mi hai trattato, non mi era mai successo niente di simile …” Lui mi ha risposto: “Beh, però devi tenere conto che non ti posso garantire niente, perché sono un tipo molto volubile…” Gli ho detto che non mi deve garantire proprio niente, ci mancherebbe altro! Alla fine della telefonata mi ha detto che non sapeva se mi avrebbe richiamato e io gli ho risposto: “Se non lo fai tu lo faccio io, basta che tu rispondi…” E mi ha detto: “Su quello ci puoi contare!” e la telefonata è finita così.
Non si è fatto vivo per una settimana e allora l’ho chiamato. È stato contento. Mi ha detto che aveva rivisto il suo ex e che stavano provando a rimettersi insieme. Ma il tono non mi sembrava proprio quello di un ragazzo innamorato, insisteva molto su verbi come provare, cercare di, ma in effetti l’entusiasmo non c’era proprio. Io dovevo guardarmi bene dall’intromettermi nelle sue storie importanti, ma avevo molti dubbi circa il fatto che quelle fossero veramente storie importanti. Comunque mi sono sentito di troppo e mi sono ritirato in buon ordine, non l’ho chiamato per una settimana e poi mi ha chiamato lui, sembrava più sereno, non era imbarazzato dal parlare con me, dava per scontato che il fatto che si fosse rimesso col suo ex non avrebbe mandato in frantumi il nostro rapporto.
Per me la situazione era imbarazzante perché io pensavo che lo fosse per lui e per lui era imbarazzante perché lui pensava che lo fosse per me. Siamo stati a parlare per un paio d’ore, la presenza del suo ex non si avvertiva minimamente. Abbiamo anche scherzato e detto stupidaggini, poi il discorso è tornato sul tono serio e mi ha detto che si era sentito osservato da me quando avevamo finito di fare l’amore e gli veniva da piangere e mi ha detto che gli veniva da piangere perché lui avrebbe voluto fare l’amore in quel modo col suo ex e si sentiva uno che mi stava ingannando e ha aggiunto “come adesso sto ingannando il mio ex, perché non me ne sento più innamorato” Gli ho chiesto: “E allora perché ti ci sei rimesso?” E lui mi ha risposto: “Lui ha insistito tantissimo e non sono stato capace di dirgli di no, e adesso si è illuso un’altra vola e io lo sto imbrogliando.”
Gli ho chiesto: “Ma tu che cosa vorresti?” e mi ha detto che vorrebbe che il suo ex fosse come me, la qual cosa mi ha inorgoglito molto ma mi ha anche frenato molto. Lui ha continuato a stare col suo ragazzo col proposito di poterlo cambiare almeno un po’ dall’interno. Con me il contatto non si è mai interrotto, ma non è venuto a Roma fino al Natale successivo, in pratica per 10 mesi, e io non sono andato a Milano, o meglio, ci sono andato per lavoro, ma sono andato in albergo senza dirgli nulla, per non intromettermi nei suoi progetti sentimentali. L’11 Dicembre mi chiama e mi dice: “Domani vengo da te… “ Io capisco che cosa vuol dire quella frase, provo a chiedergli che cosa è successo, ma mi risponde. “Non fare domande, ci vediamo domani, arrivo col treno delle 11.00.”
Vado a prenderlo in stazione, vorrei portalo a pranzo fuori ma mi frena: “No! Andiamo a casa!” Una volta dentro, mi abbraccia strettissimo e mi dice: “Mi mancavi tanto!” Il resto te lo puoi immaginare. Da allora sono passati quasi 4 anni. Lui sta cercando di trasferirsi a Roma ma non è facile. Un fine settimana vado io da lui e uno viene lui da me. Vivendo insieme con lui posso dire che mi sembra di vivere una favola e nello stesso tempo una situazione di normalità totale. Noi non siamo una coppia convivente, siamo conviventi ma non siamo una coppia, semplicemente ci vogliamo bene, tra noi non ci sono vincoli, finché funziona tutto da sé, ok, altrimenti continueremo a volerci bene in un altro modo. Mi fermo qui. Se vuoi, metti nei siti questa mail, gliel’ho fatta leggere e quando ha finito di leggere mi ha detto che non devo mitizzare e mi ha dato un bacio in fronte.
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Se volete, potete partecipare alla discussione di questo post, aperta sul forum di Progetto Gay:
http://progettogayforum.altervista.org/viewtopic.php?f=22&t=6956