giovedì 27 settembre 2007

ANDY STORIA DI DUE RAGAZZI GAY SESTA PARTE

Ormai Marco si preparava alla notte, che cosa avrebbe fatto? Avrebbe letto o riletto uno dei suoi libri che aveva portato in piccionaia, avrebbe riacceso il computer per un po’ di nudo su internet, o avrebbe solo acceso la televisione? Tutto sommato non era così deluso e non sentiva la necessità di leggere Pasolini che si riservava per le giornate peggiori, per accendere il computer in fondo non aveva una spinta vera, si sentiva già tranquillo così, non aveva bisogno di sesso, o forse sì, ma non di quello telematico, scelse la via più facile: la televisione, cominciò a far scorrere i canali senza fermarsi su nessuno in particolare, a un certo punto, stanco di cambiare canali, spense il televisore e si sentì solo, stese le gambe sul divano e fece un lungo sospiro, se fosse stato a casa dai suoi non avrebbe avuto modo di sentirla così quella maledetta solitudine, ma in una casa vuota, con la televisione spenta, Marco si sentiva solo con i propri pensieri. Come sarebbe stato bello vivere in due in quella casa, sapere e sentire che c’è qualcuno che vuole stare con te, che ti vuole bene, Marco cominciava a fantasticare, il letto a due piazze c’era già, come sarebbe stato bello dormirci in due, abbracciarsi la sera e fare l’amore, abbandonarsi nelle braccia del tuo ragazzo e sentirlo vicino, Marco di queste cose cominciava a sentire la mancanza in modo forte, vivere da solo aveva fatto scoppiare la sua solitudine, si mise a girare per la casa, era tutta per lui ma Marco ci si sentiva disperatamente solo, il silenzio era un silenzio di solitudine, non era un silenzio di tranquillità come a casa dei suoi quando suo padre usciva la mattina. Non si sentivano rumori, spense la luce e aprì la finestra, il cielo era velato e non si vedeva nemmeno una stella, la strada, dall’ottavo piano sembrava lontanissima, le macchine piccole piccole e le persone quasi insignificanti, l’aria era umida ma non fredda, era una tipica nottata umida di primavera, dopo un po’ chiuse la finestra ma non riaccese la luce, se ne andò in camera da letto, si tolse le scarpe e si sdraiò sul letto, gli venne in mente che non lo chiamava mai nessuno al telefono, solo i suoi non lo dimenticavano, gli altri si erano tutti allontanati o Marco stesso li aveva allontanati, non voleva amici coi quali non poteva parlare di sé, non sarebbero stati amici, avrebbe voluto un amore vero, si sentiva pronto per un amore vero ma non aveva che la sua fantasia. Si spogliò e si mise a letto, accese la radio per avere una forma di compagnia, ascoltò per un po’ radio radicale ma la trovò poco adatta al suo momento psicologico, trovò finalmente una stazione di musica jazz, i ritmi erano piuttosto lenti e riposanti, Marco aveva apprezzato in diverse situazioni la musica jazz e anche in quella serata provò nell’ascoltarla un senso di distensione e di tranquillità profonda. Allungò un braccio verso l’altra metà del letto, immaginò che non fosse vuota, cercò di capire come ci si potesse sentire ad avere un altro ragazzo vicino e non uno qualunque, Marco aveva la tremenda paura che gli anni sarebbero passati e che si sarebbe trovato vecchio senza avere mai provato che cosa vuol dire essere in due, sentiva di avere già atteso abbastanza, aveva bisogno non di tranquillità ma di innamorarsi, di provare gli sconvolgimenti dell’amore, di sentirsi nell’anima le ansie e le gioie degli innamorati, ma Marco non si era mai innamorato, non era nemmeno un innamorato deluso o un innamorato dell’impossibile, semplicemente non sapeva che cosa fosse l’amore. Di libri con storie d’amore gay ne aveva letti tantissimi, due soprattutto lo avevano veramente toccato: Maurice di Forster e Another country di James Baldwin, di quest’ultimo libro in particolare aveva una specie di culto, si identificava con James Baldwin, aveva l’impressione che l’autore avesse vissuto una vita affettiva per moltissimi aspetti simile alla sua, certo con più disperazione ma con lo stesso sistema di valori. Di Another country Marco aveva cercato l’edizione inglese e l’aveva comprata, ne aveva imparato a memoria dei lunghi tratti, nel libro, dopo la morte tragica di un ragazzo gay nero angosciato dalla solitudine si parlava della storia di un americano che incontra un ragazzo francese di nome Ives: i due si innamorano, Ives è molto giovane, la storia è bella, anzi tenera, e nonostante tutto finisce bene, l’americano torna a Los Angeles, Ives resta in Francia, gli scrive una dolcissima lettera e poi lo raggiunge in America, quando sbarca all’aeroporto il romanzo si conclude con un riferimento quasi mistico: Los Angeles è la città dove gli angeli (leggi i protagonisti del libro) hanno posto la loro dimora. Sarebbe piaciuto tantissimo a Marco sapere scrivere cose come quelle che scriveva Baldwin ma probabilmente non aveva dentro abbastanza disperazione, andò a cercare il libro e ne rilesse qualche pagina, erano pagine piene d’amore, di rispetto, di attenzione reciproca, dove il sesso (e ce n’era pochissimo) era sempre e solo una forma d’amore. A Marco sarebbe piaciuto conoscere Baldwin ma quando Baldwin era morto Marco era ancora un bambino.
Si sentì sereno, non vuoto ma proprio sereno, lo aspettava una giornata di studio, era impegnato a cercare di recuperare il tempo perduto e lo avrebbe fatto, o almeno avrebbe cercato di farlo. Cominciò a fantasticare e a immaginarsi vicino a una ragazzo come Ives del romanzo di Baldwin, un incontro come quello, anche nel libro, era stato casuale ma poi aveva determinato una vita intera, ci sarebbe stato un Ives anche per Marco? Avrebbe potuto Marco donare a qualcuno tutto il suo amore e il frutto di tutte le sue riflessioni? Marco non lo sapeva. Finalmente si addormentò.
Il venerdì mattina si mise al lavoro di buon’ora, prima delle otto era già al tavolino, aveva fatto colazione fuori e aveva intenzione di rileggere le 40 pagine ancora mancanti entro la mattina, il pomeriggio avrebbe cercato di leggere oltre la pagina 180 e la sera sarebbe andato dai suoi, si impose di non accendere il televisore e cominciò a leggere con la solita posa di recitazione, capace di aiutarlo a fissare l’attenzione sui contenuti, Marco diceva: come se stessi tenendo una conferenza sull’argomento. Alle undici aveva finito la rilettura, con netto anticipo sul previsto e gli era anche rimasta l’impressione che la seconda lettura fosse stata molto più proficua della prima, cominciò a procedere oltre la pagina 180: nuovo capitolo, nuove speranze. Cercava di leggere con la massima attenzione in modo da evitare di dover poi rileggere una seconda volta, la lettura era lenta ma utile, all’una era arrivato alla pagina 210 con buoni risultati. Stabilì di fermarsi e di pranzare, nel frigo c’erano ancora un po’ di cose cucinate, di quelle che gli aveva messo da parte Rosa, le mise a scaldare nel forno, poi squillò il telefono.
- Ciao Marco, sono Elvira, ti chiamo per confermare per stasera, mi raccomando.
Marco si era completamente dimenticato dell’appuntamento tanto che aveva detto ai suoi che sarebbe andato a cena da loro quella sera stessa ma con Elvira non accennò nemmeno alla cosa.
- Benissimo, stasera alle otto starò da te.
- Ciao, Marco, allora a stasera.
Marco fece subito il numero dei suoi.
- Ciao mamma.
- Ciao Marco, come stai?
- Tutto bene ma ho avuto un contrattempo.
- Cioè?
- Non posso venire stasera perché avevo preso un altro impegno, Elvira, una ragazza dell’università, mi aveva invitato alla sua festa di fidanzamento e io le avevo promesso che ci sarei andato ma poi me ne sono completamente scordato.
- E com’è che te lo sei ricordato?
- Perché Elvira mi ha chiamato proprio adesso per ricordarmelo. Mamma, mi dispiace.
- Ma non fa niente, ci vediamo domenica, se puoi, o un altro giorno, non ti preoccupare, che dici si può fare domenica?
- Sì domenica si può fare, anzi, facciamo una cosa, quando finisco stasera vengo da voi, però non so a che ora, potrei pure fare molto tardi.
- Non ti preoccupare, vieni quando vuoi e non ti mettere fretta, noi ti aspettiamo, allora, Marco, ci vediamo comunque stasera…
- Sì va bene, allora papà me lo saluti tu…
- Ciao Marco e divertiti alla festa.
Tolto dal forno quello che rimaneva del gateau e dello spezzatino di pollo, Marco si sedette a tavola, questa volta era contento dei suoi sforzi di studio ma non era contento dell’invito di Elvira, lo considerava una palla al piede, avrebbe preferito stare a casa dei suoi ma doveva andare alla festa, senza contare che sarebbe stata una enorme perdita di tempo, per essere da Elvira alle otto, avrebbe dovuto uscire di casa poco dopo le sette e avrebbe dovuto cominciare a prepararsi verso le sei e mezza: un pomeriggio era sprecato ma ormai non c’era più nulla da fare. Più determinato che mai, Marco finì il pranzo in modo molto rapido, scese al bar per prendere un caffè e si rimise a studiare. Il lavoro procedeva con lentezza ma sembrava piuttosto produttivo, Marco riusciva a capire anche un po’ la logica complessiva della disciplina. Non sentì l’esigenza di interrompere la lettura perché leggere gli procurava una certa soddisfazione, cosa che Marco non si aspettava assolutamente, sottolineava con le penne di tanti colori, aggiungeva stelline a margine del testo, tracciava qualche freccia di richiamo tra due brani, qualche volta tornava un po’ indietro e ripeteva in forma molto recitata qualche brano fondamentale. Alle sei e mezza era arrivato quasi alla pagina 250, gli sembrava un risultato eccellente, era contento di sé, cominciava mentalmente a fare qualche progetto positivo sull’università, la considerava una cosa possibile. Interruppe, si vestì con l’abito più bello che aveva, un abito blu che usava per tutte le cerimonie importanti, gli venne in mente che avrebbe dovuto portare un pensierino ad Elvira, ma forse la cosa sarebbe sembrata strana e si risolse per il no. In strada continuava a pensare al suo libro e alle pagine da leggere, stava andando alla festa ma la cosa non lo coinvolgeva affatto.

1 commento:

Anonimo ha detto...

ma 'sti qua fanno mai sesso o è un romanzo gay asessuato?