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Nel linguaggio comune moderno la parola éfebo (più correttamente con l’accento sulla prima “e” come in greco) significa ragazzo giovanissimo, sostanzialmente ancora non adulto. Il nome ἔφηϐος, éphebos, deriva da ἥϐη, ébe, la giovinezza. Nel mondo greco l’éfebo era il giovane che apparteneva alla classe di età detta "efebìa". L'efebìa (ephebéia) era la condizione legale dei giovani appena arruolati nell’esercito, in sostanza delle reclute, che si addestravano alla guerra sotto il controllo dello stato. Non si tratta quindi di éfebi nel senso moderno, ma di giovani adulti. Nella città di Atene, per esempio, si era éfebi dai diciotto ai venti anni. L'efebìa era quindi il primo gradino dell'età adulta. La clàmide, un mantello corto che copriva essenzialmente la parte alta del corpo, era l’abito tipico degli éfebi e dei militari giovani. Quando i poeti antichi si riferiscono agli éfebi intendono quindi riferirsi a ragazzi tra i 18 e 20 anni circa. Dire di un ragazzo “è ancora in clamide” significa che non è ancora uscito dalla efebìa e quindi è ancora una recluta dell’esercito e non ha più di 20 anni. Questa precisazione è essenziale per capire l’esatto senso del testo di Meleagro di Gadara, che ho trovato spesso commentato in modo molto fantasioso, non tenendo conto di che cosa sia “storicamente” l’efebia.
Ma vaniamo al testo, che riporto nella traduzione nientemeno che di Salvatore Quasimodo. Si tratta della descrizione di un “sogno erotico gay”. Notate come l’eros gay sia vissuto in atmosfera di sorriso e di dolcezza.
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Nella notte un dolce sogno, Eros
portò sotto la mia coltre un ragazzo
di diciotto anni dolce sorridente,
ancora in clamide. E io, col petto stretto
alla sua delicata pelle, colsi
tante vane speranze. Ora al ricordo
mi brucia il desiderio ed ho continuo
davanti agli occhi il sogno
che prese in caccia l’apparenza alata.*
Ma tu, anima dal triste amore, quando
finirai d’infiammarti anche nel sogno
alle vane immagini di bellezza?
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* inseguito da me, se ne volò via [nota mia]
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