qui comincia il secondo capitolo della storia di Andy e Marco, in questa prima parte Marco, inconsapevolmente, sta per incontrare il ragazzo che rappresenterà il centro della sua vita. Nel prossimo post conoscerete "finalmente" anche Andy, un ragazzo molto diverso da Marco. Abbiate ancora un po' di pazienza e intanto gustatevi la festa di Elvira vista dagli occhi di Marco.
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Vide da lontano delle persone molto ben vestite che aspettavano sotto il portone, attese un attimo per non incontrarle, quando non vide più nessuno pensò di bussare ma erano le otto meno un quarto e Marco non aveva nessuna intenzione di arrivare in anticipo, fece un paio di giri intorno al palazzo, poi altri due, poi ancora altri due, programmò che un ritardo di quindici minuti fosse adeguato e alle otto e un quarto esatte suonò il campanello. Gli aprirono il portone e una voce sconosciuta gli disse a che piano doveva salire. Alla porta trovò una domestica che lo fece accomodare, non gli diede nessuna spiegazione e gli disse solo che la signorina al momento era molto occupata ma che sarebbe venuta subito, cosa che puntualmente non accadde. La casa era veramente bella: tappeti, quadri molto particolari, mobili d’antiquariato, argenteria pesante e di buon gusto, Marco non si sentiva a suo agio, quello non era il suo mondo, anche se non si faceva troppo condizionare da certe cose, percepiva lo scarto di livello sociale come una forma di emarginazione e la cosa lo metteva un po’ in difficoltà.
Marco era imbarazzato, erano quasi tutti in coppia e ogni coppia era sostanzialmente chiusa in se stessa o, almeno all’inizio, a Marco sembrò che fosse così, col passare dei minuti, lentamente, le coppie divenivano meno chiuse e si formavano di tanto in tanto anche dei piccoli gruppi, forse di amici di vecchia data che avevano qualcosa da raccontarsi, in genere i gruppi erano di soli ragazzi o di sole ragazze e dopo pochi minuti si scioglievano e le coppie si ricostituivano. Alcuni ragazzi, elegantissimi, attentissimi alla scelta dei gemelli intonati alla cravatta, ma un po’ maldestri, tentavano di trovare un ruolo e di avviare una conversazione meno convenzionale con gente che però, evidentemente, vedevano di rado, i toni, comunque, risultavano un po’ forzati e il falso cameratismo lasciava trasparire, da una parte o dall’altra, qualche venatura di invidia e di frustrazione, altri avevano tra loro un tono di complicità più spinta ma solo a livello di battute ovvie e di scontati sorrisi di approvazione reciproca, evidentemente l’atmosfera non si era ancora scaldata.
Marco era assolutamente solo, girò per l’appartamento, per la parte che era accessibile agli invitati: due saloni intercomunicanti erano riservati alla festa, uno più grande, con due enormi balconi e uno un po’ più piccolo e senza balconi, ma ricavato in un locale posto all’angolo del palazzo, probabilmente uno studio, vi si aprivano due grandi finestre.
Nella sala più grande i mobili erano stati quasi completamente rimossi ed erano accostati alle pareti, evidentemente era la sala dove si sarebbe ballato, nella sala più piccola, oltre il mobilio di base: una libreria, una scrivania con la sua poltroncina, c’era il tavolo del buffet e un buon numero di sedie tolte dal salone più grande, quattro poltrone erano allineate nell’angolo tra le due finestre e sembrarono a Marco parte dell’arredamento originario. Prevaleva, nonostante tutto, la sensazione del vuoto, lo studio d’angolo era tanto ampio che il mobilio non lo ingombrava. Nella sala più grande l’illuminazione era forte, nella più piccola le luci erano soffuse e una penombra regnava sovrana. Dato che tra i due locali si apriva solo una grande porta scorrevole di legno, da ogni punto di ciascuna sala era possibile vedere tutto ciò che accadeva nell’altra. Marco scelse la poltrona più accostata all’angolo tra le pareti dello studio, di lì avrebbe potuto osservare ogni cosa standosene sostanzialmente in disparte, protetto dalla penombra. Prima di prendere posizione in quello che aveva scelto il come proprio posto, Marco fece qualche giro anche nell’altro salone, passava vicino agli invitati, camminando con passo veloce, senza guardarli direttamente, come se stesse andando in modo deciso da qualche parte ma in sostanza non sapeva dove andare, secondo la sua vecchia abitudine osservò tutti i ragazzi presenti cercando di non apparire troppo interessato, non gliene sfuggì nemmeno uno, ma rimase sostanzialmente deluso, né la prestanza fisica né il sorriso di quei ragazzi suscitava in lui un vero interesse, solo uno gli pareva degno di una maggiore attenzione, provò ad osservarlo più attentamente per qualche minuto ma poi finì per distrarsi, lo osservava, ma solo per passare il tempo e per ammazzare la noia.
Evira finalmente comparve, sembrava indaffaratissima, come una padrona di casa abituata ai ricevimenti, con Marco fu disinvolta, lo baciò e lo salutò.
- Sono contenta che sei venuto.
Il suo tono non aveva nulla di simile a quello che aveva usato quando aveva incontrato Marco all’università, ora Elvira era la prima attrice della serata e Marco era solo una comparsa. Prima che Elvira avesse finito di scambiare poche parole di convenevoli vide il fidanzato e lo chiamò, quando Michele si avvicinò, Elvira continuò il suo discorso ma con tono, almeno apparentemente, più cordiale.
- Tu Marco lo conosci già.
- Come no, ci siamo visti all’università, a proposito a che punto stai?
- Lasciamo perdere le dolenti note.
- Adesso però stai con noi e stasera ti devi divertire… scusa un attimo…
Michele si allontanò e Elvira lo seguì a ruota.
Marco ripiombò nella più radicale emarginazione, di quelli che stavano lì non conosceva proprio nessuno, si chiese perché ci fosse andato, dopo tutto sapeva che sarebbe andata a finire così, si sentiva un po’ in collera con se stesso, aveva accettato di andare a una festa che non lo riguardava, e in sostanza stava buttando via il suo tempo in quel modo, e ci fosse stato almeno qualche ragazzo passabile! Marco avrebbe potuto scambiare due parole, forse si sarebbe accontentato di guardarlo discretamente da lontano, almeno avrebbe avuto un modo per occupare la sua fantasia e comunque avrebbe preferito restarsene a casa sua e continuare a studiare. La sensazione di disagio e di insofferenza diventava sempre più netta, minuto dopo minuto, poi venne la musica e cominciarono i balli, quasi tutti lenti.
Marco, seduto nella sua postazione, si mise ad osservare i ragazzi che ballavano nell’altra sala con lo sguardo dell’ornitologo che spia il corteggiamento dei pappagalli brasiliani, poi si rese conto che stava sbagliando completamente chiave di lettura, il ballo non aveva affatto una finalità di corteggiamento, era un rituale di tipo sociale che per Marco era quasi incomprensibile. Che un ragazzo e una ragazza potessero cercarsi e desiderarsi a Marco sembrava una cosa logica, almeno in astratto, ma che potessero recitare insieme dei ruoli sociali di coppia gli sembrava paradossale. Il ballo non aveva nulla di sensuale. Marco si era trovato qualche volta in altre feste in cui l’eros si respirava nell’aria, non era il suo ambiente e in fondo ci si era trovato a disagio, ma la cosa non gli suonava strana, a casa di Elvira invece si respirava un’aria molto più rarefatta, tutti i ragazzi vestivano sostanzialmente nello stesso modo, con maggiore o minore ricercatezza, ma in sostanza portavano una divisa, Elvira non aveva chiesto per gli ospiti un abito particolare perché sarebbe stata una mancanza di tatto, ma gli ospiti si erano conformati in modo automatico e spontaneo alle richieste inespresse ma sottintese dell’ambiente, le ragazze erano tutte in abito lungo, avevano acconciature ricercate e portavano gioielli di valore. L’atmosfera era più che altro quella dei club esclusivi, in cui l’essere all’altezza della situazione è la necessità essenziale.
Marco si sedette sulla sua poltrona, felice di non dover prendere parte alle danze, e cominciò a osservare. Di tanto in tanto qualche coppia passava nel salone più piccolo e si accostava al buffet, raramente anche qualche singolo si avvicinava al buffet, nessuno tuttavia si accorgeva o dava segno di accorgersi della presenza di Marco, che era piuttosto ben mimetizzato nella semioscurità, quasi sprofondato, per non apparire, nella sua poltrona d’angolo. Una coppia, probabilmente troppo interessata a se stessa per chiedersi se nell’oscurità si celassero occhi o orecchie estranee, non si accorse realmente che Marco era seduto nell’angolo e si lasciò andare a qualche piccolissima forma di scambio affettivo, Marco non sapeva come comportarsi, non aveva però, nonostante tutto, l’impressione che i due si fossero appartati alla ricerca di un po’ di intimità, si sentiva un po’ in imbarazzo, pensava che forse la cosa avrebbe potuto prendere una più decisa direzione erotica ma non successe assolutamente così, i due cominciarono a parlare ma non d’amore. Il ragazzo sembrava molto esitante e la ragazza non lo incoraggiava e anzi lo teneva a distanza, all’inizio parlava solo la ragazza e parlava delle amiche e della festa in modo piuttosto accademico, poi il ragazzo si decise a parlare e Marco ascoltò parte della conversazione.
- Allora, che pensi, credi che si possa fare?
- Be’, non lo so, io gliene ho parlato qualche giorno fa ma non mi sembrava…
- Però, aspetta, ci ha parlato pure mio padre, e a me non sembrava che…
- Sì, va be’, ma tu lo sai com’è papà… lui all’università non si vuole compromettere, ti aiuterebbe in tutti i modi però pure lui deve stare attento a quello che fa…
- Sì, lo so, però per me sarebbe tanto importante, guarda che con gli altri ho già sistemato tutto…
- Vieni, va’, adesso balliamo… e poi perché non glielo fai dire da Donati?
- Ma non mi posso fidare e poi non lo conosco bene…
Tutto il discorso era avvenuto in toni bassi, più che le parole parlavano gli atteggiamenti del corpo, il ragazzo era in netta posizione di inferiorità, il gioco dei ruoli era ben definito. Marco era perplesso. Poi i due si allontanarono scivolando tra la folla, Marco continuò a osservarli: il ragazzo rimase alle costole della ragazza senza perderla d’occhio per un istante.
Il buffet nella sala d’angolo interessava poco gli invitati, tanto più che due domestici di tanto in tanto facevano il giro dell’altra sala per passare le bevande e altre consumazioni.
Marco, stava imparando molte cose e aveva cominciato a considerare interessante la sua permanenza alla festa ma, terminate le riflessioni sarcastiche sui due innamorati o presunti tali, ripiombò nella sua solitudine e anzi la sua sensazione di estraneità divenne più forte, cominciò a meditare qualche scusa per andarsene via senza sollevare troppa polvere, prima pensò di dover avvisare Elvira ma la cosa gli parve non praticabile, quindi pensò proprio di allontanarsi di nascosto, in fondo non se ne sarebbe accorto nessuno, cercò il momento ideale, pensò a una pausa del ballo, attese l’occasione propizia ma non ebbe il coraggio di alzarsi e di avvicinarsi alla porta di casa, mentre stava meditando un ulteriore progetto di fuga, la situazione mutò radicalmente.
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