martedì 18 settembre 2007
COMING OUT E PRUDENZA GAY
Torno su un tema essenziale, ne ho già parlato attraverso diverse storie e da diversi punti di vista, ma vale la pena di insistere. Se per un verso l’idea uscire allo scoperto, o come si dice la spinta all’outing o al coming out, è sicuramente una delle più grandi tentazioni di un ragazzo gay, per l’altro verso è però anche la tentazione più pericolosa. Una volta che si è giunti alla consapevolezza del fatto di essere gay, che non è una scelta ma è una connotazione fondamentale di un individuo, si prova l’irrefrenabile tentazione di comunicare questa scoperta, e non è solo una questione di generica curiosità o di puntiglio, c’è dietro l’esigenza di capire se si è realmente accettati (ed amati) per quello che si è, è una questione di tipo esistenziale che per un gay è fondamentale. Tutto questo è comprensibile, direi assolutamente naturale. Ma (e il ma è d’obbligo) quando un ragazzo si accetta come gay è spesso portato a credere che gli altri siano disposti ad accettarlo nello stesso modo. Purtroppo tutto questo in molti casi non corrisponde alla realtà. Per essere un gay adulto nel pieno senso del termine è necessario avere piana coscienza che l’emarginazione esiste, è una cosa reale, con la quale bisogna imparare a fare i conti quotidianamente. Io non intendo riferirmi alle forme esterne di omofobia, nemmeno a quelle più violente e repellenti, ma alle forme di omofobia strisciante, a quella mascherata attraverso una tolleranza verso “tutti” che non significa nulla in concreto, o a quella del doppio gioco per cui nessuno ti dirà in faccia quello che pensa realmente di te mentre tu potrai essere oggetto di forme sottilissime di discriminazione, senza esserne nemmeno consapevole, sia sul lavoro, che addirittura in famiglia. Ho conosciuto un ragazzo che dopo il coming out ha assistito a una formalizzazione progressiva, lenta ma esasperata, dei rapporti con i genitori che hanno finito per rifiutare (e forse nemmeno per colpa loro) qualunque serio contatto affettivo con il figlio. Non c’è un luogo di elezione per i gay, nemmeno la famiglia, pensate allo sceneggiato con Buzzanca che non riesce ad accettare il figlio gay, mandato di recente in televisione, lì alla fine c’è l’accettazione piena ma dopo un atto di eroismo che porta il ragazzo in pericolo di vita, ma un figlio gay deve diventare un “eroe” anche ufficialmente per essere accettato dai genitori, e quato nella fiction... ma la vita reale è un’altra cosa. I gay non hanno un luogo dove possano essere veramente se stessi. Il coming out pubblico, a mio giudizio è una cosa estremamente pericolosa, spesso scelte di questo tipo si fanno (e ne ho visti esempi anche da parte di persone di grandissima intelligenza) con una totale superficialità, perché la ricerca della teorica gratificazione che dal coming out potrebbe venire, porta alla sottovalutazione dei rischi reali, con danni molto grossi che si possono valutare solo nel tempo. Io, personalmente, non ho mai fatto coming out pubblico né mai lo farò, per diverse ragioni, provo a spiegarmi meglio. Il coming out pubblico è irrevocabile e “qualunque cosa succeda” non si torna indietro. Un coming out privato, ha altri pericoli, quelli che io chiamo i pericoli del “segreto di Pulcinella”. Ciò che dite a una persona, una volta detto, non è più vostro ma per chi riceve da un altro la confessione di essere gay, a meno che non si tratti di amici veri, gay o etero che siano, la rivelazione di una cosa del genere ha un valore molto relativo, e spesso molto più basso di quello che noi possiamo immaginare. Mi sono trovato in concreto a consigliare a un ragazzo che lavorava con me di tenersi per sé i fatti suoi, ma lui si è fidato, si è venduto l’anima per un piatto di lenticchie e ha fatto l’outing con un “amico” che poi è venuto il giorno stesso da me a raccontarmi con tutte le forme del caso in segreto ormai diventato “il segreto di Pulcinella”. Una cosa è totalmente mia quando la so solo io, in ogni altro caso io ho dato ad altri un grimaldello per entrare in casa mia e fare man bassa. C’è chi non lo farebbe mai, ma c’è chi lo fa. Ho visto gente che si è fidata di colleghi, poi la chiacchiera è arrivata in alto loro e hanno perso il passaggio di grado. Naturalmente nessuno dice di discriminare un gay, perché le persone intelligenti non dovrebbero farlo, ma lo fanno, con garbo e con ipocrisia ma lo fanno, spesso non per omofobia ma per semplice interesse personale. Io non sto parlando male degli etero perché i miei migliori amici, che sono persone che stimo e che amo, sono etero, io sto solo dicendo che bisogna guardarsi dagli ipocriti, dagli imbecilli, dalla gente che ha la lingua lunga. Forse può sembrare che io stia facendo un po’ di terrorismo culturale per allontanare le persone dall’idea dell’outing, almeno di quello pubblico o di quello privato allargato, ma sono i fatti che portano in questa direzione, li vedo tutti i gironi. Prima di spendere una moneta pesante come l’outing, pensate molto bene che uso ne sarà fatto, se avere un dubbio, anche minimo, lasciate perdere, per sbagliare c’è sempre tempo. Mettere un’arma potente in mano ad altre persone ha senso se siete certi che quell’arma non la punteranno contro di voi!
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