domenica 21 ottobre 2012

COPPIA GAY OLTRE IL SESSO


Ciao Project,
ho deciso di mandarti questa mail per chiederti che cosa pensi della vita gay di coppia. In linea di principio credo che l’equiparazione legale delle unioni civili gay col matrimonio eterosessuale sia una cosa giustissima. Si tratta di rapporti d’amore e di solidarietà nei quali c’è certamente anche una componete sessuale ma alla fine il rapporto che si crea in una coppia gay stabile è estremamente più complesso. Io ho 50 anni, convivo col mio compagno da 28, lui ha 52 anni (chiamiamolo Daniele). Quando ci siamo conosciuti eravamo praticamente ragazzi e c’era tra noi una attrazione reciproca molto forte. Ho pensato più volte che sia io che lui avremmo potuto incontrare altri ragazzi e il nostro rapporto sarebbe finito. Allora non pensavo affatto di essere un bel ragazzo e avevo molti complessi legati al mio aspetto fisico. Non ci siamo mai fatti promesse di amore eterno perché nessuno conosce il futuro e può ipotecarlo, abbiamo invece cercato di non dare a priori troppo significato al nostro rapporti. Lui mi diceva spesso che dovevo sentirmi libero e che mi avrebbe voluto bene anche se non fossi stato il suo ragazzo. Mi ripeteva che per volersi bene non è affatto indispensabile vivere in un rapporto esclusivo di coppia. Non ci veniva neppure in mente di vivere insieme, ciascuno di noi aveva le sue amicizie e continuava a frequentarle, però siamo stati sempre il punto di riferimento uno per l’altro. I primi mesi tra noi il sesso era una cosa molto frequente, in pratica quotidiana o quasi, poi la frequenza dei rapporti sessuali ha cominciato a diradarsi, ma non perché io o lui andassimo a cercare sesso con altre persone, semplicemente perché non ne sentivamo il bisogno, parlavamo anche meno in chat, ma quando parlavamo i discorsi erano veri e seri. Insieme stavamo comunque bene, non sapevo se considerarlo il mio ragazzo ma in effetti la sua presenza per me era importantissima. Poi, in una nottata di pioggia torrenziale, quando avevo 28 anni, ho avuto un brutto incidente d’auto e sono rimasto in coma farmacologico per dieci giorni, quando ho cominciato a svegliarmi e a rendermi conto che era successo qualcosa di grave che avrebbe cambiato la mia vita, ho pensato subito a Daniele e lui era lì, vicino a me e mi parlava. Ero molto confuso e non ero in grado di capire che cosa mi stesse dicendo. Sono stato ricoverato per 6 mesi e Daniele è stato sempre vicino a me, più di mio padre e di mia madre. Lui a quel tempo lavorava già, ma il suo tempo libero dal lavoro lo dedicava integralmente a me. In ospedale pensavano che fosse mio fratello. Un giorno il dottore mi ha dato una radio nuova e mi ha detto che “mio fratello” gli aveva chiesto di darmela. Gli ho spiegato che non era mio fratello ma il mio ragazzo, e lui mi ha chiesto stupito? “Ma veramente?” Gli ho risposto di sì e lui mi ha detto: “Sei fortunato! Quel ragazzo ti vuole bene veramente!” Io però non sapevo che cosa sarebbe successo in seguito, perché ero vivo, certo, ma ormai ero fisicamente compromesso e non sarei stato più quello di prima. Una sera, mentre eravamo soli, mi guarda negli occhi e mi dice: “Ti devo parlare di una cosa importante.” Mi aspettavo che mi dicesse che se ne sarebbe andato per la sua strada, e avrei anche potuto accettarlo, e invece mi ha detto: “Te la sentiresti di vivere con me?” Io ho cercato di prendere tempo, gli ho chiesti di lasciare che io ci pensassi per un paio di giorni perché si tratta di una cosa molto importante. Non volevo condannare Daniele ad assistermi, gli volevo troppo bene e soprattutto non volevo che lui stesse vicino a me perché provava pena per me. Alla fine gli ho risposto che non me la sentivo. Lui non ha insistito e mi ha detto solo: “ok, avremo modo di ripensarci meglio!” Dopo qualche giorno è tornato di nuovo sull’argomento, mi ha detto che aveva parlato coi miei genitori e anche con i suoi e che i miei genitori sarebbero stati d’accordo. Effettivamente Daniele ha sempre avuto un ottimo rapporto con mio padre. Secondo me, mio padre ha accettato facilmente la mia omosessualità proprio perché ha conosciuto Denny e sa che Daniele mi ha sempre voluto bene. Ho cercato di fargli capire che non ero più il ragazzo di prima e che non lo sarei stato mai più, che lui avrebbe potuto avere molto più facilmente una vita felice senza di me che con me. Lui mi ha risposto: “Roberto, se avessi voluto andarmene lo avrei già fatto e non ti farei certe proposte.” Gli ho detto che non volevo un ragazzo che si sentisse in obbligo si starmi vicino. Lui ha tirato fuori dalla tasca una bustina, mi ha preso la mano e mi ha infilato una fede matrimoniale, proprio come quelle che si benedicono in chiesa, poi lui si è infilato l’altra fede e mi ha detto: “Io tu ho infilato questa fede, se, in qualunque momento to dovessi non sentirtela più di stare con me, basta che la togli e io capirò senza troppi discorsi ma continuerò a volerti bene lo stesso.” Da quel giorno non ci siamo più tolti le fedi. Uscito dall’ospedale sono andato a vivere con lui in un piccolissimo appartamento in città, vicino al posto dove lui lavora. I primi tempi sono stati duri, ho fatto diversi interventi chirurgici, poi il neurologo ha detto che secondo lui una rieducazione avrebbe potuto portare notevoli benefici. Non abbiamo tanto denaro da poterci permettere un vero fisioterapista, e così Daniele ha cercato di essere lui il mio fisioterapista. Tramite delle lezioni online e con l’aiuto di un amico fisioterapista che ogni tanto viene a trovarmi, Daniele è stato capace di portarmi nuovamente all’uso della gambe. Il neurologo non credeva ai suoi occhi. Dopo un anno ero in grado di muovermi da solo in casa. Quando ho compiuto 30 anni ero ormai completamente autonomo, potevo uscire di casa da solo e fare anche le scale. Solo per salite e scendere dagli autobus avevo bisogno di un aiuto. Poi Daniele si è messo in mente che avrei potuto addirittura prendere la patente usando un’automobile con delle piccole modifiche nei comandi e alla fine siamo riusciti a fare anche questo. Il giorno in cui mi hanno dato la patente siamo andati fuori città insieme e ho guidato io! In questi anni ci sono stati momenti di incomprensione anche profonda ma non abbiamo mai preso in considerazione l’ipotesi di interrompere il nostro rapporto. Quando abbiamo i nostri momenti di intimità io mi sento felice, non per il sesso in sé ma perché è un modo di comunicare tra noi e di dirci che ci vogliamo bene. Il sesso ha la sua importanza, ma il mio rapporto con Daniele, ora più che mai, non si basa sul sesso. Non siamo ancora vecchi ma le prime avvisaglie dell’età si fanno sentire. Non solo Daniele mi ha permesso di vivere una vita come di deve a livello fisico nonostante l’incidente ma rappresenta per me il mio futuro. Non sono capace di pensare a me stesso come single, ormai sono inevitabilmente parte di una coppia. C’è un solo pensiero che mi spaventa ed è l’idea di perdere Daniele. Prima o poi uno di noi due se ne andrà e l’altro rimarrà terribilmente solo. Per chi sopravviverà all’altro la vita sarà irrimediabilmente spezzata. Noi siamo gay e purtroppo per un gay la vecchiaia è sinonimo di solitudine, ma non è una solitudine come quella che si trova da giovani, quando si è comunque autosufficienti. La vecchiaia di un gay significa solitudine quando non sei più autosufficiente. Comunque adesso noi ci siamo e non voglio pensare a cose brutte e spero di poter trascorrere col mio Daniele ancora molti e molti anni. Volevo soltanto dire che la vita di coppia vissuta con amore ti fa capire ad un altro livello che cosa vuol dire la parola solidarietà.
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martedì 16 ottobre 2012

AMORE GAY TRA I CARRI ARMATI


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Pubblico con immenso piacere alcune pagine di diario che, attraverso minimi cenni, raccontano una storia d’amore gay nata sul campo di battaglia. Ringrazio Massimo che ha voluto inviarmela.
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10 Giugno 1940 [1], ore 21 - Oggi pomeriggio ho provato l’orgoglio di essere Italiano. Abbiamo ascoltato alla radio il discorso infiammato del Duce! Finalmente siamo in guerra! W l’Italia! Popolo Italiano, corri alle armi! E dimostra la tua tenacia, il tuo coraggio, il tuo valore! Abbiamo quasi 250.000 uomini in Libia e possiamo spazzare via gli Inglesi dall’Egitto!

Michele qualche volta non lo capisco, questo deve essere un momento di orgoglio, finalmente potremo dimostrare quanto valiamo, ma è come se lui fosse spaventato da quello che ci aspetta, dice che sarà dura, che qui in Africa siamo più forti degli Inglesi ma che arrivare ad Alessandria non sarà facile e che lo vedremo sul campo che gli Inglesi la guerra la sanno fare.

11 Giugno - Il generale Berti [2] qui ha 5 divisioni sul confine e artiglieria e carri armati, poi non capisco che paura dobbiamo avere, Balbo [3] la guerra se l’aspettava certamente e tutti dicono che si è preparato bene, però è pure vero che i carri L3 sono proprio Arrigoni [scatolette di sardine], sono carri da tre tonnellate e un carro del genere è veramente una scatoletta di sardine. Ho cercato di fare capire a Michele che gli Italiani non hanno nulla da temere dagli Inglesi, ma lui dice che gli Inglesi sono un osso duro.

12 Giugno – Oggi le scatolette di sardine si sono comportate bene, abbiamo ributtato indietro le truppe inglesi e le abbiamo inseguite fino quasi a Sidi Omar. Io non capisco perché non ci danno l’ordine di attaccare. Eravamo quasi a Sidi Omar ma ci hanno dato l’ordine di tornare indietro. Oggi Michele ha visto che sul campo di battaglia gli Italiani ci sanno fare! E l’ho visto proprio sorridere, ma anche lui non ha capito il senso del ritirarsi.

13 Giugno – Oggi il capitano ci ha spiegato che gli Inglesi a Sidi Omar hanno le autoblindo che nella sabbia si muovono molto più facilmente delle nostre scatole di sardine e che non le hanno fatte uscire per farci avvicinare e per darci poi il colpo micidiale, il comando lo ha capito e non è caduto nella trappola.

14 Giugno – Giornata di totale attesa. Il morale è alto, resto a lungo a parlare con Michele, mi piace questo ragazzo, è forte però anche gentile, lui è abruzzese e così sono gli abruzzesi. Mi ha detto che anche lui si è arruolato volontario, ma io l’ho fatto perché nel Duce ci credo e credo nei destini della Patria, ma lui in queste cose mi pare un po’ più freddo, forse, anche se avantieri era proprio contentissimo della vittoria.

15 Giugno – Un’altra giornata interminabile però ho parlato molto con Michele, comincio a pensare che abbiamo veramente molto in comune, anche se adesso dobbiamo pensare alla guerra.

16 Giugno Domenica – Finalmente il contrattacco verso Sidi Omar e abbiamo vinto! Ho provato dei brutti momenti, le autoblindo sono veramente micidiali e adattissime alla guerra nel deserto ma non abbiamo mollato e alla fine gli Inglesi si sono ritirati. Quando abbiamo fatto dietro front per tornare alla base ho visto tanti dei nostri Arrigoni in fiamme e ho avuto il terrore che Michele ci avesse lasciato la pelle. Il solo pensiero mi ha fatto stare male, ma poi ci siamo ritrovati. Effettivamente per mettere fuori combattimento un nostro L3 basta un fucilone anticarro a spalla. La sera ci siamo divertiti io e Michele, abbiamo scherzato tanto, gli ho detto che avevo avuto paura che lui fosse morto e mi ha detto che la stessa paura l’aveva avuta anche lui e che poi nelle scatole di sardine, sotto il sole si creperebbe anche se gli Inglese non ti sparassero addosso. Come siamo ridotti adesso, prima di riprendere i combattimenti dobbiamo aspettare dei rimpiazzi. Il capitano mi ha detto che abbiamo perso quasi la metà degli L3 e purtroppo anche gli uomini che ci stavano dentro. 

17 Giugno – Vuoto totale, passo la giornata con Michele a cercare di rimettere in funzione qualche scatoletta di sardine non troppo ammaccata. Sto bene con Michele, si ride, si scherza, se la guerra è questa non è poi così terribile, anche se quando penso agli uomini che sono morti oggi mi sento completamente sottosopra.

18 Giugno – Più parlo con Michele più mi convinco di una cosa. Potrei anche sbagliare però la sensazione è quella.

19 Giugno – Di ricognizione insieme con Michele andiamo avanti e indietro per il confine ma di Inglesi nemmeno l’ombra. A un certo punto ci troviamo vicino a un nostro carro L3 bruciato, ci avviciniamo, quello che abbiamo visto credo che non lo dimenticheremo per tutta la vita, gli uomini non sono morti sul colpo ma sono morti bruciati perché il colpo ha deformato la lamiera e i portelli non si sono aperti. Morire così deve essere terribile! La sera non abbiamo nemmeno mangiato e siamo rimasti un po’ fuori ma senza stenderci per terra perché tra scorpioni e serpenti se ti addormenti rischi di finire avvelenato.

20 Giugno – Servizio di cucina con Michele e con gli altri, giornata noiosissima, non potevo parlare seriamente con Michele perché c’erano gli altri, ma mi sa che quello che avevo pensato è proprio vero.

21 Giugno – Caldo soffocante. Ho chiesto a Michele perché si è arruolato volontario e mi ha detto che anche se c’è la guerra, forse sta meglio qui che a casa. Gli ho chiesto il perché ma è stato evasivo.

22 Giugno – Il capitano dice che i rimpiazzi tardano ad arrivare perché oltre il fronte egiziano c’è quello franco-tunisino e Balbo deve provveder a entrambi. Con Michele ormai ci capiamo al volo, in pratica ci siamo capiti, direi che oggi mi sono passati anche gli ultimi dubbi.

23 Giugno – Nessuna traccia degli Inglesi. Stiamo qui a fare nulla! Abbiamo recuperato qualche altro carro poco danneggiato. Anche il capitano non sa che dire, aspetta ordini che non arrivano. Con Michele finalmente abbiamo parlato chiaro. E adesso? Anche perché simo pure in guerra e proprio non vorrei che finisse male. La notte scorsa ho avuto gli incubi pensando agli uomini che sono morti bruciati, ne ho parlato con Michele e mi ha abbracciato per cercare di farmi stare tranquillo.

24 Giugno – Bellissima giornata con Michele, distaccati per aspettare ordini vicino Bardiah, tra noi e gli inglesi meno di 10 chilometri ma degli Inglesi nemmeno l’ombra. Facciamo il bagno in mare lasciando i vestiti sulla spiaggia, poi succedono alcune cose. Dopo un’ora siamo al campo, ma non ci sono ordini. Torniamo verso il deserto al nostro campo. È stata proprio una bellissima giornata e sono stato proprio bene.

25 Giugno- Con Michele tutto bene ma in pratica ci siamo parlati pochissimo perché sono arrivati 6 uomini di rinforzo, praticamente niente, e io li ho dovuti istruire su come si usano gli L3. Con Michele ci siamo visti solo la sera, perché lui è andato in ispezione la nelle retrovie e quindi io non ero preoccupato.

26 Giugno – Come vorrei che finisse la guerra! Prima la desideravo tanto ma mi sembra che sia durata già troppo, vorrei essere congedato domani. Così potrei tornare in Italia con Michele e potrei anche andarmene in Abruzzo.

27 Giugno – Con Michele abbiamo deciso che è meglio avere pazienza. Il capitano mi ha chiamato e mi ha detto di non dimenticare mai che siamo soldati e mi sa che ha proprio ragione.

28 Giugno – Sento alla radio una notizia incredibile è morto Italo Balbo, è rimasto ucciso mentre era di ritorno da una ricognizione in territorio egiziano. Il suo aereo è precipitato in fiamme durante un’azione di bombardamento nemica su Tobruk, cioè non al confine egiziano ma ben dentro il territorio libico, così ha detto la radio. Ma che fine assurda! Lui, un asso dell’aviazione! Il capitano dice che l’andamento della guerra dipenderà tutto da chi sostituirà Balbo. Il capitano ha capito quella cosa ma non detto nulla, oggi ha parlato solo di Balbo. Giornata splendida con Michele.

30 Giugno – sono arrivati degli uomini che erano a Tobruk quando è caduto il Savoia-Marchetti di Balbo, hanno raccontato che alle cinque e trenta del pomeriggio hanno sentito la cannonata che lì è il segnale di attacco aereo, 9 bimotori inglesi carichi di bombe, arrivano dal mare a gruppi di tre, dritti su Tobruk2, perché lì c’erano i nostri aerei da caccia. Ma i nostri decentrano tutti gli aerei in posti lontani uno dall’altro proprio per evitare che con una incursione si possano subire grossi danni. Dal porto si vedeva una enorme colonna di fumo nero. Solo quando è arrivato il terzo gruppo si è sentito qualche cannone della contraerea italiana. L’azione inglese era stata fulminea e ci aveva colto di sorpresa. I bimotori inglesi si sono allontanati controsole per evitare la contraerea. I nostri si aspettavano un’altra ondata di bombardamento. Poi hanno sentito le ambulanze correre verso Tobruk2. Poi di nuovo hanno sentito un rombo di motori d’aereo nella stessa direzione controsole verso dove si erano allontanati i bombardieri. Si aspettavano un’altra ondata di bombardamento. Gli apparecchi erano due e controsole non di distinguevano bene, a un certo punto uno ha gridato che erano italiani, erano Savoia-Marchetti 79, Ma non aveva fatto tempo a dirlo che la contraerea si era scatenata. Dal porto, dall’incrociatore San Giorgio e dai sommergibili in rada è stato un inferno. Pensavano tutti che fossero aerei inglesi, altrimenti la contraerea non avrebbe sparato, ma qualcuno aveva visto benissimo che erano 79, uno dei due arei si è allontanato verso nord, l’altro è stato colpito ed è precipitato, poi l’altro aereo è tornato rendendosi visibile ed era proprio un 79. Quello abbattuto era quello di Balbo. Balbo buttato giù dalla contraerea Italiana che aveva appena subito un bombardamento inglese senza sparare un colpo! Il colonnello è stato a sentire il racconto di quelli che stavano a Tobruk, e ha fatto una smorfia, come a dire che i conti non tornavano.

5 Agosto – Oggi c’è stata battaglia a Sidi Aziz, e abbiamo ributtato indietro gli Inglesi, ma non capisco perché non danno l’odine di avanzare, più aspettiamo più gli Inglesi si organizzano. Stavo con Michele su un L3 ma non è stato uno scontro difficile, penso che gli Inglesi si aspettassero un attacco in profondità e invece abbiamo avuto l’ordine di ripiegare. Di Graziani [4] non so quasi nulla, e non so se si intenda di guerra nel deserto, perché questa è una guerra molto particolare, qui i problemi sono soprattutto il caldo, la mancanza di acqua e di carburante e la sabbia che entra dappertutto al punto che i camion non funzionano più e poi non ci sono strade e i mezzi a ruote si insabbiano. Quanto tira il Ghibli non si vede nulla e la sabbia entra nei polmoni. Non vedo l’ora che finisce la guerra!

21 Agosto – Siamo stati aggregati a una brigata nuova arrivata dall’Italia con gli M11/39, sono dei carri da 11 tonnellate, non sono carri pesanti ma a me sembrano potentissimi, niente di simile agli L3. Il colonnello dei carristi ci ha detto che presto arriveranno gli M13/40 che sono molto più maneggevoli e moderni. Comunque anche l’M11 non è male, ha un cannoncino da 37 in casamatta e due mitragliatrici Breda binate in torretta. Peccato che il cannone in casamatta non è molto brandeggiabile, se fosse in una torretta mobile avrebbe l’orizzonte a 360 gradi. Comunque la corazza è di 15 millimetri quindi per sfondarla ci vuole un cannone grosso. Con Michele va tutto bene e poi adesso tutti pensano che stia per arrivare l’ordine di attacco e hanno altro da pensare.

26 Agosto – Il colonnello dice che nelle retrovie c’è molto movimento. Presto entreremo in Egitto e ci batteremo con gli Inglesi. Ci sarebbero 3 divisioni italiane e due libiche pronte a passare il confine. 

27 Agosto – Noi siamo a ridosso del confine e qui sembra tutto tranquillo, ma gli ufficiali sono in fermento, urlano che deve essere tutto pronto.

10 Settembre – Il colonnello ci ha detto che il grosso dell’armata è in arrivo. Ci mandano nelle retrovie a dare informazioni sulla viabilità. Ho visto tutta la potenza dell’esercito italiano, una massa immensa di uomini e di mezzi. 

11 Settembre – C’è molta confusione. Abbiamo cercato di fare capire che i camion fuori delle strade non potevano camminare perché si sarebbero certamente insabbiati, le strade poi non erano adatte per una fila lunghissima di mezzi pesanti. Nessuno ci dava retta. Gli ufficiali davano ordini impossibili da eseguire nel deserto, mancava un coordinamento. Abbiamo provato a fare capire che oltre confine la situazione sarebbe stata molto peggiore. Per tutta risposta ci hanno rimandato al nostro campo.

12 Settembre – Il colonnello ci ha avvisato che l’armata si stava riorganizzando prima di passare il confine. Il colonnello diceva che gli stati maggiori prima non si rendevano conto delle difficoltà sul campo ma adesso avevano dovuto fare i conti con il deserto e quindi l’attacco non sarebbe arrivato prima di una decina di giorni.

13 Settembre – Il colonnello è nero! Cinque divisioni anno avuto l’ordine di entrare immediatamente in Egitto ma a suo dire non erano in condizioni logistiche adeguate per una cosa simile. In serata anche noi riceviamo l’ordine di entrare in Egitto. Partiamo immediatamente. Noi carristi pensavamo di rimanere uniti per fare fronte contro gli Inglesi, ma dobbiamo separarci in piccoli gruppi a protezione delle truppe non corazzare.

15 Settembre – Conquistiamo il passo Halfaya.

16 Settembre - Occupiamo Sidi El Barrani.

18 Settembre – Tutta la X Armata si ferma intorno a Sidi El Barrani, avanzare verso Marsa Matruh senza approvvigionamento idrico è impossibile.
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Il diario di Antonio termina qui. Il 9 dicembre 1940 il generale O’Connor, attaccando Sidi El Barrani, dà inizio alla operazione Compass, destinata a cacciare la X Armata italiana dall’Egitto. Alla fine dell’operazione Compass la X Armata italiana è distrutta, 130.000 soldati italiani sono stati catturati dagli Inglesi, le forze britanniche tengono stabilmente la Cirenaica ed sono pronte a muovere contro la Tripolitania. Mio nonno (che era anche lui del 1920, come Antonio, l’autore del diario, e Michele) ricevette queste pagine da Antonio di cui era diventato amico. Lui aveva capito che rapporto c’era tra Antonio e Michele ma con quei ragazzi si trovava a suo agio e in pochi giorni erano diventati amici. 

Ma la storia non finisce qui, sia Antonio che Michele furono catturati dagli inglesi e furono mandati nello stesso campo di prigionia in Scozia. Mio nonno invece finì in un campo diverso perché fu catturato più tardi. Antonio e Michele alla fine della guerra rimasero in Scozia e aprirono insieme un piccolo ristorante. Mio nonno andò a trovarli e si trattenne da loro una settimana. Antonio è morto nel 2004 e Michele nel 2006. Quando ero ragazzo, mio nonno mi raccontò per la prima volta la storia di Antonio e Michele e mi disse che dovevo avere il massimo rispetto per queste persone. Sul momento non capii che cosa volesse dire, poi, crescendo, credo di aver capito. È proprio per rispetto di queste persone che ti mando questo scritto perché tu possa farlo conoscere a chi è in grado di capire. 
Massimo
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[1] Il 10 giugno 1940 l’Italia entrò nella seconda Guerra mondiale a fianco della Germania, contro la Francia e l’Inghilterra. Mussolini pronunciò un famoso discorso dal balcone di Palazzo Venezia a Roma. Il discorso si concludeva con questa esortazione: “Popolo Italiano, corri alle armi! E dimostra la tua tenacia, il tuo coraggio, il tuo valore!
[2] Comandante della X Armata italiana In Libia.
[3] Al momento della dichiarazione italiana di Guerra, il 10 giugno 1940, Italo Balbo era Governatore Generale di Libia e Comandante in capo dell’Africa Settentrionale Italiana e divenne responsabile della pianificazione dell’invasione dell’Egitto.
[4] Quando l’Italia entrò in guerra, Rodolfo Graziani era Capo di stato maggiore del Regio Esercito. Dopo la morte di Balbo (perito in un incidente per fuoco amico) il 28 giugno del 1940, Graziani prese il suo posto come Comandante in capo dell’Africa Settentrionale Italiana e come Governatore generale della Libia.

giovedì 11 ottobre 2012

DUE RAGAZZI GAY IN CERCA DI LAVORO


Ciao Project,
ho letto il post con la storia del ragazzo che lavorava in albergo nel Sud-Tirolo, è veramente una bellissima storia. Forse la mia storia è molto più semplice ma penso che valga la pena di raccontarla.

Ho 26 anni, fino a poco tempo fa ho vissuto in una zona che ha gravi problemi dovuti soprattutto al fatto che non c’è lavoro. Ho fatto il fornaio da quando avevo 16 anni. Fino a qualche anno fa vivevo bene. Certamente non ero ricco ma non mi mancava nulla e aiutavo anche economicamente la mia famiglia. Poi il forno dove lavoravo ha chiuso e mi sono trovato a 24 anni completamente senza lavoro e allora ho cominciato la trafila degli uffici per l’impiego, ogni giorno un curriculum, ogni giorno un colloquio. Trovavo al massimo un lavoro come sostituto di qualcuno che era malato, ma il periodo di lavoro più lungo nell’ultimo anno è stato di 21 giorni, con interruzioni anche di due mesi. In pratica sono tornato a dipendere in tutto dai miei genitori, che fanno quello che possono ma non navigano nell’oro. Girando per varie agenzie in cerca di lavoro ho trovato anche tanti ragazzi che stavano peggio di me, ragazzi che in un anno lavoravano al massimo un paio di mesi e qualcuno aveva anche la famiglia da mantenere. 

La storia che voglio raccontare comincia in un’agenzia di collocamento. Una mattina arrivo all’orario di apertura per prendere i numeri per la fila e davanti a me c’è un ragazzo che mi sembra simpatico e mi sembra anche un bel ragazzo. C’eravamo solo noi e lui mi chiede delle informazioni su come funziona il collocamento. È evidente che è la prima volta che va in un’agenzia per l’impiego. Entriamo prendiamo i numeri e ci mettiamo seduti ad aspettare e inevitabilmente parliamo un po’. Mi dice che ha 22 anni e che ha fatto solo piccoli lavori in nero di pochi giorni. Lui non sa nemmeno chi sia suo padre, la madre gli ha detto che non lo ha voluto riconoscere come figlio suo, che lei non aveva soldi per gli avvocati e che è finita così ma forse è pure meglio. La madre è invalida e vive con una pensione minima e stanno proprio in brutte condizioni. Mi chiede se sono sposato e gli dico di no. Mi dice che ha veramente un bisogno disperato di trovare un lavoro e mentre lo dice è profondamente turbato, quasi sul punto di mettersi a piangere, cerco di confortarlo un po’ ma è molto scosso e depresso. Va al colloquio prima di me, poi vado io. Quando ho finito vedo che è rimasto ad aspettarmi. Usciamo insieme, sono circa le 10 di mattina. Io dovrei andare a prendere il treno per tornare a casa ma vedo che lui mi segue sempre. Gli chiedo se deve tornare a casa. Mi dice che non ci vuole andare. Facciamo un bel pezzo di strada insieme e ce ne andiamo in riva al mare, ci sediamo sulla sabbia e cominciamo a parlare ma lui si mette a piangere e io non so che fare, è proprio disperato. Cerco di capire perché reagisce così, dopotutto anche io sono disoccupato ma non mi prende l’angoscia in quel modo. Non capisco perché mi segue, in fondo abbiamo solo fatto due chiacchiere all’agenzia di collocamento, Parliamo, io cerco di capire ma i silenzi sono più delle parole sia da parte sua che da parte mia. Verso l’una gli dico che devo tornare a casa e devo andare a prendere il treno, mi chiede se può venire con me. Con questa espressione, apparentemente così semplice, mi mette in difficoltà. Lui è un bel ragazzo ma si comporta in un modo strano che mi allarma. Ho conosciuto tanti ragazzi ma mai uno che si comportasse come lui. Mi sento in forte imbarazzo. Penso di non aver capito esattamente che cosa vuole da me. Gli spiego che io gli direi di venire con me ma poi non saprei che cosa dire ai miei genitori, e lui mi dice: “Non partire subito, dammi mezz’ora, soltanto mezz’ora.” Io gli dico che va bene, ci sediamo sul piazzale della stazione e comincia a raccontarmi la sua storia. Lo chiamerò Cristian. Comincia col dirmi in pratica che lui è gay, io non mi aspetto una cosa simile ma mi sembra assurdo che uno lo dica a una persona che conosce da poche ore, comunque non faccio commenti. Poi capisco che quella era solo la premessa. Continua dicendomi che nel suo paese c’è un posto dove i ragazzi vanno a prostituirsi e che lui non c’era mai andato, ma aveva bisogno di soldi e allora là c’è andato due volte, la prima volta aveva fatto un po’ di soldi ma la seconda volta lo avevano picchiato e gli avevano rubato tutto. Si è alzato la maglietta ed era coperto di lividi, perché lo avevano preso a calci mentre stava per terra. Adesso aveva paura di tornare al paese perché quelli che lo hanno picchiato sono gente pericolosa. La cosa mi sembrava piuttosto improbabile e io stentavo a crederci ma i lividi erano evidentissimi ed era stato picchiato selvaggiamente, di questo non c’era dubbio. Quando finisce di parlare è molto ansioso e non sa che cosa aspettarsi da me. Gli ho detto: “Andiamo a fare il biglietto” In treno lo vedevo in imbarazzo tremendo, allora ho fatto un passo rischioso e gli ho detto: “Se non ci aiutiamo tra noi…” Lui ha capito immediatamente e ho visto come un lampo nei suoi occhi. Io nel frattempo pensavo a che cosa avrei potuto dire ai miei genitori che non sapevano neppure che io fossi gay. Dovevo comunque trovare rapidamente una soluzione. Arrivati sotto casa, dico a Cristian di aspettarmi perché devo parlare coi miei genitori (mia mamma non lavora e papà è in pensione). Stanno in cucina guardando la televisione. Io ho detto: “Voi mi volete bene?”, loro hanno risposto: “Certo!” e io ho detto: “Allora adesso me lo dovete dimostrare!” Papà ha spento la televisione e mi ha detto: “Che è successo?” Io ho detto: “Ci sono due cose che vi devo dire, parto da quella più facile: io sono omosessuale… ” Mamma stava per parlare ma papà ha fatto un cenno con la mano, come per dire: andiamo avanti e vediamo la seconda cosa. E io ho raccontato la storia di Cristian e di come lo avevo conosciuto. Mamma mi voleva mettere in guardia ma papà ha detto: “Ma adesso dove sta questo ragazzo?” Io ho detto che stava in strada e papà ha detto: “Fallo salire!” Sono sceso, Cristian si aspettava una risposta negativa ma gli ho fatto cenno di salire. Io posso dire di avere due genitori meravigliosi. Papà ha cercato di capire esattamente come stavano le cose mentre mamma apparecchiava la tavola. Il racconto di Cristian era molto preciso e papà si è convinto e gli ha creduto. Cristian ha fatto vedere anche a mio padre e lividi ed era evidente che lo avevano proprio massacrato di botte. Quando Cristian era sul punto di mettersi a piangere papà lo rimproverava in modo un po’ rude e Cristian si calmava. Siamo stati a parlare tutto il pomeriggio, man mano che veniva sera Cristian cominciava ad avere paura di tornare a casa sua. Poi papà lo ha capito e gli ha detto: “Vuoi stare qua stanotte?” Cristian ha risposto: “Magari!” Papà ha aggiunto: “Dove ci stanno tre persone ce ne possono stare pure quattro. Ma tua madre la puoi avvisare?” lui ha detto che aveva il cellulare e la poteva chiamare ma aveva finito il credito, ha chiamato col mio cellulare e ha detto alla madre che non sarebbe tornato per la notte, la madre era agitata ma poi lui è riuscito a calmarla. La mia storia con Cristian è cominciata così. 

Io provo sentimenti di profonda gratitudine per i miei genitori, perché quello che hanno fatto per me e per Cristian va al di là dell’immaginabile. Mi sono sentito sostenuto con forza, in particolare da mio padre, ho percepito il suo rispetto e il suo affetto senza condizioni e Cristian è rimasto affascinato da mio padre. Lui non ha avuto un padre e vedere come si è comportato mio padre gli ha fatto un effetto fortissimo. Mio padre l’indomani ha accompagnato Cristian in città a fare il test hiv e Cristian lo ha presentato come suo padre. Il test è risultato negativo e d’altra parte Cristian aveva usato sempre il preservativo, comunque, poi, ha rifatto il test ed è venuto di nuovo negativo. Cristian è rimasto praticamente a vivere a casa mia. Dopo circa sei mesi ci hanno detto che in una azienda alimentare in Emilia cercavano esperti panificatori. A me hanno fatto un contratto a sei mesi e a lui uno di formazione, poi le cose si sono messe meglio e abbiamo continuato a lavorare lì, in provincia di Modena, avevamo preso in affitto una stanza vicino all'azienda e parlavamo sempre con i miei genitori via msn e Cristian mandava un sms alla madre tutti i giorni. Poi il 20 maggio di quest’anno, era di domenica e noi facevamo il turno di notte per preparare le forniture alle pasticcerie che dovevano partire entro le 5.00 quando alle 4.00 in punto arriva il finimondo, la terra ci balla sotto i piedi, scricchiola tutto e cadono giù pezzi di soffitto. Scappiamo tutti fuori. Per fortuna noi due eravamo vicini. Il panico è stato terribile, almeno finché non siamo riusciti ad uscire all’esterno. Eravamo terrorizzati che potesse crollarci tutto in testa. L’edificio aveva retto ma non sembrava in buone condizioni. Dopo qualche ora è arrivata la protezione civile e ha messo i sigilli perché dovevano passare i Vigili del fuoco. Una parte degli edifici è stata dichiarata non agibile, ma con l’aiuto del vigili del fuoco abbiamo trasferito i macchinari nella zona agibile e dopo otto giorni abbiamo ripreso la produzione. Sembrava tutto superato, ma il 29 maggio, verso l’una, in pieno giorno, c’è stata un'altra scossa violenta di terremoto. Cristian non stava con me ma in un altro reparto, io sono uscito di corsa per andare a cercarlo, credo di non essere stato mai così terrorizzato, ho visto un polverone alzarsi dall’edificio in muratura che era stato lesionato dalla prima scossa, poi ho visto Cristian che correva anche lui verso la palazzina che era crollata. Per fortuna la palazzina era proprio quella già lesionata e non c’era nessuno. Ci siamo abbracciati strettissimi: eravamo vivi tutti e due! Per un attimo ho pensato che se Cristian fosse morto anche la mia vita sarebbe finita. Poi abbiamo dovuto aspettare di nuovo la protezione civile e i vigili del fuoco. L’edificio dove erano i macchinari è stato dichiarato agibile e abbiamo ripreso la produzione, in tutta l’azienda siamo una ventina e abbiamo lavorato tutti, dalla mattina alla notte per fare ripartire la produzione. I proprietari, una famiglia di Modena, pensavano di chiudere la fabbrica perché in pratica metà degli edifici era crollata, però la gente dell’Emilia è veramente eccezionale e abbiamo fatto miracoli. L’azienda non ha chiuso e ormai abbiamo ripreso quasi a pieno ritmo. Per tutto il periodo del terremoto i nostri genitori sono stati molto preoccupati perché nei momenti peggiori non c’era neppure la possibilità di telefonare perché tutto era monopolizzato dalla protezione civile. Dopo la seconda scossa è crollata anche la casa dove io e Cristian avevamo una stanza e abbiamo perso tutto quello che avevamo con l’eccezione del denaro che portavamo sempre con noi, abbiamo perso anche il pc per tenerci in contato coi genitori, l’azienda ci ha dato una tenda e l’abbiamo piantata nel piazzale interno. Al tempo del terremoto ho capito quanta forza e quanto altruismo ha Cristian. Finito il lavoro ce ne andavamo a cucinare ai campi di tende della protezione civile e stavamo lì fino alla sera. L’azienda non ha licenziato nessuno, Ci siamo contentati tutti del salario minimo ma abbiamo continuato a lavorare tutti. Project, quando la sera abbracciavo Cristian stretto mi sembrava così bello essere vivi, così bello potersi stringere forte, anche se sotto una tenda e in un paese terremotato. Adesso siamo ancora in quell'azienda e penso che ci resteremo perché per noi è diventata come una famiglia. Ci siamo aiutati l'uno con l'altro per fare fronte alle difficoltà ed è stata una cosa bellissima. Project io sono felice! Mi sento un uomo completo e so di avere vicino un uomo che vede il mondo come lo vedo io, un uomo onesto, leale, altruista che si merita la felicità. Sono stato incredibilmente fortunato, Cristian ha cambiato la mia vita!
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