mercoledì 30 dicembre 2009

GAY EFFEMINATI TRA STEREOTIPI E REALTA' seconda parte

Dopo aver ricevuto il permesso da B., pubblico il seguito del nostro scambio di mail (continuazione del post precedente).
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Progetto Gay grazie per la risposta, argomentata molto bene e per niente approssimativa, però comunque volevo precisare delle cose. Innanzitutto non capisco se la tua fosse una domanda vera o retorica quando ti sei chiesto "Ma sulla base di che B. si sente gay?". Questo è difficile da spiegare, ho sempre saputo di esserlo (infatti la gente che dice di esser confusa non mi convince tanto), cioè mi piacciono i ragazzi, li guardo e se c'è un bel ragazzo ovviamente sono attratto da lui. Tra l'altro i porno sono arrivati tardi nella mia vita (ho avuto Internet un po' tardi e la webcam sarà da qualche mese) e la consapevolezza che mi piacessero gli uomini ce l'ho sempre non so come spiegarmi. Poi per quanto riguarda le amicizie, ho due cari amici maschi, uno storico con il quale sono cresciuto insieme, e un compagno di studi del liceo. Su entrambi non nego che ci siano state delle fantasie, ma fini a se stesse, non è che abbia "perso la testa" o altro, sono i miei migliori amici, punto, non mi so nemmeno immaginare una storia con loro. Poi non è che "fuggo dal contatto con i ragazzi", anzi qui a casa comunque con gli altri ragazzi ci parlo normalmente e ho un rapporto con loro, certo non da telefonarsi o altro, ma se ci devo passare una serata insieme ce la passo piacevolmente. Poi qui a Milano invece non fuggo ma proprio non trovo nessuno di sesso maschile con cui potrei o vorrei avere un rapporto di amicizia (ho il problema che giudico e per me le persone possono essere o frequentabili o imbarazzanti), e comunque il fatto che abbia stretto solo con donne è così e non mi devo fare troppe paranoie.
Invece il problema grosso è il bisogno di legami affettivi e questo l'hai capito. Ma ti giuro non avrei bisogno di mentire nemmeno sai chi sono, io non ho mai perso la testa per nessuno, mai innamorato, mai fissato per nessuno (e questo non vuol dire che non sia gay, perché lo stesso vale per le donne a parte una fissa in seconda media ma che penso sia legata a un processo inconscio di mascheramento, e comunque ero piccolo); al massimo se vedo un bel ragazzo lo guardo e penso "che fico" ma la cosa finisce lì. E leggendo sul blog noto che tutti hanno avuto cotte per amici e sofferenze d'amore. Forse sarò strano io, forse è la mia tattica inconscia che vuole evitare rogne, non ne ho idea, forse dovrei andare in terapia (ah grazie mille per quel dato, sono felice di sapere che c'è una buona probabilità che da qui a cinque anni le cose non cambieranno molto e non avrò alcun rapporto sessuale!). Poi quando hai parlato di "remore nel cercare di approfondire l’amicizia con dei ragazzi", non ho capito se intendevi amicizie vere o qualcosa di più. Nel primo caso già mi sono spiegato, ora che devo ricostruirmi una nuova rete di amici a Milano, con le ragazze sto meglio ed è così non perché tema gli uomini. Nel secondo caso non so se siano remore o semplicemente mancanza di voglia, tempo, coraggio; io il gayradar non ce l'ho, in più ho gusti difficili (non tanto nell'aspetto fisico, ma nelle persone in generale pretendo un certo spessore), in più devo studiare, ho mille cose da fare. Fino a poco tempo fa mi andava bene così, ma ora per forza di cose se davvero ci tengo un modo lo troverò di trovare qualcuno con cui approfondire un'amicizia (ah poi ho un gran problema, leggevo che molti si trovano in chat, ma un altro mio limite sono i miei schemi fissi che ho su tutto, anche sulle chat, e incontrare qualcuno via chat mi mette solo una gran tristezza, e proprio non ce la faccio, io le persone le devo vedere, devo sentire che mi trasmettono, bo non so come spiegarmi).
Comunque ora devo darmi alla caccia (cioè da febbraio ora ho gli esami), non so come ma lo farò, non sono mai stato un triste in vita mia e non lo diventerò di certo ora.
Poi volevo passare ad un altro punto, ovvero la storia della "checca" su cui hai molto insistito. Devo dire che questo è il problema minore, però dato che il sasso l'ho comunque lanciato, volevo precisare che quando dici "Basta con l’idea del gay come checca! Basta con la femminilizzazione del gay!" non sono pienamente d'accordo. Si è vero che non bisogna fare di tutta l'erba un fascio, e un gay non è solo e per forza così, però non si può nemmeno negare che molti gay sono accomunati da un determinato modo di fare, che ritrovo talvolta in me stesso e nelle poche persone omosessuali che conosco (vorrei precisare che quando dico "checca" non intendo esagerazioni tipo il tizio del grande fratello). Io non mi volevo permettere di criticare o altro, e non è che non vorrei avere certi atteggiamenti perché simbolo di omosessualità, ma perché lo trovo brutto da vedere, non so come spiegarmi, la "civetteria", se così si può definire, è una cosa che non mi piace sia nelle donne che tanto meno negli uomini (non è questione di "educazione etero", anche le donne che accentuano la loro femminilità mi urtano). Comunque questa è una cosa mia e non c'entra tanto con l'omosessualità. Per quanto riguarda poi io come ero nella fase undici/quattordici ci ripenso più con il sorriso che altro, e non con rancore.
Sulla masturbazione, non ti preoccupare, la mia vita non ruota intorno a ad essa. E sono stato esagerato a dire che sarei stato meglio etero, era solo un momento di sfogo. Se analizzo la mia vita, devo dire che l'omosessualità non mi ha mai impedite di ottenere ciò che desideravo (tranne ora per quanto riguarda il bisogno di una relazione, ed è per questo che ho detto di non voler essere gay, ma era uno sfogo, prima di pensarlo devo provare e poi si vedrà, e in fondo, sì devo faticare di più, ma un modo lo dovrò pur trovare prima dei 24,2 anni!). Ho avuto gli amici che volevo, la vita sociale che volevo, frequentato la gente che volevo, andato alle feste che volevo, il liceo fatto come volevo, sto frequentando l'università che volevo, e tutto questo indipendentemente dall'essere omosessuale. Genitori e famiglia in generale sono fieri di me perché sono quello che volevano che fossi, e volevo sottolineare che il "ruolo che mi hanno imposto" in verità è quello che io voglio, perché per loro non conta che sia gay o meno, ma che sia brillante a scuola e nella vita (mia mamma è sempre stata chiara, "del matrimonio non me ne frega niente, il giorno più bello della mia vita sarà la vostra laurea"), e soprattutto che io sia felice, e sanno che la vita sentimentale e sessuale arrivati alla mia età diventa una componete importante per esser felici. Magari sbagliano nei modi a volte, o forse sono io che mi faccio mille film in testa, ma comunque sia i miei genitori non se toccano!
Ora sono forse un po' aggressivo ma non è che sia una forma di difesa, è che mi sono reso conto che ho iniziato a lamentarmi solo perché c'era qualcosa che non andava, e odio le lagne, e prima di lamentarmi sarebbe meglio almeno tentare di risolvere la situazione invece di fare la vittima... Semmai a 24,2 anni avrò il diritto di lamentarmi della mia vita e della mia omosessualità.
Grazie di tutto, veramente
B.
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Ciao B.,
beh, intanto di nuovo grazie per questa seconda mail che integra molto bene e completa la precedente. Direi che in questi termini praticamente tutto quello che dici mi sembra condivisibile, salvo un punto, cioè salvo l’idea di darsi da fare per trovarsi un legame affettivo. Se mi dicessi che è opportuno avere sempre la massima disponibilità a capire, la massima apertura anche ai minimi segnali che arrivano dall’esterno, allora sarei d’accordo. Ma che significa darsi da fare? Da quello che hai scritto per te non significa di certo frequentare chat erotiche o siti di incontri, alludi forse ai locali o all’associazionismo gay? Non ti nascondo che sull’idea di darsi da fare per trovarsi un ragazzo sono perplesso, perché così si cerca di costruire un rapporto che mira a risolvere un proprio problema, quello della solitudine affettiva, e non è esattamente questo il significato dell’innamoramento. In qualche modo cercare un ragazzo significa cercare un complemento de sé, ma la vita di coppia comporta l’essere in due che è in gran parte una riduzione del sé per fare spazio alla nuova dimensione di coppia.
Volevo chiederti il permesso di pubblicare anche la tua seconda mail perché penso che sarebbe utilissima per tanti ragazzi. Se sei d’accordo, dammi un cenno e procedo alla pubblicazione. Ti ringrazio anticipatamente.
Un abbraccio.
Project
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Certo puoi pubblicare tutto ciò che vuoi. Comunque forse mi sono espresso male, il "darsi da fare" aveva uno scopo del tutto enfatizzante. Per ora in locali gay non mi ci vedo proprio, e l'associazionismo non è che proprio mi faccia impazzire. Il darsi da fare voleva simboleggiare una specie di svolta, più che altro mentale.
Volevo semplicemente dire che devo iniziare ad ammettere la possibilità di una relazione, cosa che prima non mi passava nemmeno lontanamente per la mente. Di certo non cerco qualcuno così per colmare un vuoto, però se non mi guardo nemmeno in giro concluderò poco. Poi mi conosco e se dovesse mai accadere qualcosa con qualcuno dovrò esser preso e anche tanto, di certo non mi accontento e da solo ci posso stare. E se sarà amore bene, se non lo sarà pace ho diciannove anni e la vita va avanti. Poi non lo so, ora parlo tanto, ma poi voglio vedere fra qualche mese quanti passi avanti avrò fatto.
B.

Ps. Faber est suae quisque fortunae (Sallustio). Qualcosa dovrò pur fare per essere artefice del mio destino?

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GAY EFFEMINATI TRA STEREOTIPI E REALTA'

Ciao Project
Ieri sera mi sono imbattuto in questo forum e nel leggere qualche articolo mi sono come rassicurato vedendo che non sono l'unico a vivere i 'disagi' di un adolescente gay. Poi stamattina ho iniziato a
pensare alla mia situazione e forse era meglio se continuavo la mia vita senza farmi tanti problemi. Questa è la prima volta in vita mia che parlo della mia sessualità e che con me stesso faccio un po' di ordine (e non è semplice, ho mille pensieri e non so nemmeno come organizzare i discorsi).
Praticamente mi sono reso conto di essere gay penso verso i dodici anni, comunque l'ho capito ma la cosa è finita lì, non è che mi sia posto più di tanto il problema. La mia adolescenza l'ho cercata di vivere al meglio e così è stato. Di fare coming out non ci ho mai nemmeno pensato, non tanto per i miei genitori (non mi darebbero alcun problema penso, basta che non lo venga a sapere mio nonno che per lui già è stato difficile accettare che non abbia fatto il classico, e non scherzo), ma per non turbare la serenità della mia vita quasi
'perfetta'. Solo ora che ho diciannove anni inizio ad aver bisogno di una vita sentimentale e sessuale, e poi avrei dovuto pensare alla mia omosessualità prima o poi.
Comunque penso che SE NON FOSSI GAY STAREI MILLE VOLTE MEGLIO e vi spiego perché. Forse sarà colpa di questa 'educazione etero', ma i miei fanno pressioni per sapere della mia vita sessuale, ma io rispondo sempre con "sono cazzi miei", però mi rendo conto che loro pensino "ha diciannove anni e farà sesso" e questo mi pesa tanto. Poi c'è una pressione da parte dei miei genitori più indiretta, che mi rendo conto
che me la costruisco da solo, ovvero invidia nei loro confronti. A volte vorrei avere come genitori due tristi repressi trogloditi ignoranti che guardano uomini e donne e si ammazzerebbero all'idea di avere un figlio gay: in questo modo potrei avere il diritto di disprezzarli e me ne andrei di casa; si, mi dispiacerebbe non stare con loro, ma la vita va avanti. Invece i miei genitori conducono una vita che mi sembra quasi non potrò avere; la spensieratezza che hanno avuto dai venti ai trenta (ragazzi/e sesso divertimenti che so da foto e racconti di amici e nonni) ora come ora mi sembra che solo in parte potrò avere, ma poi la vita da adulti rispettabili che si amano e amano i loro figli mi sembra totalmente preclusa. Anche se la vedo una
cosa lontana, mi chiedo se potrò mai avere dei figli e una famiglia che venga considerata da tutti una famiglia vera non di serie B.
Poi una cosa che odio dell'essere gay è che mi sembra di essere stereotipato, i ragazzi gay che conosco (pochi e che non sopporto caratterialmente) hanno molti gusti e interessi simili ai miei... Se ripenso a me a quattordici anni, ero un cliché vivente, mi interessavo solo di moda, ero fan di Paris Hilton, ero un gran pettegolo, ascoltavo Britney Spears, Madonna, Christina Aguilera e queste cantanti da ragazzine in fase pre adolescenziale. Poi ero, e sono ancora in parte oggi, una "checca", e me rendo conto da come dico
certe cose, dai gesti che faccio e da come parlo, e questo non lo sopporto! Poi non sopporto il fatto di essere amico delle donne... Di questo me ne sono reso conto da settembre circa quando ho iniziato l'università. Venendo da una città molto piccola i miei più cari amici alla fine lo sono perché facendo parte delle famiglie più 'importanti' (è brutto da dire ma non so come spiegarmi) della città siamo cresciuti insieme (anche se vedo che con i ragazzi maschi ci sono amico ma ho molto meno rapporto) e non sono considerato l'amico gay dalle ragazze ma solo me stesso. Invece ora mi sono trasferito a Milano per l'università e ho legato con delle ragazze con cui mi trovo molto bene, solo che a volte mi sembra di essere proprio il classico "amico gay" a cui dici come ti vesti o gli inciuci col ragazzo. Il problema è che ai maschi non ho veramente nulla da dirgli, e mi rendo conto che le amicizie a casa sono così perché le circostanze hanno fatto sì che fossero così, ma ora sarò destinato a essere l'amico gay? Non che stia male, ma vorrei
anche altro... Forse queste saranno cazzate, ma il mio più grosso problema è... mi innamorerò mai? Ma nemmeno innamorarmi, vorrei avere un legame affettivo e sessuale con qualcuno, ma qualcosa di serio. Solo che se non inizio a cercare i miracoli non avvengono e di certo gli uomini non cadono dal cielo. Anche ora che mi sono trasferito a Milano non sono minimamente intenzionato a cercare qualcuno, non saprei nemmeno cosa fare. Comunque un modo lo devo trovare perché il mio unico sfogo sessuale è nella masturbazione, e anche se ho letto più volte "è naturale non bisogna avere sensi di colpa", trovo che masturbarsi (sia che il soggetto sia gay che etero) davanti a un sito porno o in webcam con uno sconosciuto sia di quanto più squallido possa esistere. Quindi più che senso di colpa dopo la masturbazione mi abbatto un po' e mi dico "ma invece di stare qui a fare 'ste porcate e perdere tempo non posso fare del sesso normale con qualcuno di normale come fa la gente normale?" (preciso che per normale non intendo etero).
Vabe' ora mi sento solo un ridicolo ragazzino omosessuale di provincia che fa la vittima. Non so bene cosa sperassi di fare scrivendo questa email, non sei dio e so che non mi puoi dire cosa fare, però certamente mi ha aiutato a chiarirmi un po' le idee (ora sono depresso però!). Sono felice che esista un qualcosa come Progetto Gay, per lo meno ti rendi conto che essere Gay non è solo chat e porno.
Grazie di tutto
B.
Ps. Se vuoi pubblicare l'email non ci sono problemi, solo se possibile, non pubblicare il mio indirizzo.
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Ciao B.,
ti ringrazio per la mail e vado subito al punto. Ti innamorerai mai? In effetti in quello che scrivi il grande assente è l’amore, cioè il sentire un trasporto autentico e convinto verso un altro ragazzo, il desiderarne la presenza, il fantasticare su di lui, il proiettare su di lui la tua affettività e anche la tua sessualità. Hai vissuto in una piccola città in una famiglia che ti ha voluto bene ma ha anche riposto in te molte aspettative e bene o male ti ha imposto un ruolo che non senti tuo. Leggendo quello che hai scritto mi sono chiesto: Ma sulla base di che B. si sente gay? Per il fatto di avere visto qualche porno gay o di essersi masturbato in cam con uno sconosciuto? Ma è possibile che un ragazzo gay di 19 anni non si sia mai innamorato? Non abbia mai perso la testa per uno suo amico o un suo compagno e abbia finito per fuggire dal contatto con gli altri ragazzi? Perché un ragazzo gay deve avere delle remore nel cercare di approfondire l’amicizia con dei ragazzi? Quando dici “Se non fossi gay starei mille volte meglio” di fatto metti proprio in evidenza che non hai mai sperimentato il senso di fondo dell’essere gay che consiste nell’innamorarsi di un ragazzo e nel sentirsi ricambiati, è per questo che non stai bene nel tuo essere gay, perché è un essere gay cui manca l’esperienza essenziale che non è quella del fare sesso con un ragazzo ma quella dell’innamorarsene e del sentirsi amati. Reclami dei diritti in nome dei gay e ti posso capire ma i diritti si guadagnano sul campo cercando di costruire per sé e per gli altri qualcosa di buono perché la società matura lentamente e bisogna aiutarla a maturare. E poi perché un ragazzo gay deve dire “Se non fossi gay starei mille volte meglio”? Al di là del discredito sociale della omosessualità, tu credi veramente che un rapporto d’amore tra due ragazzi abbia meno dignità e meno valore del rapporto tra un ragazzo e una ragazza? Se lo non lo credi, come non lo crede nessuna persona di buon senso, che ti importa delle difficoltà che incontrerai e delle attese che disilluderai? Essere gay non una scelta ma una identità profonda, non sessuale, ma affettiva, umana nel senso più alto del termine, è un modo di amare.
Non ti nego che mi ha colpito non poco il brano in cui ti definisci un po’ checca e dici che i gay sono stereotipati. Ma non sarebbe ora di superare questi atteggiamenti (perché quello sono) e cominciare ad essere se stessi senza nessuna concessione a modelli gay che di realmente gay non hanno proprio nulla? Insomma se essere gay significa amare un ragazzo “in condizioni di assoluta parità” che cosa c’entrano gli atteggiamenti? Come se ci fosse un modo di fare tipico dei gay. Di ragazzi atteggiati ad imitazione dei gay da avanspettacolo ogni tanto se ne vede qualcuno, ma sono delle pose imitative, non dei modi di essere. Un giorno avevo incontrato un gruppo di ragazzi e tra loro ce ne era uno atteggiato in modo quasi teatrale, poi gli è squillato il cellulare ed era il padre. Quel ragazzo ha immediatamente messo da parte gli atteggiamenti teatrali e ha risposto al padre in modo serissimo. Ma è mai possibile che la cosiddetta cultura gay mediatica, che non è altro che una sovrastruttura commerciale, debba finire per essere un modello ancora realmente condizionante? Ammesso e non concesso che possa esserlo per i giovanissimi che non hanno altri punti di riferimento, non dovrebbe esserlo per nessuna ragione per i ragazzi più grandi e di fatto tu stesso avverti il fastidio ci certi atteggiamenti che pure riconosci come tuoi.
Ma che c’entra l’essere gay con l’imitazione dell’identità femminile? Sono ancora residui di mentalità ottocentesche! La sessualità etero è una sessualità “di ruolo” o di “complementarità” nel senso che un uomo e una donna sono fisiologicamente diversi e vivono nella sessualità ruoli che sono definiti a livello anatomico e fisiologico. La sessualità gay è una sessualità “paritaria” o di “identità”. Nota bene che un gay non cerca mai nel suo compagno il sostituto di una donna o uno che assuma un ruolo femminile, cerca invece il suo compagno proprio in quanto simile a sé, è chiaro che in questo contesto paritario non ha alcun senso parlare di femminilizzazione del gay. La femminilizzazione del partner, la “checca”, è una caratteristica degli “etero che vanno con gli uomini” e anche dei bisessuali, che nel rapporto gay tendono a riprodurre i ruoli di un rapporto etero. La femminilizzazione è stata assunta come caratteristica dei gay attraverso la diffusione dei rapporti gay-etero all’inizio dell’800, quando un ricco signore etero, stanco dei rapporti familiari, aveva rapporti sessuali “alla maniera etero” con un ragazzo, spesso suo subordinato (donde l’idea della penetrazione come segno di dominio) che rivestiva stabilmente ruoli femminili ed era indotto per compiacere il ricco signore ad imitare i comportamenti femminili, cioè ad essere una “checca”. La reciprocità dei ruoli era assolutamente impensabile. In genere i ragazzi gay (poveri) si adattavano a questa situazione nella quale potevano avere dei benefici materiali e nello stesso tempo potevano provare un po’ di sessualità con un altro uomo cosa altrimenti del tutto impossibile per la presenza di mille tabù. La pornografia omosessuale non è nata peri ragazzi gay poveri costretti al ruolo di “checca” ma per i ricchi signori etero che nel rapporto gay-etero con ragazzi di classe sociale inferiore sfogavano non solo la loro repressione sessuale ma soprattutto il loro desiderio di dominio. La pornografia dei rapporti omosessuali, quindi, non è nata sulla base del rapporto tra due gay ma sulla base del rapporto tra un etero dominante e un gay femminilizzato e siccome si trattava di rapporti tra due uomini si è finito per considerare impropriamente il modello offerto dalla pornografia come tipicamente gay e quel modello ha purtroppo influenzato pesantemente i comportamenti dei ragazzi gay. I rapporti paritari tra due ragazzi gay sono una cosa molto più tarda e si sono affermati alla fine degli anni ‘60 del ‘900, ma la vera sessualità gay è quella, cioè quella della parità, quella senza “checche”! E allora perché non cominciamo noi per primi a liberarci di tutta una tradizione che non ci appartiene ma ci è stata imposta e con la quale continuiamo a bamboleggiare? Basta con l’idea del gay come checca! Basta con la femminilizzazione del gay!
Quanto a quello che scrivi della masturbazione, beh, tra masturbarsi pensando al proprio ragazzo quasi per prefigurarsi o per rivivere un contatto sessuale con lui, masturbarsi guardando un porno, o masturbarsi in chat con un altro individuo incontrato per caso, la differenza è enorme, nel primo caso la masturbazione fa parte a tutti gli affetti di un rapporto d’amore ed ha una dimensione profondamente affettiva che presuppone un vero rapporto bilaterale, nel secondo caso la dimensione affettiva può esserci nella misura in cui il video è mentalmente rivissuto in riferimento non agli attori ma a persone reali incontrare nella vita quotidiana, ma si tratta comunque di fantasie del tutto unilaterali, nel terzo caso il ruolo tipico della fantasia masturbtoria è delegato alla presenza virtuale di un altro individuo col quale si crea un falso rapporto bilaterale. Il rischio connesso alla masturbazione in cam non è tanto la dipendenza psicologica e la coazione a ripetere quanto la falsità del rapporto bilaterale sottostante che abitua pian piano a considerare con la stessa leggerezza tutti i rapporti bilaterali, anche quelli che potrebbero avere una serissima consistenza. Non c’è da meravigliarsi che la masturbazione sia in pratica la più comune forma di sessualità tra i gay, dato che all’età di 24,2 anni il 50% dei ragazzi gay non ha ancora avuto il primo rapporto sessuale. Questo è un dato di fatto. Certo sarebbe molto bello vivere una sessualità di coppia in modo libero, socialmente accettato, ecc. ecc., ma queste cose sono ancora per moltissimi ragazzi gay pura utopia ed è per questo che, come dici tu, Progetto Gay sta facendo di tutto per dimostrare che essere gay non è “chat e porno” ma è una cosa serissima, perché è un modo di amare.

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lunedì 28 dicembre 2009

CONSIGLI AI GENITORI DI UN FIGLIO GAY

Questo articolo intende spiegare ai genitori di figli gay come i loro comportamenti sono visti dai figli, in questo modo i genitori possono avere un’idea di che cosa fare e che cosa non fare con un figlio gay.

Quando un ragazzo ha 14/15 anni, e talvolta anche prima, comincia ad avere una propria vita sessuale, scopre la masturbazione e, nel XXI secolo, immancabilmente, comincia a fare uso della pornografia online.

Contemporaneamente all’inizio dell’attività sessuale, quel ragazzo sente due diverse esigenze, innanzitutto l’esigenza della privacy, cioè di avere un suo spazio riservato e dei tempi in cui ha la certezza di non essere disturbato, proprio per dedicarsi all’esplorazione della sessualità, quindi l’esigenza di trovare informazioni serie concernenti la sessualità, che gli forniscano risposte senza metterlo in situazioni imbarazzanti. Per un ragazzo che ha appena iniziato a masturbarsi, attività assolutamente naturale e necessaria per lo sviluppo della sua sessualità, non c’è niente di più umiliante di essere sorpreso dai genitori mentre si masturba o peggio che i genitori gli facciano capire che loro sanno quello che fa. Quando un ragazzo cresce, un genitore deve capire che è assolutamente inevitabile che quel ragazzo abbia una “sua privatissima” vita sessuale nella quale ”nessuno” ha il diritto di entrare e “per nessun motivo”. La prima regola per un genitore è evitare l’invadenza nella vita sessuale del figlio e sapersi tenere da parte mantenendo un ruolo di punto di riferimento “solo eventuale” per il figlio. Un genitore non deve fare domande al figlio concernenti la sua sessualità, non lo deve mai mettere in imbarazzo. E qui, trattandosi di ragazzi, un ruolo fondamentale spetta ai padri piuttosto che alle madri. Una madre non conosce a fondo lo sviluppo della sessualità maschile perché non lo ha vissuto in prima persona e per un ragazzo parlare della propria sessualità con una persona del sesso opposto, tanto più se è la propria madre, può essere molto imbarazzante perché il discorso deve essere esplicito. Un padre, se pensa che abbia senso accennare alla masturbazione con il figlio, non deve partire dalla sessualità del figlio ma dalla propria, accennando al discorso come a cosa ovvia, che non costituisce un tabù e accompagnando il cenno (che deve rimanere solo un cenno se il figlio non prosegue il discorso) con una battuta di alleggerimento o con un sorriso ammiccante. Riporto qui di seguito un frammento di dialogo tra un padre 45enne e un figlio 15enne.

Occasione: padre e figlio hanno visto insieme un servizio in televisione sugli approcci alla sessualità da parte dei giovanissimi.
Padre: Vabbe’, si stupiscono tanto che a 14/15 anni i ragazzi sappiano che cosa è il sesso, quando ero ragazzo io magari non avevamo proprio rapporti come questi ragazzi di oggi ma, insomma, oh … (guarda il figlio sorridendo) … che c’hai da ridere … certe cose le ho fatte pure io … non sono mica una marziano!
Figlio (sorride).
Fine del discorso.

Questo frammento è un approccio non invasivo che sdrammatizza e non crea imbarazzo ma quasi una forma di complicità. Sottolineo che nella frase del padre non c’è nessun riferimento all’orientamento sessuale (non si parla di ragazze, cosa che per un figlio gay potrebbe creare allarme e imbarazzo).

L’approccio alla sessualità di un figlio da parte della madre è molto più problematico, tanto più se si tratta di un figlio gay. Se un ragazzo “esplicitamente” vuole parlare con la madre di sessualità “senza coinvolgere il padre”, il compito della madre non è quello di indagare e di capire ma di ascoltare attentamente e non ansiosamente per dare al figlio una sicurezza, evitando di coinvolgerlo nelle proprie ansie. Quando una madre non sa che cosa dire al figlio o si trova in imbarazzo può intanto tranquillizzarlo in un modo molto semplice: quando il discorso sulla sessualità è finito, la madre non lo deve riprendere, cosa che sarebbe segno di ansia destabilizzante, come un sottolineare che c’è un “problema” da risolvere, ma deve proseguire il suo rapporto con il figlio come se nulla fosse accaduto, questo per dare alla sessualità una dimensione di naturalezza e di normalità che dovrebbe essere sempre la regola.

Una situazione particolarmente delicata si crea quando un ragazzo in fase adolescenziale vive in modo oggettivamente problematico l’approccio con la sessualità. Sono queste in genere le situazioni in cui i genitori entrano in stati d’ansia connessi con il malessere del figlio. Un genitore che vede il malessere del figlio deve chiedersi se per lui sia più importante alleviare lo stato di disagio del figlio oppure “sapere” come stanno le cose per poter “aiutare” il figlio. Premetto che, nonostante le apparenze, si tratta di situazioni spesso inconciliabili. Per aiutare un figlio a superare stati di disagio è spesso necessario accattare di “non conoscere” in concreto la vita del figlio. Se mio figlio vuole parlare con me di sessualità lo fa spontaneamente, se non lo fa non devo forzarlo in nessun modo, posso stargli vicino attraverso le normali premure familiari: accompagnarlo dai suoi amici senza fare troppe domande, lasciargli la cena pronta quando torna tardi, accoglierlo con un sorriso. Un genitore non può pretendere di aiutare un figlio se questo non vuole coinvolgerlo perché un ragazzo ha diritto alla sua privacy. Ha molto più valore una presenza affettuosa e costante che non affronti temi sessuali di una presenza assillante che miri a “sapere” e a “capire” come stanno le cose, comportamento questo che può portare all’interruzione totale della comunicazione col figlio e a comportamenti di razione e di radicale distacco dalla famiglia.

Se un genitore ha dubbi sull’orientamento sessuale del figlio deve evitare di assillarlo e deve invece preoccuparsi di rassicurarlo senza coinvolgerlo in modo imbarazzante in discorsi diretti ma attraverso accenni indiretti di rispetto verso i gay, accenni che non devono essere neppure troppo insistiti, perché altrimenti suonerebbero falsi. Se i genitori hanno un reale rispetto per i gay oppure fingono il figlio lo capisce perfettamente, quindi per un genitore la cosa fondamentale per non destabilizzare affettivamente il proprio figlio gay è arrivare ad un rispetto vero della omosessualità. Il genitore dovrebbe prima mettere in discussione se stesso e i propri preconcetti e solo dopo dovrebbe pensare di poter parlare di questi argomenti con il figlio.

Premesso che è sempre bene occuparsi in prima persona dei propri figli, senza delegare compiti fondamentali a nessuno, accade talvolta che un genitore, vedendo la situazione di disagio del figlio, lo indirizzi da uno psicologo che gli possa fornire supporto. Qui deve essere chiarito un punto delicatissimo: il rapporto tra uno psicologo e il suo paziente deve essere assolutamente “confidenziale” cioè “riservato”, un professionista serio, anche in un rapporto con un paziente minorenne, ha l’obbligo professionale del segreto. Purtroppo questo obbligo non è sempre rispettato e lo psicologo “nell’interesse del minore” o meglio nel presunto interesse del minore ma oggettivamente cedendo alle pressioni dirette o indirette dei genitori, arriva a comunicare ai genitori l’omosessualità del figlio “a sua totale insaputa”, rompendo in modo violento un rapporto di fiducia che per un ragazzo poteva essere importante, cosa che ha affetti devastanti per un ragazzo che si sente tradito in una dimensione che dovrebbe essere di assoluta riservatezza. In questo modo lo psicologo, accortamente scelto dal genitore, diventa in sostanza una spia del genitore, cosa questa che indica non rispetto verso il figlio ma volontà di “sapere ad ogni costo” da parte del genitore, anche violando la privacy del figlio. Sottolineo che il rapporto di un ragazzo con uno psicologo deve rimanere assolutamente riservato. I genitori non devono scegliere lo psicologo e non devono andare al suo studio prima dei colloqui con il figlio e nemmeno dopo, il rapporto con lo psicologo non è un’appendice del rapporto genitori-figlio, ma una rapporto del tutto distinto e separato nel quale i genitori non devono entrare, peggio che mai se lo psicologo è un amico di famiglia. È buona regola avere il nominativo dello psicologo dal medico di base e non chiedere “mai” allo psicologo informazioni circa il proprio figlio e neppure al proprio figlio un giudizio sullo psicologo. Mi capita diverse volte di parlare con ragazzi che, mandati dallo psicologo dai genitori, non si fidano dello psicologo. In questi casi l’approccio dello psicologo non solo è svuotato dall’interno ma è controproducente.

Nel rispetto della dimensione della privacy dei figli bisogna tenere presente che se un genitore ha dubbi sulla sessualità del figlio, quei dubbi deve tenerli per sé, già parlarne col proprio coniuge può essere un fatto negativo, parlarne col coniuge separato è poi assolutamente da evitare, in particolare se si tratta di persona che non ha un ottimo rapporto con il figlio.

Un genitore non deve intromettersi nei rapporti del figlio con i suoi compagni di scuola e con i suoi amici, quando un figlio fa una festa a casa e invita i suoi compagni di scuola i genitori, se non chiamati direttamente in causa del figlio, devono mantenere una posizione marginale, di basso profilo, devono evitare di entrare in confidenza con gli amici e con i compagni di scuola del figlio e per nessuna ragione devono cercare di ottenere informazioni sul figlio dai suoi amici o di suoi compagni. Mettere un figlio in condizioni di imbarazzo con i suoi compagni di scuola o con i suoi amici crea una rottura del rapporto genitori-figlio che è difficile riparare. Terribili e odiose sono le situazioni in cui un ragazzo che si è confidato con i suoi genitori in modo esclusivo si rende conto che altri suoi parenti “sanno della sua sessualità” e che la fonte delle notizie sono stati proprio i genitori, incapaci di mantenere la riservatezza.

Ho visto diverse volte genitori terrorizzati dal fatto che il figlio si fosse dichiarato gay, la reazione più tipica, di falsa accettazione consiste nel dire che “è solo una fase transitoria che poi passerà e tutto ritornerà nomale”, ma ci sono anche altre reazioni di tipica non accettazione: “vai dallo psicologo e vediamo che cosa si può fare”, “ma sei proprio sicuro?”, “ma non sei gay, lo dici solo per provocarmi”. In queste situazioni è ovvio che i genitori dovrebbero risolvere i loro problemi circa il rifiuto della omosessualità prima di pensare di poter essere di “aiuto” al proprio figlio. Il verbo “aiutare”, usato nei confronti dei figli gay non fa che sottolineare la dimensione problematica dell’essere gay, dimensione problematica che esiste solo nella misura in cui si vede l’essere gay come problema. La problematicità dell’essere gay aumenta con l’ignoranza della questione e con l’aumentare dei livelli di ansia dei genitori che voglio a tutti costi “aiutare” il figlio a risolvere un “problema” che in realtà non esiste e lo vogliono “salvare” da una indefinita serie di pericoli dei quali il genitore non ha comunque la più pallida idea concreta.

Se una cosa un genitore ha il sacrosanto dovere di fare, è fare capire al figlio che la propria salute va salvaguardata anche nell’attività sessuale perché è un valore assolutamente fondamentale. La prevenzione non deve essere affrontata in modo generico con un vago “stai attento” ma in modo competente, parlare con il genitore deve servire al figlio per ottenere informazioni affidabili e precise. Se un genitore non si sente sufficientemente informato può aggiornarsi in modo specifico sul sito del Ministero della salute o anche sul sito di Progetto Gay che ha ripubblicato una importante notizia informativa sull’aids di fonte ministeriale: https://sites.google.com/site/progettog ... -dall-aids .

Un figlio che cresce, e in particolare un figlio gay, non deve essere coinvolto per nessuna ragione in situazioni aggressive, tanto più se si tratta di situazioni aggressive legate al suo essere gay. Mi capita ancora talvolta di parlare con madri preoccupate che non vogliono che il marito sappia della omosessualità del figlio perché reagirebbe in modo violento. Una scenata, e peggio che mai uno schiaffo dato a un ragazzo gay del genitore proprio perché il figlio è gay, comporta la comprensibilissima rottura definitiva dei rapporti padre-figlio. Si resta stupiti di quanto, ancora oggi, esistano reazioni violente dei genitori all’idea della omosessualità del figlio e anche da parte di genitori con livelli alti di istruzione ma che evidentemente sono del tutto ignoranti in materia di sessualità e non sono neppure capaci di trattenersi dalla violenza e di ragionare come persone civili.

Ho visto spesso come il rapporto conflittuale con i genitori possa pesare in modo condizionate e oppressivo sui figli gay anche ben oltre i limiti dell’adolescenza. È enormemente significativo il fatto che, quando si realizza, il coming out con i genitori è sempre l’ultimo in ordine cronologico e comunque i ragazzi che si dichiarano esplicitamente gay con i genitori non sono più del 3%.

Il succo di questo articolo si può condensare in due principi che i genitori di un figlio gay non dovrebbero mai dimenticare:

1) Un genitore prima di affrontare con il figlio il discorso sulla omosessualità dovrebbe chiedersi qual è il suo personale atteggiamento in materia. Si chieda seriemente se sa di che cosa si tratta o se presume solo di saperlo e se si rende conto di non avere, lui o lei in prima persona, le idee chiare, cerchi prima di chiarirsele. Cerchi prima di chiarire se il suo atteggiamento è realmente di accettazione o se dietro parole apparentemente concilianti non si nascondano concezioni omofobe (omosessualità come patologia da curare, come vizio da superare, come peccato da evitare).

2) Un genitore, anche dopo aver raggiunto una piena consapevolezza di che cosa sia l’omosessualità, deve rispettare “senza eccezioni” la privacy del figlio, rimanendo presente e disponibile ma mai in termini invasivi e comprendendo che la sessualità del figlio è del figlio e non del genitore e che la volontà di proteggere il figlio rischia di farlo diventare incapace di reagire autonomamente o di portarlo ad una posizione di aperta rottura con la famiglia.

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Se volete, potete partecipare alla discussione di questo post aperta sul forum di Progetto Gay:

http://progettogayforum.altervista.org/viewtopic.php?f=15&t=527

domenica 20 dicembre 2009

FORSE NON SONO GAY

Ricevo la seguente mail, che pubblico con la mia risposta.

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Ciao Project,

mi chiamo Andrea e ti scrivo per parlarti di alcune cose in un periodo abbastanza transitorio della mia vita.
Ti avverto sin da ora che si tratta di considerazioni piuttosto personali che vanno prese con il giusto distacco e lucidità perché probabilmente non sono molto comuni. Inizio con il dirti che ho 24 anni e intorno ai 15 ho iniziato a pensare di essere gay. Ero un ragazzo piuttosto solo e insicuro, pieno di paure e fobie che mi impedivano di vivere in modo spensierato come tutti gli altri. La risposta a tutti questi miei disagi sembrava essere una sola, l'omosessualità, caratteristica con la quale cercavo di giustificare la mia diversità e, allo stesso tempo, rispondere a bisogni molto complessi che non riuscivo a realizzare in nessun altro modo. Con la consapevolezza di essere gay mi sono mosso per anni cercando un contatto umano avendo un enorme bisogno di dare e ricevere affetto. Sin dall'inizio ho capito che la maggior parte dei gay erano diversi da me, sia per il sessocentrismo che per una certa effemminizzazione delle proprie caratteristiche, perciò attraverso le chat d'incontri mi muovevo alla ricerca di un altro diverso tra i diversi. La cosa davvero incredibile e che con la costanza e l'intuito ho conosciuto davvero persone così, eppure negli incontri dal vivo mancava quasi sempre qualcosa. Sebbene spesso mi sentivo psicologicamente appagato da conoscenze e amicizie, cosa che nel mio ambiente di vita ancora non succedeva, mancava sempre un reale trasporto che mi impediva di amare anche fisicamente un altro uomo. Qualcosa sono riuscito anche a fare comunque, però non mi sentivo mai davvero appagato e cercavo sempre giustificazioni a riguardo, davo la colpa alle situazioni del momento, a qualcosa che non mi convinceva del partner o, addirittura, che potessi avere problemi sessuali fisici, ma la realtà probabilmente era ben diversa. Con il passare degli anni sentivo che qualcosa di importante non funzionava perché non avevo mai un riscontro fisico tale da giustificare un certo tipo di inclinazione e così, mentre nella vita di tutti i giorni acquistavo sempre più sicurezza superando la maggior parte dei miei problemi, dal punto di vista affettivo/sessuale continuavo ad avere enormi dubbi.
Solo di recente mi sto sempre più rendendo conto che, molto probabilmente, la ricerca di un altro uomo non era altro che un tentativo disperato di farmi accettare da qualcuno in un periodo già di per se problematico come l'adolescenza. E' dura ammettere queste cose, come è ancora più dura aver capito che mi stavo muovendo nella direzione sbagliata fino a poco tempo fa, tuttavia ho individuato tutta una serie di questioni che mi hanno portato su una strada piuttosto che un'altra. Sia ben chiaro, non rinnego nulla del mio passato, ho fatto ciò che sentivo di fare così come son convinto che non esistono confini così netti a livello di inclinazioni sessuali, però mi sto rendendo conto che vecchi complessi a parte non sono così gay come davo per scontato. La cosa è ovviamente destabilizzante e non è facile ora fare il passo definitivo verso questa nuova consapevolezza, tuttavia ho degli ottimi amici ai quali mi sono confidato prima e anche ora e oltre a loro nessuno sa e immaginerebbe mai che ho avuto pseudo esperienze gay. Tra l'altro in genere piaccio pure alle ragazze e, pur non essendo ancora passato all'azione ammetto, ammetto che in questo periodo oltre a chiedermi il perché e il per come di tante cose inizio pure a provare un certo interesse che mi attrae e allo stesso tempo mi spaventa... non so perché ti racconto tutto ciò, mi rendo conto che è anche piuttosto difficile condensare anni di vita e sensazioni in poche righe, a dire il vero
temo che sia difficile comprendere la mia storia in una mail, tuttavia ho sentito il bisogno di testimoniare la mia esperienza e magari sentire anche il tuo parere. Se deciderai di pubblicare questa mail ti prego di omettere il mio nome. Ti auguro buone feste, un saluto e grazie per avermi letto.

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Carissimo Andrea,

comincio col ringraziarti per aver voluto contribuire alla discussione dei temi riguardanti l’omosessualità con una tua testimonianza personale. Cercherò di risponderti sulla base delle esperienze maturate in Progetto Gay.

In primo luogo non sei certamente il solo a provare momenti di disorientamento sessuale. Sulla base di quello che dici sono possibili due ipotesi interpretative sostanzialmente diverse. Partiamo dalla prima.

Potresti non essere realmente gay e il tuo orientamento pseudo-gay potrebbe essere stato causato dalla necessità di individuare una motivazione precisa a tante situazioni di disagio che forse con l’essere gay avevano ben poco a che vedere. Tu stesso ti ritenevi un gay anomalo perché la tua vita non era polarizzata intorno al sesso e perché non sei effeminato (nota bene che l’equazione “gay = effeminato” è sbagliata nella quasi totalità dei casi). Hai ricercato tra i gay il tuo simile e non lo hai trovato, questo ti ha portato a pensare che probabilmente tu non fossi realmente gay, anche perché in un rapporto fisico omosessuale avvertivi sempre un senso di sostanziale insoddisfazione.

È un’ipotesi, certo, ma per suffragare questa ipotesi ci vorrebbero degli elementi concreti in più. Se accanto alla tua ricerca di un tuo simile in una chat gay, provando un senso di insoddisfazione sessuale ,tu, non dico avessi provato a corteggiare una ragazza, ma semplicemente ti fossi masturbato pensando a una ragazza e in questo caso con una vera soddisfazione sessuale, beh allora l’ipotesi avrebbe maggiore concretezza. L’orientamento sessuale non si manifesta attraverso i comportamenti di coppia ma attraverso i desideri sessuali e attraverso le fantasie sessuali che accompagnano la masturbazione. Aggiungo che il fatto stesso di cercare insistentemente nelle chat gay ragazzi che tu potessi sentire simili, mettendo del tutto da parte per anni la prospettiva della eterosessualità, non lascia pensare che tu abbia un orientamento sessuale realmente etero. Potresti dirmi che esiste la bisessualità, ma la vera bisessualità o alterna lunghi periodi di sessualità esclusivamente gay a lunghi periodi di sessualità esclusivamente etero oppure vede il convivere “soddisfacente” sia di sessualità etero che di sessualità gay, se non nei rapporti d coppia almeno nella masturbazione, che risulta non orientata in una sola direzione e gratificante in entrambe le direzioni.

Francamente leggendo la tua mail, che offre però pochi elementi per farsi un’idea concreta della situazione, l’ipotesi interpretativa che mi è venuta in mente è un’altra.

Vedo spesso ragazzi gay che cercano risposte facili alle loro esigenze affettive, negando quasi che si tratti di vere esigenze affettive e trasponendo tutto sul piano della sessualità. In questo modo, questi ragazzi si mettono in mente che “devono” cercare al più presto la soluzione del loro problema, che a loro appare essenzialmente quello di non avere un ragazzo con cui vivere un’esperienza sessuale, si buttano quindi alla frenetica ricerca del compagno con cui finalmente rompere il ghiaccio e provare. Cioè per loro il loro ragazzo non è un ragazzo da amare ma un modo per risolvere il loro problema personale. Su questa base tramite le chat tanti ragazzi avviano una serie di esperienze sessuali, quasi sempre insoddisfacenti, ma di fatto trascurano l’unica cosa che conta, cioè la costruzione di un legame affettivo profondo. Non mi meraviglia affatto che chi ha vissuto l’essere gay attraverso l’esperienza delle chat, alla fine, non se ne senta per niente soddisfatto, ma quelle cose hanno ben poco a che vedere con l’omosessualità vissuta come si deve, cioè vissuta a livello affettivo profondo. Dico spesso che essere gay non significa fare sasso con un ragazzo ma innamorarsi di un ragazzo. Nell’innamoramento esiste ovviamente una base fisica che però è ben lungi dall’esaurire la portata complessiva dell’essere innamorati. Se la sessualità gay è vissuta con un ragazzo che si ama e che ci ama, allora ha un valore comunicativo profondo perché ha una valenza affettiva forte, cioè non è un modo per risolvere i propri problemi tramite un’esperienza in cui l’altro, in fondo, non è l’elemento essenziale, ma è un modo di amare, di cogliere e di realizzare le esigenze dell’altro, nel rispetto anche dei suo timori, dei suoi tempi e delle sue ritrosie.

È vero che il tuo modo di vedere la vita non è centrato sulla sessualità, ma in effetti la tua mail finisce per concentrarsi solo sulla sessualità “come problema”, manca cioè l’elemento essenziale, quello affettivo, manca l’innamoramento vero, sia per un ragazzo che per una ragazza.

Il mondo gay reale non è quello delle chat ma quello dei rapporti affettivi veri e reciproci che crescono nel tempo ed è proprio l’esperienza del mondo gay “affettivo” che ti manca, è proprio il vivere con un ragazzo un vero rapporto affettivo di coppia. Di fonte alla insoddisfazione sessuale che hai provato nelle tue esperienze gay e alla assenza di rapporti affettivi gay profondi, è ovvio che tu cerchi “la soluzione del problema” in campo etero. Ma devo dirti una cosa, ho parlato spesso, di recente, con un ragazzo che aveva vissuto esperienze gay e che poi ha finito per tornare ad una eterosessualità esclusiva. Bene, quando quel ragazzo parlava della sua ragazza lo faceva con un entusiasmo e una partecipazione affettiva che non lasciavano alcun dubbio sul fatto che, nonostante le esperienze gay, quel ragazzo fosse etero: essere etero non vuol dire fare sesso con una ragazza ma innamorarsene e quel ragazzo ne era innamorato.

Ovviamente nel formulare questa seconda ipotesi, per la quale saresti soprattutto un gay deluso nelle sue aspettative affettive di fondo, che ha conosciuto solo ambienti in cui è estremamente improbabile creare rapporti personali su una vera base affettiva, e che ora è in fuga perso l’eterosessualità, mi baso essenzialmente su analogie con situazioni apparentemente simili in contrate in Progetto Gay, ma ovviamente mi mancano gli elementi concreti per poter capire qualcosa di più. Però non darei tanto per scontato che ora tu stia scoprendo la tua vera sessualità etero perché sembrerebbe piuttosto che tu stia scappando da una serie di esperienze negative in campo gay. Se tu trovassi un ragazzo che ti vuole veramente bene e al quale tu vuoi bene, pensi che vivere con quel ragazzo condividendo con lui tutti gli aspetti della vita, sessualità compresa, ma non come esperienza ma come forma d’amore, ti lascerebbe ancora insoddisfatto? Io credo di no.

Un abbraccio. Buone feste!

Project

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Se volete, potete partecipare alla discussione di questo post, aperta sul Forum di Progetto Gay:

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