La mia storia è una storia molto particolare, è la storia di un amore gay intensissimo e brevissimo ma sostanzialmente impossibile, impossibile perché negato, soffocato sul nascere. Il tutto si è svolto nell’arco di 25 giorni, li ho contati uno per uno. Io 23 anni e lui, Marco, 19, ci siamo conosciuti all’università, lui era iscritto al primo anno, io stavo per finire lettere. Era pomeriggio tardi, dopo le lezioni, mi ha chiesto delle cose sull’istituto di glottologia, io ho cercato di spiegargli tutto ed è cominciata così, poi abbiamo continuato a parlare e si stava bene, lui era esitante ma era felice di stare con me. Non lo conoscevo affatto, era un bel ragazzo, ma mi piaceva anche sotto altri punti di vista, era schietto, autentico, non recitava, quella sera non me ne sarei più andato. Di dirgli che ero gay non mi è passato nemmeno per l’anticamera del cervello, ci stavo bene e basta, non avevo nessun secondo fine, in effetti mi capita spesso di parlare con qualche ragazzo, ma così, solo perché si sta lì e si devono passare cinque minuti. Mi sentivo più grande di Marco, più maturo, in qualche modo protettivo. Il giorno successivo mi ha cercato nella mia aula e l’ho accompagnato a casa, un lunghissimo e gradevolissimo viaggio. Nei giorni seguenti ho notato che tra noi si stava creando un rapporto forte e non sapevo come comportarmi, con me Marco parlava di tutto ma mai di ragazze o di sesso. Se volevo essere onesto, a costo di perderlo, dovevo dirgli come stavano esattamente le cose. L’ho fatto. Marco era turbato in modo profondo perché voleva essermi amico, ma non in quel modo, questo me lo ha detto subito, ma non sapeva se ci sarebbe mai riuscito. All’inizio ho pensato semplicemente che sentirsi oggetto d’amore di un gay non fosse per lui una cosa accettabile, ma il problema non era quello. L’ho capito un minuto dopo perché me lo ha detto lui stesso in uno sforzo di sincerità che gli deve essere costato sangue, mi ha detto: “Io non posso condividere il tuo sentimento perché sono cristiano”, ma da questa frase io ancora non riuscivo a capire bene quello che mi stava dicendo, gli ho detto semplicemente: “non ho capito...” E lui mi ha risposto vincendo un imbarazzo fortissimo e senza guardami in faccia: “Io sono gay ma sono cristiano e voglio vivere castamente... e stando vicino a te sarebbe molto più difficile”. Io sono rimasto sconvolto da questa dichiarazione esplicita, ma lui è fatto così, non è proprio capace di imbrogliare nessuno, mai! Poi mi ha detto: “è una battaglia con me stesso ma io la devo vincere, a te può sembrare assurdo ma per me è essenziale”. Non sapevo come comportarmi, se fare tutti i miei soliti discorsi sulla religione o evitare. Non ho detto nulla, l’ha presa come una forma di rispetto e non è scappato via, quando ci vedevamo era contento ma sempre con senso di colpa di fondo. Io lo facevo parlare, speravo tantissimo che capisse le cose anche il mio punto di vista, poi abbiamo parlato anche di religione. Per lui era una cosa essenziale, per fare le cose onestamente ci metteva l’anima. Non era bigotto, non era uno invasato, no! L’aveva presa sul serio al 100%. Io non frequento le chiese da quando mi sono reso cono di essere gay, in pratica da quando ero ancora ragazzino, ma qualche pagina di vangelo la leggo volentieri, le chiusure che ha il papa sui gay mi sembrano assolutamente immorali ma non penso affatto che la religione sia una cosa stupida. Marco si è reso conto che io avevo un certo rispetto per queste cose e ne è stato contento, tuttavia con me non ha mai parlato del problema di religione e gay. Il ventiquattresimo giorno, un sabato, mi ha chiesto una cosa stranissima, mi ha chiesto di accompagnarlo in chiesa l’indomani... io gli ho detto che ci sarei venuto certamente. La domenica era una domenica particolare e c’era un vescovo che doveva cresimare una ventina di ragazzi. Io e Marco siamo entrati. Io mi sarei fermato in fondo, ma Marco ha voluto che andassi più avanti con lui e ci siamo messi in un banco circa alla metà della chiesa. E’ entrato il vescovo per la messa, uno magro, alto, anziano. I ragazzi cantavano, la chiesa era pina di gente, c’era una bella atmosfera. Poi il vescono ha fatto il suo discorso e ha detto delle cose molto belle, che mi hanno commosso, sul fatto che siamo tutti fratelli e che amare il nostro prossimo è difficile. In pratica non c’è stata una sola parola della predica del vescovo che io non avrei detto identica. Mi sembravano cose bellissime, condivisibili al 100%, poi ci siamo scambiati la pace, ma la cosa non aveva il sapore rituale che ha di solito, era una cosa seria. Si è alzato ed è andato a confessarsi al ritorno si è inginocchiato proprio vicino a me, poi è andato a fare la comunione, era felice come non l’avevo visto mai. Quando siamo usciti dalla chiesa abbiamo parlato per un quarto d’ora e mi ha detto che avrebbe voluto farsi prete ma che adesso in seminario avrebbe avuto dei problemi, che prima di decidersi doveva avere la certezza che avrebbe potuto portare la cosa avanti fino in fondo senza esitazioni, mi ha spiegato che prima avrebbe dovuto risolvere il problema della omosessualità e che se gli volevo bene veramente lo dovevo aiutare non cercandolo più. Quello che io ho provato in quei momenti credo che nessuno se lo possa immaginare, ero sconvolto, non sapevo che dire, lui mi chiedeva di dirgli addio per sempre e io ho rispettato la sua decisione, gli ho detto che gli avrei voluto bene sempre e comunque, mi ha risposto che questo lo sapeva e che anche lui non mi avrebbe dimenticato ma che la sua strada era un’altra. Ormai è passata una settimana e non l’ho più sentito. Adesso mi sento uno schifo dentro, mi sento solo, mi sento disperatamente solo e penso che sono stato vile, che non ho fatto quello che avrei dovuto, penso che ho rispettato solo le sue parole e non la sua anima, che l’ho fatto andare per quella che lui mi ha detto essere la sua strada ma che forse non è veramente la sua strada, perché lui quella scelta l’ha fatta in modo drammatico, perché era spaccato in due dentro, perché per salvarsi l’anima doveva distruggere se stesso. Quello che mi fa stare male è che se dovesse pentirsi della scelta che ha fatto non avrebbe nessuno disposto ad ascoltarlo. Io l’ho assurdamente assecondato nello scegliere la strada che lo ha portato definitivamente via da me, ma se volesse tornare indietro nessuno lo aiuterebbe e io penso che prima o poi possa andare in crisi. Il senso della disperazione mi viene non solo per me ma soprattutto per lui e mi sento in colpa e penso che il mio comportamento sia stato ipocrita perché rispettare una persona significa dirle sempre tutto quello che si pensa e io con lui non l’ho fatto.
domenica 30 settembre 2007
O CRISTIANO O GAY
Sono molto riluttante a scrivere questa storia perché tocca questioni delicatissime. I fatti sono raccontati in un diario non brevissimo di cui una persona che conosco mi ha fatto avere delle fotocopie, ho chiesto il numero di telefono dell’autore di quel diario e me lo hanno dato, l’ho chiamato, mi conosceva solo per interposta persona, perché aveva sentito parlare di me e per i miei blog, ma ha detto che potevo usare quel materiale ma mi ha chiesto di farlo con estrema prudenza, ed è quello che io farò. Il diario in alcuni punti presenta toni drammatici veri. Ho riscritto la storia, (in prima persona) riassumendola e, al solito, cercando di rispettarne lo spirito. Sottolineo che quanto troverete di seguito non rappresenta assolutamente il mio personale punto di vista.
La mia storia è una storia molto particolare, è la storia di un amore gay intensissimo e brevissimo ma sostanzialmente impossibile, impossibile perché negato, soffocato sul nascere. Il tutto si è svolto nell’arco di 25 giorni, li ho contati uno per uno. Io 23 anni e lui, Marco, 19, ci siamo conosciuti all’università, lui era iscritto al primo anno, io stavo per finire lettere. Era pomeriggio tardi, dopo le lezioni, mi ha chiesto delle cose sull’istituto di glottologia, io ho cercato di spiegargli tutto ed è cominciata così, poi abbiamo continuato a parlare e si stava bene, lui era esitante ma era felice di stare con me. Non lo conoscevo affatto, era un bel ragazzo, ma mi piaceva anche sotto altri punti di vista, era schietto, autentico, non recitava, quella sera non me ne sarei più andato. Di dirgli che ero gay non mi è passato nemmeno per l’anticamera del cervello, ci stavo bene e basta, non avevo nessun secondo fine, in effetti mi capita spesso di parlare con qualche ragazzo, ma così, solo perché si sta lì e si devono passare cinque minuti. Mi sentivo più grande di Marco, più maturo, in qualche modo protettivo. Il giorno successivo mi ha cercato nella mia aula e l’ho accompagnato a casa, un lunghissimo e gradevolissimo viaggio. Nei giorni seguenti ho notato che tra noi si stava creando un rapporto forte e non sapevo come comportarmi, con me Marco parlava di tutto ma mai di ragazze o di sesso. Se volevo essere onesto, a costo di perderlo, dovevo dirgli come stavano esattamente le cose. L’ho fatto. Marco era turbato in modo profondo perché voleva essermi amico, ma non in quel modo, questo me lo ha detto subito, ma non sapeva se ci sarebbe mai riuscito. All’inizio ho pensato semplicemente che sentirsi oggetto d’amore di un gay non fosse per lui una cosa accettabile, ma il problema non era quello. L’ho capito un minuto dopo perché me lo ha detto lui stesso in uno sforzo di sincerità che gli deve essere costato sangue, mi ha detto: “Io non posso condividere il tuo sentimento perché sono cristiano”, ma da questa frase io ancora non riuscivo a capire bene quello che mi stava dicendo, gli ho detto semplicemente: “non ho capito...” E lui mi ha risposto vincendo un imbarazzo fortissimo e senza guardami in faccia: “Io sono gay ma sono cristiano e voglio vivere castamente... e stando vicino a te sarebbe molto più difficile”. Io sono rimasto sconvolto da questa dichiarazione esplicita, ma lui è fatto così, non è proprio capace di imbrogliare nessuno, mai! Poi mi ha detto: “è una battaglia con me stesso ma io la devo vincere, a te può sembrare assurdo ma per me è essenziale”. Non sapevo come comportarmi, se fare tutti i miei soliti discorsi sulla religione o evitare. Non ho detto nulla, l’ha presa come una forma di rispetto e non è scappato via, quando ci vedevamo era contento ma sempre con senso di colpa di fondo. Io lo facevo parlare, speravo tantissimo che capisse le cose anche il mio punto di vista, poi abbiamo parlato anche di religione. Per lui era una cosa essenziale, per fare le cose onestamente ci metteva l’anima. Non era bigotto, non era uno invasato, no! L’aveva presa sul serio al 100%. Io non frequento le chiese da quando mi sono reso cono di essere gay, in pratica da quando ero ancora ragazzino, ma qualche pagina di vangelo la leggo volentieri, le chiusure che ha il papa sui gay mi sembrano assolutamente immorali ma non penso affatto che la religione sia una cosa stupida. Marco si è reso conto che io avevo un certo rispetto per queste cose e ne è stato contento, tuttavia con me non ha mai parlato del problema di religione e gay. Il ventiquattresimo giorno, un sabato, mi ha chiesto una cosa stranissima, mi ha chiesto di accompagnarlo in chiesa l’indomani... io gli ho detto che ci sarei venuto certamente. La domenica era una domenica particolare e c’era un vescovo che doveva cresimare una ventina di ragazzi. Io e Marco siamo entrati. Io mi sarei fermato in fondo, ma Marco ha voluto che andassi più avanti con lui e ci siamo messi in un banco circa alla metà della chiesa. E’ entrato il vescovo per la messa, uno magro, alto, anziano. I ragazzi cantavano, la chiesa era pina di gente, c’era una bella atmosfera. Poi il vescono ha fatto il suo discorso e ha detto delle cose molto belle, che mi hanno commosso, sul fatto che siamo tutti fratelli e che amare il nostro prossimo è difficile. In pratica non c’è stata una sola parola della predica del vescovo che io non avrei detto identica. Mi sembravano cose bellissime, condivisibili al 100%, poi ci siamo scambiati la pace, ma la cosa non aveva il sapore rituale che ha di solito, era una cosa seria. Si è alzato ed è andato a confessarsi al ritorno si è inginocchiato proprio vicino a me, poi è andato a fare la comunione, era felice come non l’avevo visto mai. Quando siamo usciti dalla chiesa abbiamo parlato per un quarto d’ora e mi ha detto che avrebbe voluto farsi prete ma che adesso in seminario avrebbe avuto dei problemi, che prima di decidersi doveva avere la certezza che avrebbe potuto portare la cosa avanti fino in fondo senza esitazioni, mi ha spiegato che prima avrebbe dovuto risolvere il problema della omosessualità e che se gli volevo bene veramente lo dovevo aiutare non cercandolo più. Quello che io ho provato in quei momenti credo che nessuno se lo possa immaginare, ero sconvolto, non sapevo che dire, lui mi chiedeva di dirgli addio per sempre e io ho rispettato la sua decisione, gli ho detto che gli avrei voluto bene sempre e comunque, mi ha risposto che questo lo sapeva e che anche lui non mi avrebbe dimenticato ma che la sua strada era un’altra. Ormai è passata una settimana e non l’ho più sentito. Adesso mi sento uno schifo dentro, mi sento solo, mi sento disperatamente solo e penso che sono stato vile, che non ho fatto quello che avrei dovuto, penso che ho rispettato solo le sue parole e non la sua anima, che l’ho fatto andare per quella che lui mi ha detto essere la sua strada ma che forse non è veramente la sua strada, perché lui quella scelta l’ha fatta in modo drammatico, perché era spaccato in due dentro, perché per salvarsi l’anima doveva distruggere se stesso. Quello che mi fa stare male è che se dovesse pentirsi della scelta che ha fatto non avrebbe nessuno disposto ad ascoltarlo. Io l’ho assurdamente assecondato nello scegliere la strada che lo ha portato definitivamente via da me, ma se volesse tornare indietro nessuno lo aiuterebbe e io penso che prima o poi possa andare in crisi. Il senso della disperazione mi viene non solo per me ma soprattutto per lui e mi sento in colpa e penso che il mio comportamento sia stato ipocrita perché rispettare una persona significa dirle sempre tutto quello che si pensa e io con lui non l’ho fatto.
La mia storia è una storia molto particolare, è la storia di un amore gay intensissimo e brevissimo ma sostanzialmente impossibile, impossibile perché negato, soffocato sul nascere. Il tutto si è svolto nell’arco di 25 giorni, li ho contati uno per uno. Io 23 anni e lui, Marco, 19, ci siamo conosciuti all’università, lui era iscritto al primo anno, io stavo per finire lettere. Era pomeriggio tardi, dopo le lezioni, mi ha chiesto delle cose sull’istituto di glottologia, io ho cercato di spiegargli tutto ed è cominciata così, poi abbiamo continuato a parlare e si stava bene, lui era esitante ma era felice di stare con me. Non lo conoscevo affatto, era un bel ragazzo, ma mi piaceva anche sotto altri punti di vista, era schietto, autentico, non recitava, quella sera non me ne sarei più andato. Di dirgli che ero gay non mi è passato nemmeno per l’anticamera del cervello, ci stavo bene e basta, non avevo nessun secondo fine, in effetti mi capita spesso di parlare con qualche ragazzo, ma così, solo perché si sta lì e si devono passare cinque minuti. Mi sentivo più grande di Marco, più maturo, in qualche modo protettivo. Il giorno successivo mi ha cercato nella mia aula e l’ho accompagnato a casa, un lunghissimo e gradevolissimo viaggio. Nei giorni seguenti ho notato che tra noi si stava creando un rapporto forte e non sapevo come comportarmi, con me Marco parlava di tutto ma mai di ragazze o di sesso. Se volevo essere onesto, a costo di perderlo, dovevo dirgli come stavano esattamente le cose. L’ho fatto. Marco era turbato in modo profondo perché voleva essermi amico, ma non in quel modo, questo me lo ha detto subito, ma non sapeva se ci sarebbe mai riuscito. All’inizio ho pensato semplicemente che sentirsi oggetto d’amore di un gay non fosse per lui una cosa accettabile, ma il problema non era quello. L’ho capito un minuto dopo perché me lo ha detto lui stesso in uno sforzo di sincerità che gli deve essere costato sangue, mi ha detto: “Io non posso condividere il tuo sentimento perché sono cristiano”, ma da questa frase io ancora non riuscivo a capire bene quello che mi stava dicendo, gli ho detto semplicemente: “non ho capito...” E lui mi ha risposto vincendo un imbarazzo fortissimo e senza guardami in faccia: “Io sono gay ma sono cristiano e voglio vivere castamente... e stando vicino a te sarebbe molto più difficile”. Io sono rimasto sconvolto da questa dichiarazione esplicita, ma lui è fatto così, non è proprio capace di imbrogliare nessuno, mai! Poi mi ha detto: “è una battaglia con me stesso ma io la devo vincere, a te può sembrare assurdo ma per me è essenziale”. Non sapevo come comportarmi, se fare tutti i miei soliti discorsi sulla religione o evitare. Non ho detto nulla, l’ha presa come una forma di rispetto e non è scappato via, quando ci vedevamo era contento ma sempre con senso di colpa di fondo. Io lo facevo parlare, speravo tantissimo che capisse le cose anche il mio punto di vista, poi abbiamo parlato anche di religione. Per lui era una cosa essenziale, per fare le cose onestamente ci metteva l’anima. Non era bigotto, non era uno invasato, no! L’aveva presa sul serio al 100%. Io non frequento le chiese da quando mi sono reso cono di essere gay, in pratica da quando ero ancora ragazzino, ma qualche pagina di vangelo la leggo volentieri, le chiusure che ha il papa sui gay mi sembrano assolutamente immorali ma non penso affatto che la religione sia una cosa stupida. Marco si è reso conto che io avevo un certo rispetto per queste cose e ne è stato contento, tuttavia con me non ha mai parlato del problema di religione e gay. Il ventiquattresimo giorno, un sabato, mi ha chiesto una cosa stranissima, mi ha chiesto di accompagnarlo in chiesa l’indomani... io gli ho detto che ci sarei venuto certamente. La domenica era una domenica particolare e c’era un vescovo che doveva cresimare una ventina di ragazzi. Io e Marco siamo entrati. Io mi sarei fermato in fondo, ma Marco ha voluto che andassi più avanti con lui e ci siamo messi in un banco circa alla metà della chiesa. E’ entrato il vescovo per la messa, uno magro, alto, anziano. I ragazzi cantavano, la chiesa era pina di gente, c’era una bella atmosfera. Poi il vescono ha fatto il suo discorso e ha detto delle cose molto belle, che mi hanno commosso, sul fatto che siamo tutti fratelli e che amare il nostro prossimo è difficile. In pratica non c’è stata una sola parola della predica del vescovo che io non avrei detto identica. Mi sembravano cose bellissime, condivisibili al 100%, poi ci siamo scambiati la pace, ma la cosa non aveva il sapore rituale che ha di solito, era una cosa seria. Si è alzato ed è andato a confessarsi al ritorno si è inginocchiato proprio vicino a me, poi è andato a fare la comunione, era felice come non l’avevo visto mai. Quando siamo usciti dalla chiesa abbiamo parlato per un quarto d’ora e mi ha detto che avrebbe voluto farsi prete ma che adesso in seminario avrebbe avuto dei problemi, che prima di decidersi doveva avere la certezza che avrebbe potuto portare la cosa avanti fino in fondo senza esitazioni, mi ha spiegato che prima avrebbe dovuto risolvere il problema della omosessualità e che se gli volevo bene veramente lo dovevo aiutare non cercandolo più. Quello che io ho provato in quei momenti credo che nessuno se lo possa immaginare, ero sconvolto, non sapevo che dire, lui mi chiedeva di dirgli addio per sempre e io ho rispettato la sua decisione, gli ho detto che gli avrei voluto bene sempre e comunque, mi ha risposto che questo lo sapeva e che anche lui non mi avrebbe dimenticato ma che la sua strada era un’altra. Ormai è passata una settimana e non l’ho più sentito. Adesso mi sento uno schifo dentro, mi sento solo, mi sento disperatamente solo e penso che sono stato vile, che non ho fatto quello che avrei dovuto, penso che ho rispettato solo le sue parole e non la sua anima, che l’ho fatto andare per quella che lui mi ha detto essere la sua strada ma che forse non è veramente la sua strada, perché lui quella scelta l’ha fatta in modo drammatico, perché era spaccato in due dentro, perché per salvarsi l’anima doveva distruggere se stesso. Quello che mi fa stare male è che se dovesse pentirsi della scelta che ha fatto non avrebbe nessuno disposto ad ascoltarlo. Io l’ho assurdamente assecondato nello scegliere la strada che lo ha portato definitivamente via da me, ma se volesse tornare indietro nessuno lo aiuterebbe e io penso che prima o poi possa andare in crisi. Il senso della disperazione mi viene non solo per me ma soprattutto per lui e mi sento in colpa e penso che il mio comportamento sia stato ipocrita perché rispettare una persona significa dirle sempre tutto quello che si pensa e io con lui non l’ho fatto.
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