mercoledì 19 agosto 2015

E. CARPENTER: “IL SESSO INTERMEDIO” PRIMA PARTE

Dopo aver messo in rete la mia traduzione del saggio giuridico di Jeremy Bentham sulla punibilità penale della omosessualità, ho cominciato a lavorare alla traduzione di un saggio di Edward Carpenter “Il sesso intermedio”. Si tratta di un lavoro pubblicato nel 1921, e divenuto rapidamente uno dei testi più famosi della lotta per i diritti degli omosessuali. Carpenter, che fu oltre che omosessuale uno dei grandi teorici del Socialismo, si ritenne, per quanto riguarda l’omosessualità, il continuatore dell’opera di John Addington Symonds e in effetti gli echi di Symonds si sentono qua e la in modo piuttosto chiaro nell’opera di Carpenter. Il saggio di Carpenter è meno scientifico di quello di Symonds (Una questione di Etica moderna, vedi Biblioteca di Progetto Gay, nella home del forum), ma è indubbiamente più moderno e, per l’anno di pubblicazione, oltre che per il linguaggio molto semplice, era destinato ad un’ampia divulgazione, per quanto potesse essere ampia all’epoca la divulgazione di un libro che tratta di omosessualità. Non c’è dubbio che Carpenter, come il lettore potrà facilmente notare, accredita stereotipi che diverranno dei classici e che ancora è difficile superare, ma la sua descrizione della situazione degli omosessuali ha il pathos di una autodifesa ed ha indubbiamente una capacità di comunicare amozioni veramente rara. La mia traduzione italiana ha cercato di rendere l’immediatezza della lettura, cosa comunque non troppo difficile perché l’Inglese di Carpenter non è certo quello di Bantham.
Evito di dare qui notizie biografiche sull’autore, lo farò, come al solito limitandomi alle questioni relative all’omosessualità quando pubblicherò l’intero saggio. Per il momento potete leggere il primo capitolo del libro di Carpenter, che ha toni di sconcertante modernità.
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PREFAZIONE
Le carte che seguono, ora raccolte in forme di libro, sono state scritte – e alcune di esse pubblicate – in varie occasioni durante gli ultimi dodici o quattordici anni e nelle pause di altri lavori, e questo potrebbe scusarmi delle ripetizioni occasionali e delle sovrapposizioni di materia, che si possono rilevare tra di esse. Tuttavia ho scelto di lasciarle come sono, perché in questo modo ciascuna è più completa in se stessa. Il secondo saggio, che dà il titolo al libro, è già stato pubblicato  nel mio “Il raggiungimento della maggiore età dell’amore” ma è ristampato qui in ragione della sua più specifica appartenenza a questo volume.
Una raccolta di citazioni di autori responsabili, che si occupano in vari luoghi dell’argomento, è stata aggiunta alla fine, per formare un’Appendice che l’autore pensa possa essere utile anche se egli non condivide tutte le opinioni lì presentate.
E.C.

“Ci sono forme di transizione tra i metalli e i non metalli, tra le combinazioni chimiche e le semplici misture, tra gli animali e le piante, tra le fanerogame e le crittogame e tra i mammiferi e gli uccelli … Si può quindi dare per scontata l’improbabilità di trovare in Natura una netta frattura tra tutto ciò che è maschile da una parte e tutto ciò che è femminile dall’altra; o che qualsiasi creatura vivente sia tanto semplice, sotto questo aspetto, da poter essere messa totalmente da una parte o dall’altra della linea di confine.”
O. Weininger

INTRODUZIONE
L’argomento trattato in questo libro è di grande importanza e si potrebbe dire di importanza via via crescente. Sia che il periodo presente sia un periodo che vede un grande incremento nei numeri degli uomini e delle donne di temperamento intermedio o misto, o sia esso un periodo nel quale più del solito accade che si presti loro attenzione, resta certamente il fatto che l’argomento è di grande attualità e fa pressione si di noi da tutte le parti. È un fatto riconosciuto che comunque il numero di persone che occupano una posizione intermedia tra i due sessi è molto grande, che quelle persone giocano un ruolo importante nella società generale e che quelle persone necessariamente presentano e incarnano molti problemi che, sia per il loro bene che per il bene della società, richiedono una soluzione. La letteratura su questa questione, di conseguenza, è già cresciuta fino ad essere molto estesa, specialmente sul Continente, e include una grande quantità di lavori scientifici, di trattati medici, di saggi letterari, di romanzi, di romanzi storici, si poesia, ecc.. E ora è generalmente ammesso che una qualche conoscenza e una qualche comprensione illuminata dell’argomento è assai necessaria per l’agire di certe categorie – come per esempio: medici, insegnanti, genitori, magistrati, giudici e simili.
Che ci siano distinzioni e gradazioni nelle reazioni spirituali in relazione al sesso – che le affezioni psichiche interne e le affinità siano articolate  e disperse in un vasto ventaglio di possibilità, estremamente differenziate tra maschio e  femmina e non sempre in corrispondenza ovvia col sesso fisico esterno – è una cosa evidente per chiunque consideri l’argomento; né potrebbe una qualche buona finalità essere perseguita ignorando questo fatto – se mai fosse possibile ignorarlo. È ovviamente facile (come fanno alcuni) classificare questi tipi misti o intermedi come cattivi. Ma è altrettanto facile dedurre (come fanno altri) che proprio perché combinano qualità opposte, essi dovrebbero essere buoni e rispettabili. Me le sottigliezze e le complicazioni della natura non possono essere liquidate in modo così generico. È molto probabile che, come in qualsiasi altra categoria di creature umane, ci sia anche qui, bene e male, più e meno, degno e indegno – alcuni forse attraverso il loro doppio temperamento esibiranno un raro e bel fiore di umanità, altri una perversa e ingarbugliata rovina.
Prima dei fatti di Natura noi dobbiamo preservare  una certa umiltà e un certo rispetto, senza andare correndo con le nostre preconcette e ostinate presupposizioni. Anche se queste gradazioni del tipo umano sono state sempre e tra tutti i popoli conosciute e riconosciute, oggi la loro frequenza o anche la concentrazione dell’attenzione su di esse può essere segno di qualche cambiamento importante che si sta realizzando. Noi non sappiamo in realtà quali possibili evoluzioni stiano per realizzarsi o quali nuove forme di consistenza e di valore permanente si siano già lentamente differenziate rispetto alla circostante massa dell’umanità. Può essere che in qualche periodo passato dell’evoluzione l’ape operaia si sia senza dubbio differenziata dai due ordinari sessi delle api, così, nel tempo presente, può darsi che alcuni nuovi tipi del genere umano stiano emergendo, nuovi tipi che avranno una parte importante da giocare nella società del futuro – anche se per il momento il loro apparire è atteso con un bel po’ di confusione e di equivoco. Potrebbe essere così e potrebbe non essere. Noi non lo sappiamo; e il migliore atteggiamento che possiamo adottare e quello di una sincera e imparziale osservazione dei fatti.
Ovviamente ogni volta che questo argomento entra nel campo dell’amore posiamo aspettarci che sorgano domande difficili. È probabile che già ora il lavoro più nobile del sesso intermedio o dei sessi intermedi si possa realizzare, come è anche probabile che gli errori più grossi possano essere commessi. Sembra quasi una legge di natura che nuovi e importanti movimenti possano non essere capiti e siano invece sviliti – anche se dopo essi potranno essere largamente approvati e accettati con onore. Movimenti simili all’inizio sono sempre considerati sulla base di qualche aspetto ridicolo o disprezzabile che essi possono avere. I primi Cristiani, agli occhi dei Romani, erano noti essenzialmente come cultori di riti oscuri e di crimi nelle tenebre delle catacombe. Si credette per lungo tempo che il moderno socialismo fosse una questione di pugnali e di dinamite; e anche adesso ci sono migliaia di brave persone abbastanza ignoranti da credere che esso significhi semplicemente “dividere tutto e prendersi ciascuno la propria fetta da quattro soldi.” Si credeva che i Vegetariani fossero un gruppo di deboli mangiatori di cavoli senza cervello. Il movimento delle Donne, così notevole per il suo scopo e la sua importanza. non era altro che un assurdo tentativo di rendere le donne “le scimmie degli uomini.” E così si può andare avanti all’infinito, l’accusa in tutti i casi consiste in un’etichetta e nell’ultimo mozzicone di un fatto colto per ignoranza e colorito dal pregiudizio, tanto comune da essere frainteso e tanto semplice da essere travisato.
Che il temperamento Uranista, specialmente in riferimento al suo lato affettivo, non manchi di cadute, si deve certamente riconoscerlo, ma è certo che è stato grossolanamente e assurdamente frainteso. Con un bel po’ di esperienza sulla questione, credo che uno possa a ragione dire che il difetto del maschio uranista, o Urning,(1) non è la sensualità ma piuttosto la sentimentalità. Gli Uranisti di più basso livello, quelli più comuni, sono spesso terribilmente sentimentali; quelli di livello superiore, stranamente, quasi incredibilmente, sono emotivi e, di regola (anche se ci sono eccezioni) non sono così sensuali come l’uomo normale medio. L’immensa capacità di amore affettivo rappresenta ovviamente una grande forza trainante. Sia nell’individuo che nella società, l’amore è eminentemente creativo. È proprio la loro forte tendenza all’affettività, che dà ai migliori Uranisti la loro influenza penetrante e la loro capacità di agire e che li rende largamente graditi e bene accetti  da quelli che nulla sanno dello loro sentire interno. Molto probabilmente il mondo non saprà mai quanti cosiddetti filantropi del tipo migliore (non c’è bisogno di nominarli) sono stati coinvolti dal temperamento uranista. E in tutte le strade della vita il gran numero e l’influenza delle persone di questa disposizione e i posti importanti che essi già occupano, si concretizzano solo per quelli che stanno bene o male dietro la scena. Ed è probabile anche che sia proprio questa tendenza all’amore affettivo a dare agli Uranisti la loro notevole giovinezza.
Comunque con le loro straordinarie doti e con la loro esperienza negli affari di cuore (dal doppio punto di vista, sia degli uomini che delle donne) non è difficile rendersi conto che queste persone possono svolgere un lavoro speciale di riconciliatori e interpreti dei due sessi, uno verso l’altro. Di questo ho parlato più largamente nel seguito (capitoli 2 e 5). È probabile che gli Uranisti superiori diventino negli affari di cuore, in notevole misura, degli insegnanti della società futura; e se è così, è possibile che la loro influenza tenda alla realizzazione e all’espressione di un’affettività meno esclusivamente sensuale rispetto alla madia odierna, e alla diffusione di questa affettività in tutte le direzioni.
Anche se non presumo di parlare con autorità a nessun livello in questa materia, mi esprimo a favore di una sua paziente considerazione, per il dovuto riconoscimento dei tipi di carattere coinvolti e perché ci si sforzi per riconoscere loro il giusto posto e la giusta sfera di utilità nello schema generale della società.
Aggiungo un’altra cosa come spiegazione introduttiva. La parola Amore è comunemente usata in modo così generale e indiscriminato per indicare talvolta istinti fisici e atti e altre volte per indicare i sentimenti più intimi e profondi; e in questo modo si genera un bel po’ di confusione. In questo libro (salvo le eccezioni in Appendice) la parola è usata per indicare la devozione interna di una persona verso un’altra; e quando si intenderà usarla in un modo diverso – per esempio come per indicare relazioni sessuali o atti – sarà specificato in modo chiaro ed esplicito. 

II

IL SESSO INTERMEDIO

“Gli Urning, uomini e donne, nel cui libro della vita la Natura ha scritto la sua parola nuova che suona così strana per noi, sopportano una tale tempesta e un tale stress dentro di loro, un tale fermento e una tale fluttuazione, un materiale così complicato che vedrà la sua realizzazione solo nel futuro; le loro individualità sono così ricche e multilaterali e per di più così poco capite, che è impossibile caratterizzarle adeguatamente in poche frasi.” Otto de Joux
Negli ultimi anni (e dall’arrivo della Nuova Donna tra noi) sono cambiate molte cose nel rapporto reciproco tra gli uomini e le donne o in qualche modo sono diventate più chiare. Il senso via via crescente di uguaglianza nelle abitudini e nei modi di fare – gli studi universitari, l’arte, la musica, la politica, la bicicletta, ecc. – tutte queste cose hanno portato ad un riavvicinamento tra i sessi. Se la donna moderna è in qualche modo più maschile di quelle che l’hanno preceduta, l’uomo moderno (si spera), anche se per nulla effeminato, è un po’ più sensibile nel temperamento e un po’ più artistico nel sentire dell’originario Jonh Bull. Si comincia a riconoscere che i sessi non formano o potrebbero non formare normalmente due gruppi totalmente isolati l’uno dall’altro nelle abitudini e nei sentimenti, ma piuttosto che essi rappresentano i due poli di un unico gruppo – che è la razza umana; così che anche se certamente le manifestazioni estreme di ciascun polo sono nettamente divergenti, ce n’è un buon numero nella regione intermedia che (anche se differiscono fisicamente come uomini e donne) sono, per emozioni e temperamento, molto prossime le une alle altre.(2) Tutti noi conosciamo donne con qualche forte tratto di temperamento maschile, come conosciamo uomini la cui sensibilità femminile e la cui intuizione sembrano smentire la loto apparenza fisica. La Natura, questo dovrebbe essere chiaro, nel mescolare gli elementi che vanno a comporre ogni individuo, non tiene sempre ben separati i suoi due gruppi di ingredienti – che rappresentano i due sessi – ma spesso li mescola in un certo modo sconcertante, ora in un modo ora in un altro, ma ancora saggiamente, dobbiamo credere, perché se una netta distinzione degli elementi fosse sempre mantenuta, i due sessi scivolerebbero presto a latitudini lontane e smetterebbero del tutto di capirsi reciprocamente.  Stando così le cose, ci sono dei notevoli e (io credo) degli indispensabili tipi di carattere nei quali c’è una tale unione e un tale bilanciamento di qualità maschili e femminili che queste persone diventano in larga misura gli interpreti degli uomini e delle donne. C’è poi un altro punto che è diventato chiaro più tardi. Perché ora che la gente sta cominciando a vedere che i sessi formano in un certo senso un gruppo continuo, ci si comincia a rendere conto che Amore a Amicizia – che sono stati così spesso separati uno dall’altra come cose assolutamente distinte – sono in realtà strettamente correlati e sfumano uno nell’alto. Le Donne stanno cominciano a richiedere che il Matrimonio possa significare Amicizia oltre che Passione; che un’uguaglianza come tra compagni possa essere ricompresa nella parola Amore; ed è riconosciuto che da un stremo costituito dall’amicizia “Platonica”  (spesso tra persone dello stesso sesso) fino all’altro estremo dell’amore appassionato (generalmente tra persone di sesso opposto) non può essere tirata nessuna netta e chiara linea di confine che separi effettivamente i tipi diversi di affetto. Sappiamo infatti di Amicizie così romantiche nel sentimento che sembrano proprio tendere all’Amore; e sappiamo di Amori così intellettuali e spirituali che si collocano a stento nella sfera della Passione.
Basta pensarci un po’ per riconoscere per rendersi conto che le condizioni generali indicate sopra – se sono comunque prossime alla verità – mirano ad una estrema differenziazione del temperamento e del carattere umano in rapporto al sesso e all’amore; ma anche che se questa diversità, probabilmente, è sempre esistita, è solo in tempi relativamente recenti che essa è diventata oggetto di studio.
Più di trent’anni or sono, comunque, uno scrittore Austriaco. K. H. Ulrichs, ha rivolto la sua attenzione in una serie di saggi (Memnon, Ara Spei, Inclusa, ecc.) all’esistenza di una categoria di persone che illustrano in modo forte le osservazioni precedenti e delle quali questi fogli si occupano in modo particolare. Ulrichs ha sottolineato che ci sono persone nate in una tale condizione – come se fossero sulla linea di divisione dei due sessi -  che, anche se appartenenti in modo chiaro ad uno dei due sessi per quanto riguarda i loro corpi, si può dire che appartengano mentalmente ed emotivamente all’altro; che c’erano uomini, per esempio, che potevano essere descritti come anime femminili include in un corpo maschile (anima muliebris in corpore virili inclusa), o in altri casi, donne, la cui definizione potrebbe essere esattamente simmetrica. Ed egli sottolineava che questa doppiezza di natura era in larga misura provata dalla speciale direzione dei loro sentimenti amorosi, perché in questi casi, come infatti ci si può aspettare, la persona (apparentemente) mascolina, invece di creare un rapporto amoroso con una donna, tendeva a stringere un’amicizia affettuosa con uno del suo proprio sesso; mentre la persona apparentemente femminile, invece di sposarsi nel modo solito, si dedicava all’amore di un’altra donna.
Le persone di questo tipo (cioè quelle che presentano una particolare variante del sentimento amoroso) Ulrichs le chiama Urning;(3) e anche se noi non siamo obbligati ad accettare le sue teorie sulle connessioni incrociate tra “anima” e “corpo”, dato che per lo meno queste parole sono in qualche modo vaghe e indefinite; comunque il suo lavoro fu importante perché fu uno dei primi tentativi nei tempi moderni di riconoscere l’esistenza di ciò che può essere chiamato sesso intermedio e di dare in una certa misura qualche spiegazione su di esso.(4)
Dato che allora l’argomento è stato largamente studiato e descritto da scienziati e da altri, specialmente in Continente (mentre in Inghilterra esso è ancora comparativamente sconosciuto),  per mezzo di una estesa osservazione dei casi dei tempi presenti, come delle testimonianze indirette della storia e della letteratura del passato, si è giunti quasi ad un insieme di conclusioni generali delle quali mi propongo di dare un un sintetico rendiconto.
Contrariamente all’impressione generale, uno dei primi punti che emergono da questo studio è che gli “Urnings” o Uranisti, non sono affatto così rari, ma formato, al di sotto della superficie della società, un ben nutrito gruppo. Resta comunque difficile avere un’esatta valutazione del loro numero; e questo per più di una ragione: in parte perché, a causa della mancanza di una comprensione generale della loro situazione, questa gente tende a nascondere i suoi veri sentimenti a tutti, salvo a quelli del loro stesso gruppo e infatti, spesso deliberatamente si comportano in modo tale da portare tutti fuori strada (da ciò deriva che un uomo normale che vive in una certa società spesso rifiuterà di credere che ci sia anche un solo Urning nel circolo di quelli che frequenta, mentre un Urning o uno che ne capisce la natura, che viva nella stessa società, può tenere bene il conto) e in parte perché è certo che i numeri possono variare assai largamente non solo in paesi diversi ma anche tra classi diverse nello stesso paese. La conseguenza di tutto questo è che abbiamo delle stime che differiscono molto sensibilmente le une dalle altre- Il Dott. Grabowsky, autore ben noto in Germania, cita numeri (che noi stimiamo esagerati) di più di un uomo ogni 22, mentre il Dott. Albert Moll (Die Conträre Sexualempfindung, capitolo 3) offre stime che variano da uno ogni 50 ad uno ogni 500.(5) Le cifre  riguardano quelli che sono esclusivamente della citata natura, cioè quelli i cui sentimenti più profondi d’amore e di amicizia si rivolgono solo  a persone del loro stesso sesso. Ovviamente, se oltre questi si includono persone con la doppia natura (che sono molte) che provano interessi affettivi normali con una tendenza omogenica aggiunta di grado maggiore o minore, le stime devono essere largamente aumentate.
In secondo luogo emerge (sempre contro l’impressione generale) che gli uomini e le donne di tipo esclusivamente uraniano non sono in nessun modo necessariamente casi patologici da nessun punto di vista, salvo che, ovviamente il loro peculiare temperamento non sia definito patologico in sé. Un tempo si dava per scontato che il tipo fosse meramente il risultato di una malattia o di una degenerazione; ma ora dall’esame di fatti presenti appare evidente che, al contrario, molti sono individui sani e forti del loro sesso, muscolosi e con un corpo ben sviluppato, di cervello potente e di alto livello di condotta e con nulla di anormale o di patologico di nessun tipo che possa essere rilevato nella loro struttura fisica o nella loro costituzione. Questo ovviamente non è vero per tutti e rimangono ancora un certo numero di casi di tipi deboli che possono supportare il punto di vista neuropatico. È una cosa notevole che questo punto di vista è molto meno sottolineato dagli scrittori più recenti, rispetto a quelli più datati. Vale anche la pena di notare che è riconosciuto che anche nei casi di migliore salute, la speciale predisposizione affettiva dell’”Intermedio” è di regola non sradicabile; e quanto tanto più quando (come in non pochi casi) questi uomini e queste donne, per ragioni sociali o per altre ragioni, si sono forzati al matrimonio e anche all’avere figli, essi non sono stati comunque capaci di dominare la loro tendenza o l’inclinazione al di là di tutto al loro attaccamento vitale a qualche amico del loro stesso sesso.
Questo argomento, per quanto ovviamente sia un argomento di grande interesse e importanza, fino ad ora, come io ho sottolineato, è stato discusso veramente poco in questo paese, in parte  a causa di una certa quantità di dubbio o di disgusto che, forse non del tutto innaturalmente, lo ha circondato. E certamente se gli uomini e le donne nati con la tendenza in questione fossero solo estremamente rari, anche se non sarebbe dignitoso ignorarli in questa analisi, non si potrebbe comunque ritenere strettamente necessario discutere in modo approfondito della loro situazione. Ma dato che la categoria è realmente, in qualsiasi conteggio, numerosa, diventa un dovere per la società non solo capirli ma aiutarli a capirsi.
Perché non c'è dubbio che in molti casi le persone di questo tipo soffrono molto per il loro temperamento e tuttavia, dopo tutto, è possibile che essi possono avere un ruolo importante nell'evoluzione della razza. Chiunque si renda conto di che cosa è l’amore: una dedizione del cuore, così profonda, così coinvolgente, così misteriosa, così imperativa, e sempre e solo nelle nature più nobili così forte, non può non vedere quanto difficile e anche quanto tragico debba spesso essere il fato di coloro i cui sentimenti più profondi sono destinati fin dai primi giorni ad essere un enigma e una pietra d'inciampo, che essi stessi non si spiegano e che è passato sotto silenzio da altri.(6) Chiamare le persone di tale temperamento "malate”, e così via, non è utile. Tale termine è, infatti, assurdamente inapplicabile ai molti, che sono tra i più attivi, i più amabili e i più accettati membri della società; e per di più in questo modo non si ottiene alcuna soluzione del problema in oggetto, ma non si fa che mortificare per disprezzo un proprio simile che ha già notevoli difficoltà a fare i conti con quel disprezzo.
Dice il dottor Moll, "Chiunque abbia visto molti Urnings probabilmente ammette che essi formano senza alcun dubbio un gruppo umano snervato; al contrario, si trovano tra loro individui possenti di aspetto sanissimo; " ma nella frase successiva dice che "soffrono gravemente" per il modo in cui sono considerati; e nel manifesto di una considerevole comunità di queste persone in Germania si trovano queste parole: "I raggi di sole nella notte della nostra esistenza sono così rari, che siamo sensibili e profondamente grati per il minimo gesto, per ogni singola voce che parla a nostro favore nel forum del genere umano."(7)
Nel trattare con questa categoria di persone, quindi, mentre non nego che essi presentino un problema difficile, io credo che proprio per questa ragione il loro caso richiesta una discussione. Sarebbe un grave errore supporre che la loro affettività sia necessariamente sessuale o connessa con atti sessuali. Al contrario, come mostrano abbondanti evidenze, essi sono spesso puramente emozionali nei loro caratteri, e confondere gli Uranisti (come si fa tanto spesso) con i libertini, che non hanno altra legge che la curiosità che sfocia in autoindulgenza, è fare loro un grave torto. Allo stesso tempo è evidente che il loro speciale temperamento può qualche volta causare loro dei problemi in riferimento alla loro relazioni sessuali. Non abbiamo bisogno di affrontare adesso questo argomento. Ma possiamo sottolineare quanto sia negativo, specialmente per i giovani tra loro, che un velo di completo silenzio posa essere gettato su questo argomento, un velo che porti ai fraintendimenti, alle perversioni e alle confusioni più penose della mente e che non possa esserci nessun suggerimento capace di guidarli, nessun riconoscimento dei solitari e serissimi sforzi interiori che essi devono affrontare! Se il problema è difficile, come indubbiamente è, il destino di questi individui è molto duro perché devono affrontare all’interno delle loro persone senza loro colpa, un’aggiunta di sofferenza a causa del rifiuto della società di dare loro un qualsiasi aiuto. È in parte per queste ragioni e per gettare un po’ di luce dove può essere necessario che io ho pensato fosse consigliabile in questo libro semplicemente dare poche caratteristiche generali dei tipi intermedi.
Come già indicato, nella struttura corporea, non c’è, di regola nulla che distingua i soggetti della nostra analisi dagli uomini ordinari e dalle donne ordinarie; ma quando consideriamo le caratteristiche mentali generali appare da quasi tutte le testimonianze che il maschio tende ad essere di atteggiamento piuttosto gentile e emotivo con difetti, se esistono, in direzione della sottigliezza, dell’evasività, della timidezza, della vanità, ecc.; mentre la donna è esattamente il contrario: focosa, attiva, coraggiosa, sincera, con difetti orientati verso l’irascibilità e la grossolanità. Si può aggiungere che la mente dell’uomo intermedio è generalmente intuitiva e istintiva nelle sue percezioni, con maggiore o minore gusto artistico mentre la mente della donna intermedia  è più logica, scientifica e precisa di quanto accade si regola tra le donne normali. Queste caratteristiche sono così marcate che qualche volta attraverso di esse (anche se non sono una guida infallibile) la natura del ragazzo o della ragazza può essere scoperta fin dall’infanzia, prima che abbia avuto luogo il pieno sviluppo; e non c’è bisogno di dire che può spesso essere molto importante essere in grado di fare ciò.
Certamente a seguito dell’osservazione di questi segni K. H. Ulrichs propose la sua teoria; e anche se la teoria, come abbiamo detto,  non spiega in nessun modo tutti i fatti, non è comunque priva di meriti e vale la pena di ricordarla.
Nel caso, per esempio, di una donna di questo temperamento (definita, noi supponiamo, come “un’anima maschile in un corpo femminile”) la teoria ci aiuta a capire come sia stato possibile per lei, in buona fede, innamorarsi di un’altra donna. Krafft-Ebing presenta(8) il caso di una signora (A.), di 28 anni, che si innamorò profondamente di una donna più giovane (B.). “L’ho amata divinamente” dice la signora. Vivevano insieme e l’unione durò per quattro anni, ma fu poi interrotta per il matrimonio di B.. A. in conseguenza di questo soffrì di spaventosa depressione; ma in conclusione – quantunque senza vero amore – anche lei si sposò. La sua depressione comunque continuò ad aumentare e si aggravò trasformandosi in malattia. I dottori, quando furono consultati, dissero che tutto sarebbe andato bene solo se lei avesse potuto avere un figlio. Il marito, che amava sinceramente la moglie, non riusciva a capire il suo comportamento enigmatico. Lei si comportava amichevolmente con lui, tollerava le sue carezze, ma poi rimaneva “spenta, esausta, afflitta dall’irritazione della spina dorsale ed era nervosa.” Ora una viaggio della coppia sposata condusse ad un altro incontro con la donna amica amata, che all’epoca era stata sposata (anche lei infelicemente) per tre anni. “Entrambe le signore tremavano di gioia e di eccitazione quando caddero una nelle braccia dell’altra e da quel momento in poi divennero inseparabili. Il marito trovò che questa relazione amichevole era molto singolare e affrettò la partenza. Quando se ne presentò l’occasione, si rese conto, attraverso la corrispondenza tra sua moglie e la sua “amica” che le loro lettere erano esattamente come quelle di due innamorati.
Accade che gli amori di questo tipo di donne siano spesso molto intensi e (come accade anche nel caso degli uomini Urning) durino tutta la vita.(9) Gli individui di entrambi i gruppi si sentono pienamente in paradiso quando amano felicemente. Ciò nonostante, per molti di loro è un fatto penoso che – in conseguenza del loro particolare temperamento – essi sono comunque appassionati di bambini ma non sono in condizioni tale da poter fondare una famiglia.
Fin qui ci siamo limitati a caratteristiche molto generali della razza intermedia. Potrebbe aiutarci a chiarire e a precisare le nostre idee il descrivere adesso più in dettaglio, in primo luogo quelli che possono essere chiamati tipi estremi ed esagerati di questa razza e poi i tipi più normali e perfetti. Così facendo avremo una visione più definita e concreta del nostro argomento.
In primo luogo dunque gli esempi estremi – come accade in molte situazioni estreme – non sono particolarmente attraenti e talvolta sono esattamente l’opposto. Nell’uomo di questo tipo abbiamo il tipo chiaramente effeminato, sentimentale, apatico, affettato nella camminata e nelle maniere, un po’ troppo chiacchierone, abile con l’ago e nei lavori femminili, qualche volta compiaciuto di vestirsi con abiti femminili; la sua figura non di rado tradisce una tendenza verso il femminile, largo di fianchi, flessuoso, non muscoloso, col viso carente di capelli con la voce inclinata a toni alti ecc.; mentre la stanza dove abita è di regola estremamente elegante anche per la scelta delle decorazioni e dei profumi. Anche la sua affettività è spesso femminile nell’atteggiamento, appiccicosa, dipendente e gelosa come di uno che desidera di essere amato anche più di amare.(10)
Dall’altro lato, come tipo estremo della donna omogenica, troviamo una persona piuttosto marcatamente aggressiva, di forti passioni, di maniere e di movenze mascoline, pratica nella condotta della vita, sensuale più che sentimentale in amore, spesso trasandata, stravagante nell’abbigliamento;(11) il suo aspetto è muscoloso, la sua voce di tono piuttosto basso; la stanza dove abita è decorata con scene sportive, pistole, ecc., e non senza qualche sentore di erbaccia nell’aria; mentre il suo amore (rivolto in genere ad esemplari piuttosto morbidi e femminili del suo stesso sesso) è spesso una specie di furore, simile all’amore maschile ordinario, e talvolta anche incontrollabile.
Questi sono i tipi che, a ragione del lor silenzio, ciascuno potrà più o meno riconoscere. Naturalmente quando capita si presta una certa attenzione e non è rara l’impressione che molte persone  di natura omogenica appartengano all’una o all’altra di queste due categorie. Ma nella realtà, ovviamente, questi sviluppi estremi sono rari, e per la maggior parte il temperamento in questione è incarnato in uomini e donne che presentano una esteriorità abbastanza normale e non sensazionale. Parlando di questo argomento e della connessione tra effeminatezza e natura omogenica negli uomini, il Dott. Moll dice: “Bisogna chiare bene in via preliminare che l’effeminatezza non si manifesta in alcun modo in tutti gli Urning. Quantunque si possa trovare questo o quell’indizio in un gran numero di casi, non si può comunque negare che una grande percentuale, forse la grande maggioranza di essi non mostra alcuna pronunciata effeminatezza”. E si può supporre che si possa arrivare alla stessa conclusione rispetto alle donne di questa categoria – specificamente che la maggioranza di loro non mostra pronunciate abitudini maschili.  Infatti, anche se questi casi estremi sono di grandissimo interesse dal punto di vista scientifico perché definiscono le tendenze e i limiti di sviluppo in certe direzioni, sarebbe tuttavia un grave errore considerarli casi rappresentativi di tutte le fasi dell’evoluzione umana interessate.
Venendo a quello che può esse chiamato il tipo più normale di uomo Uraniano, troviamo un uomo che, pur possedendo completamente caratteristiche maschili di mente e di corpo, mescola con esse la più tenera e la più emotiva natura spirituale della donna – e talvolta in grado notevole. Questi uomini, come abbiamo detto, sono spesso muscolosi e ben strutturati fisicamente e indistinguibili per struttura esteriore e portamento del corpo dagli altri del loro stesso sesso; ma emotivamente sono estremamente complessi, teneri, sensibili, pietosi e amabili, “pieni di tempesta e fatica, di fermento e fluttuazione” del cuore; La capacità logica nel loro caso può essere più o meno sviluppata ma l’intuizione è sempre forte: come le donne, essi individuano i caratteri a colpo d’occhio e sanno, non si sa come, quello che passa nella mente degli altri, hanno spesso speciali attitudini per l’infermieristica e per prendersi cura dei bisogni altrui; in fondo giace la natura artistica, con la sensibilità e la percezione dell’artista. Una tale persona è spesso un sognatore di abitudini meditative e riservate, spesso un musicista o un uomo di cultura, corteggiato dalla società che ciò nonostante non lo capisce, o è anche , talvolta, un figlio del popolo senza nessuna cultura, ma quasi sempre con una particolare raffinatezza innata. De Joux, che parla completamente in favore degli uomini uraniani e delle donne uraniane, dice di questa ultima situazione: “Sono entusiasti della poesia e della musica, hanno spesso straordinarie attitudini per le arti  e sono dominati dall’emozione e dalla simpatia alla minima occasione triste. La loro sensibilità, la loro tenerezza senza fine per i bambini, il loro amore dei fiori, la loro grande pietà per i mendicanti e per gli storpi sono veramente femminili.” E in un altro brano indica la natura artistica quando dice: “Il sistema nervoso di molti Urning è il più fine e più complicato strumento musicale a servizio della personalità interiore che si possa immaginare.”
Sembrerebbe probabile che l’affetto si un tale individuo sia di carattere tenero e profondo; infatti è possibile che in questo gruppo di uomini si possa trovare il sentimento amoroso in una delle sue forme più perfette – una forma nella quale, secondo le necessità della situazione, l’elemento sensuale, anche se presente, è totalmente subordinato a quello spirituale. Uno svizzero che si occupa di questo argomento, dice: “È veramente felice quell’uomo che ha come amico un vero Urining- lui cammina sulle rose, senza neppure avere paura delle spine”; e aggiunge: “Ci può mai essere uno che si cura dei malati meglio di un Urning?” E anche se queste sono esternazioni di parte, possiamo ben credere che ci sia un nucleo apprezzabile di verità in esse. Un altro scrittore, citato da De Joux, parla in un modo in certo senso simile e potrebbe forse essere accolto con lo stesso spirito. “Noi formiamo”, ci dice, “una particolare aristocrazia di modesti spiriti, di buone e raffinate abitudini e in molti gruppi maschili siamo rappresentativi  dell’elemento di livello mentale e artistico più alto. In noi, sognatori ed entusiasti, si trova il controbilanciamento alla quota puramente mascolina della società, tendente, come fa sempre, alla mera avidità del guadagno e ai piaceri sensuali materiali.”
Che gli uomini di quel tipo disprezzino le donne, anche se lo credono in molti e è una cosa che difficilmente sembra essere giustificata. Infatti, anche se naturalmente non tendono ad “innamorarsi” in questa direzione, uomini simili sono per loro natura portati piuttosto ad avvicinarsi donne, e sembrerebbe che essi siano particolarmente interessati a capire le necessità emotive e i destini dell’altro sesso, cosa che porta in molti casi ad un affetto genuino che è chiamato amicizia “Platonica”.
Ci sono pochi dubbi che essi siano istintivamente ricercati dalle donne, che, senza sospettare nulla della vera causa, sono coscienti di un accordo simpatetico con l’omogenico, che manca loro con l’uomo normale. Per citare un’altra volta De Juox: “sarebbe un errore supporre che tutti gli Urnungs debbano essere odiatori delle donne. In pratica è vero quasi il contrario. Non è raro che siano i soli fedelissimi amici, i più veri alleati e i più convinti difensori delle donne.”
Per passare ora agli esempi di normali e perfetti di donne omogeniche, troviamo un tipo in cui il corpo è tipicamente femminile e grazioso, con la rotondità e la pienezza della forma femminile e l’equilibrio e l’appropriatezza del suo movimento, ma nel quale la natura interna è in gran parte mascolina; il temperamento attivo, audace, creativo, in qualche modo atto alla decisione, non troppo emotivo, interessato alla vita fuori di casa, ai giochi e agli sport, alla scienza, alla politica  e anche agli affari; capace di organizzare e gratificato da posizioni di responsabilità, qualche volta in realtà capace di incarnare il ruolo di un leader eccellente e generoso. Una tale donna, lo si vede facilmente, per la combinazione speciale delle sue qualità, è spesso adatta per una lavoro importante nella vita professionale oppure come manager di istituzioni, o anche come governatore di un paese. Il suo amore si rivolge  a nature giovani e più femminili della sua; è una passione potente, quasi di tipo eroico e capace di ispirare grandi gesta; e quando è tenuta debitamente sotto controllo, può talvolta diventare una forza smisurata nell’insegnamento e nell’istruzione  di ragazze o nel creare una scuola di pensiero o di azione tra le donne. Molte Santa Chiara e molte badesse fondatrici di case religiose sono state probabilmente donne di questo tipo; e in ogni epoca queste donne – non essendo legate agli uomini dai legami ordinari – hanno avuto modo di lavorare molto più liberamente nell’interesse del loro sesso, una causa alla quale il loro stesso temperamento le spinge a dedicarsi “con amore”.
Ora ho delineato – in realtà molto brevemente e inadeguatamente – tutti e due i tipi estremi e i tipo più normale di uomo intermedio e di donna intermedia: tipi che possono trovare riscontro nella storia e nella letteratura, anche se certamente in modo più soddisfacente nella vita reale intorno a noi. E per quanto l’argomento non sia usuale, comincia ad apparire chiaro che è uno di quelli coi quali il pensiero moderno e la scienza dovranno avere a che fare. Degli ultimi tipi descritti, cioè dei più normali, bisogna dire che esistono e sono sempre esistiti in gran numero, e per questa semplice circostanza c’è una grande probabilità che essi abbiano un ruolo e uno scopo. Come precisato, non c’è nessuna indicazione speciale di malattia che li riguardi, a meno che la particolare natura del loro sentimento amoroso non sia essa stessa considerata patologica; e nella separazione dei sessi uno dall’altro, per la quale ci si lamenta così spesso oggi, bisogna ammettere che essi fanno molto per riempire il vuoto.
La natura artistica istintiva del maschio di questa categoria, il suo spirito sensibile, il suo ondivago temperamento emotivo, combinato col coraggio dell’intelletto e del corpo; e la franca, libera natura della donna, la sua mascolina indipendenza e la sua forza unita a una grazia veramente femminile di forma e di comportamento; si può dire che diano ad entrambi, attraverso la loro doppia natura, il comando della vita in tutte le sue fasi, e una certa frammassoneria di segreti fra i due sessi che può favorire molto la loro funzione di riconciliatori e interpreti. È certamente considerevole il fatto che alcuni dei più importanti leader del modo e dei più importanti artisti sono stati dotati o in tutto in parte di temperamento uraniano – come nei casi di Michelangelo, di Shakespeare, di Marlow, di Alessandro il grande, di Giulio Cesare, o, tra le donne, di Cristina di Svezia, della poetessa Saffo e di altre.
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Note:
1)  Per la derivazione di questo termine vedi oltre, capitolo II, p.90 [dell’edizione originale]
2)  Vedi appendice, pag. 131 e 132 [dell’edizione originale]
3) Da Uranos, cielo; essendo la sua idea che l’amore Uraniano fosse di un livello più alto rispetto al legame ordinario. Per altre informazioni su Ulrichs e le sue teorie, vedi Appendice, pag. 148-151 [dell’edizione originale]
4) Charles G. Leland(“Hans Breitmann”), nel suo libro “Il sesso Alternato (Funk, 1904) insiste molto sulla frequente combinazione delle caratteristiche di entrambi I sessi in uomini e donne importanti e presenta un capitolo su “L’animo femminile nell’uomo” e un altro su “L’intelletto maschile nella donna”.
5) Alcune più recenti indagini statistiche (vedi Statistische Untersuchungen”  del dott. M. Hirschfeld, Leipzig 1904) dallo da 1,5 a 2% come rapporto probabile. Vedi anche Appendice pp. 126-128 [dell’edizione originale]
6) Per alcuni esempi, vedi Appendice, pp. 149-153 [dell’edizione originale].
7) Vedi De Joux, Die des Enterbten Liebesglückes (Lipsia, 1893), p. 21.
8) “Psychopathia Sexualis”, Settima edizione, p. 276.
9) Vedi Appendice, pagine 145-148 [dell’edizione originale]
10) Questa descrizione può richiamare alla mente dei lettori la storia delle abitudini e del carattere di Enrico II di Francia.
11) Forse come la Regina Cristina di Svezia, che viaggiò attraverso l’Europa, nella sua visita in Italia, con stivali da uomo e sedendo a cavalcioni sul suo cavallo. Si dice che abbia stretto la mano del Papa, vedendolo, così energicamente che il dottore dovette occuparsene subito dopo.

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mercoledì 5 agosto 2015

MONTAIGNE E LA BOETIE: AMICIZIA, AMORE E MATRIMONIO

Quando, in uno storico faccia a faccia del 1987, Maurizio Minoli chiese a Marguerite Yourcenar quale fosse lo scrittore francese che amava di più, ricevette una risposta senza esitazioni: Montaigne. Nella stessa intervista la Yourcenar aveva definito superficiale il romanzo di Umberto Eco In nome della rosa, che allora era un best seller. Qualcuno ritenne che la Youcenar avesse indicato Montaigne come autore più amato per evitare di dover esprimere giudizi imbarazzanti. In realtà chi ha una certa conoscenza della Youcenar sa bene che la scelta di Montaigne ha un senso profondo.
La Yourcenar, autrice delle Memorie di Adriano, fu anche traduttrice di Konstantinos Kavafis e di Virginia Woolf, fu donna di eccezionale apertura mentale che, proprio nella citata intervista con Minoli, parlò della necessità di ridare al piacere il compito di innalzare il nostro spirito, necessità frustrata del Cristianesimo che identificava il piacere con il male. L’omosessualità non è mai stata per la Yourcenar né un’ideologia né un tabù ma solo un modo di amare. Che c’entra allora Montaigne con tutto questo? Montaigne si sposò ed ebbe sei figlie, questo fatto, associato alla tradizionale condanna della omosessualità, che pure espresse, sembrerebbe allontanare Montaigne dagli interessi di chi si occupa di omosessualità. Ma leggendo direttamente quello che Montaigne scrive si ha un’impressione molto diversa.
Montaigne nasce il 28 febbraio 1533, fa ottimi studi, diventa magistrato. Tra il 1558 e il 1559, più o meno all’età di 25 anni, incontra Étienne de La Boétie, al quale si lega con un rapporto di amicizia assolutamente speciale che lui stesso descriverà nei capitolo XXVIII del primo libro degli Essais, dedicato all’amicizia.
Nato a Sarlat il primo novembre del 1530, quindi più grande di Montaigne di due anni e quattro mesi, La Boétie era stato educato al culto dell’antichità sotto la guida di Niccolò Gaddi vescovo di Sarlat, suo zio, cugino dei Medici e legato alla cultura umanistica. La Boétie era certamente bene accetto da Catrina de’ Medici, allora reggente per Carlo IX, ed ebbe incarichi di rilievo nel favorire la politica di moderazione verso i Protestanti patrocinata dalla Reggente. Dopo aver compiuto studi di diritto all’Università di Orléans, era entrato come consigliere al Parlement di Bordeaux.
Un documento datato 9 dicembre 1559 ci informa che La Boétie era stato ricusato in una causa perché aveva sposato Marguerite de Carle, la figlia del presidente del Parlement di Bordeaux, Pierre, anch’egli ricusato. Per Marguerite, che era sorella del celebre vescovo di Riez, Lancelot de Carle, ed era vedova dal 1552, La Boétie aveva scritto anche poesie in Francese. Fu un matrimonio d’amore o di convenienza? Non sappiamo neppure la data esatta del matrimonio. Fatto sta che il 18 agosto 1563, La Boétie, quando non aveva ancora compiuto 33 anni, morì tra le braccia della moglie, “la sua bene amata moglie e sposa così saggia, così conforme alla sua volontà che mai aveva commesso errori nei suoi confronti.” [La Boétie - Œuvres complètes Bonnefon 1892. Introduzione/XX]
A questa versione “classica” della morte di La Boétie se ne contrappone un’altra, secondo la quale, dopo aver nominato Montaigne suo esecutore testamentario e dopo aver disposto che gli fossero consegnate tutte le sue carte, morì tra le braccia dell’amico, chiamandolo per nome e aggiungendo: «Mon frere! Me refusez-vous doncques une place?» (Fratello mio! Mi rifiutate dunque un posto?) [Michel de Montaigne, Lettere, con testo originale e traduzione a fronte, a cura di A. Frigo, Firenze, Le Monnier Università, 2010, pp. 84-85..] Secondo la tradizione più comune il posto rifiutato sarebbe stato quello accanto ai grandi del passato, perché Montaigne rigettava la vanagloria, ma altre interpretazioni sono certamente possibili.
La morte di La Boétie interrompe il sodalizio fondamentale della vita di Montaigne. Due anni dopo la morte di La Boétie, Montaigne si lasciò condurre al matrimonio – «je ne m’y conviai pas proprement. On m’y mena» (III, V) – e sposò la figlia d’un collega al Parlement di Bordeaux, Françoise de la Chassaigne, dalla quale ebbe sei figlie, di cui soltanto la seconda, Léonor, nata nel 1571, gli sopravvisse.
Nel capitolo V del terzo Libro degli Essais così si esprime:
“Tuttavia, per essere esatti, io non m’indussi al matrimonio. Mi ci condussero, e vi fui portato da occasioni esterne. Di fatto, non soltanto le cose fastidiose, ma non ce n’è alcuna tanto brutta e viziosa ed da evitare che non possa divenire accettabile per qualche condizione e circostanza. Tanto l’umana posizione è labile. E vi fui portato certamente più mal preparato allora e più contrario di quanto sia ora dopo averlo provato. E per quanto io sia ritenuto licenzioso, in verità ho osservato le leggi del matrimonio più severamente di quanto avessi promesso o sperato. Non è più tempo di recalcitrare quando ci si è lasciati imbrigliare. Bisogna saggiamente amministrare la propria libertà; ma quando ci si è sottomessi all’obbligo, bisogna attenervisi sotto le leggi del dovere comune, o almeno sforzarvisi. Quelli che intraprendono tale negozio per comportarvisi con odio e disprezzo, agiscono ingiustamente e svantaggiosamente.”
Questo è ciò che Montaigne scrive del proprio matrimonio. Vi invito ora a leggere quello che Montaigne scrive della sua “amicizia” per La Boétie, nel famosissimo capitolo XXVIII del primo Libro. Che Montagne fosse innamorato di La Boétie non c’è il minimo dubbio, egli stesso adopera la parola amore.
Che rapporto ci fosse tra i due è difficile capirlo perché tutti gli elementi sono presentati sotto vesti classiche che possano renderli accettabili. Ma la stessa condanna degli amori omosessuali non è neppure di per sé una condanna, perché Montaigne ci dice che ridurre il suo rapporto ad attrazione sessuale è sostanzialmente riduttivo. Il brano è pervaso da uno spirito amoroso fortissimo che non si è perduto neppure con la morte. Alla fine di questa lettura si capirà perché la Yourcenar consideri Montaigne l’autore francese più amato. Chiedo al lettore solo un po’ di pazienza perché qua e là l’autore si lascia andare a qualche digressione. Solo una lettura completa del capitolo permetterà di capire l’animo di Montaigne rispetto al suo amico.
[Il testo che segue è preso da Michel de Montaigne, Saggi, a cura di Fausta Garavini e André Tournon – Bompiani 2012]
CAPITOLO XXVIII Dell’amicizia
Considerando il procedimento seguito da un pittore qui in casa mia, mi è venuta voglia di imitarlo. Egli sceglie il posto più bello e il centro di ogni parete per collocarvi un quadro fatto con tutto il suo talento. E il vuoto tutt’intorno lo riempie di grottesche, che sono pitture fantastiche le quali non hanno altro merito che la loro varietà e stranezza. Che cosa sono anche questi, in verità, se non grottesche e corpi mostruosi, messi insieme con membra diverse, senza una figura determinata, senz’altro ordine né legame né proporzione se non casuale?
Desinit in piscem mulier formosa superne. [Finisce in pesce una donna bella nella parte superiore]
Riesco a seguire il mio pittore fino a questo secondo punto, ma rimango indietro nell’altra parte, che è la migliore: infatti la mia presunzione non arriva fino a osar d’intraprendere un quadro ricco, rifinito e composto a regola d’arte. Ho pensato di prenderne a prestito uno da Étienne de La Boétie, che farà onore a tutto il resto di quest’opera. È un discorso che egli chiamò La Servitude volontaire; ma quelli che non l’hanno conosciuto, l’hanno in seguito assai propriamente ribattezzato Le contre Un. Lo scrisse a mo’ di saggio, nella sua prima giovinezza, in onore della libertà, contro i tiranni. Da tempo va per le mani delle persone d’ingegno, raccomandandosi per i suoi grandi meriti: perché è fine e succoso quant’è possibile. E tuttavia si deve ben dire che non sia il meglio che avrebbe potuto fare; e se all’età in cui l’ho conosciuto, più maturo, si fosse proposto un disegno simile al mio, di mettere per scritto i suoi pensieri, vedremmo parecchie cose di raro pregio e che ci richiamerebbero assai da vicino la grandezza degli antichi; infatti, specialmente per ciò che riguarda i doni naturali, non conosco nessuno che possa stargli a confronto. Ma di lui non è rimasto che quel discorso, e anche questo per caso, e credo che non l’abbia più visto dopo che gli sfuggì dalla penna; e alcune memorie su quell’editto di gennaio, famoso per le nostre guerre civili, che forse troveranno anch’esse il loro posto altrove. È tutto quello che ho potuto recuperare di ciò che resta di lui, io che, con amorosissima raccomandazione, quando la morte lo aveva già afferrato alla gola, egli lasciò, per testamento, erede della sua biblioteca e delle sue carte, oltre al libretto delle sue opere che ho fatto pubblicare. E sono tanto più legato a quello scritto in quanto servì di primo tramite alla nostra relazione. Infatti mi fu mostrato molto tempo prima che lo vedessi, e mi fece per la prima volta conoscere il suo nome, avviando così quell’amicizia che abbiamo nutrito tra noi, finché Dio ha voluto, così completa e perfetta che certo non si legge ne sia esistita un’altra simile, e fra i nostri contemporanei non se ne trova traccia alcuna. Per costruirne di simili è necessario il concorso di tante cose che è già molto se la fortuna ci arriva una volta in tre secoli. Non c’è nulla a cui sembra che la natura ci abbia indirizzati come alla società. E Aristotele dice che i buoni legislatori hanno avuto più cura dell’amicizia che della giustizia. Ora, questo è il culmine della sua perfezione. Infatti, in generale, tutte quelle che il piacere o il profitto, il bisogno pubblico o privato crea e alimenta, sono tanto meno belle e generose, e tanto meno vere amicizie, in quanto mescolano all’amicizia altra cagione e scopo e frutto. Né quei quattro tipi di amicizia dell’antichità: naturale, sociale, ospitale, erotica, vi si confanno, singolarmente o complessivamente. Quello dei figli verso i padri, è piuttosto rispetto. L’amicizia si nutre di una comunione che tra loro non può esservi, per la troppo grande disparità, e offenderebbe forse i doveri di natura. Infatti, né tutti i segreti pensieri dei padri possono essere comunicati ai figli, per non generare in essi una sconveniente dimestichezza; né si potrebbero avere da parte dei figli verso i padri gli ammonimenti e le correzioni, che costituiscono uno dei principali uffici dell’amicizia. Ci sono stati popoli fra i quali, per consuetudine, i figli uccidevano i propri padri; e altri dove i padri uccidevano i figli, per evitare che arrivassero ad essere d’ostacolo gli uni agli altri, come a volte può accadere, e del resto l’uno dipende per natura dalla rovina dell’altro. Ci sono stati filosofi che hanno disdegnato questo legame naturale, testimone Aristippo: quando gli fu ricordato l’affetto che doveva ai propri figli perché erano usciti da lui, si mise a sputare, dicendo che anche quello era pur sempre uscito da lui; e che noi generiamo anche pidocchi e vermi. E quell’altro, che Plutarco voleva indurre a mettersi d’accordo col proprio fratello: «Non ne faccio certo maggior conto» disse «per il fatto che siamo usciti dallo stesso buco». Davvero è un bel nome e pieno di dilezione il nome di fratello, e perciò ne facemmo, lui ed io, il nostro legame. Ma quella mescolanza di beni, quelle spartizioni, e il fatto che la ricchezza dell’uno causi la povertà dell’altro, tutto questo indebolisce straordinariamente e allenta questa unione fraterna. Dovendo i fratelli progredire andando avanti sul medesimo sentiero e col medesimo passo, è inevitabile che spesso si urtino e si offendano. Inoltre, la corrispondenza e la relazione che generano queste vere e perfette amicizie, perché dovrebbero trovarsi proprio in loro? Il padre e il figlio possono essere d’indole assolutamente diversa, e così pure i fratelli. Questi è mio figlio, è mio parente, ma è un uomo intrattabile, un malvagio o uno sciocco. E poi, quanto più si tratti di amicizie che ci vengono imposte dalla legge e dal dovere naturale, tanto meno entrano in gioco la nostra scelta e la nostra libera volontà. E la nostra libera volontà non produce niente che sia più propriamente suo dell’affetto e dell’amicizia. E non è che io non abbia avuto a questo riguardo tutto quello che è possibile avere, poiché ho avuto il miglior padre che ci sia mai stato, e il più indulgente, fino alla sua estrema vecchiaia, ed appartengo a una famiglia di padre in figlio famosa ed esemplare per la qualità della concordia fraterna,
et ipse Notus in fratres animi paterni. [ed io stesso noto per il mio affetto paterno verso i fratelli]
Paragonarvi l’affetto verso le donne, benché esso nasca dalla nostra scelta, non è possibile, e nemmeno collocarlo in questa categoria. Il suo fuoco, lo riconosco,
neque enim est dea nescia nostri
Quæ dulcem curis miscet amaritiem,
[né mi ignora la dea che una dolce amarezza mescola alle sue cure]
è più attivo, più cocente e più intenso. Ma è un fuoco cieco e volubile, ondeggiante e vario, fuoco di febbre, soggetto ad accessi e pause, e che ci occupa da un solo lato. Nell’amicizia, è un calore generale e totale, del resto temperato e uguale, un calore costante e calmo, tutto dolcezza e nitore, che non ha nulla di aspro e di pungente. E per di più, nell’amore non è che un desiderio forsennato di ciò che ci sfugge:
Come segue la lepre il cacciatore Al freddo, al caldo, alla montagna, al lito, Né più l’estima poi che presa vede, E sol dietro a chi fugge affretta il piede.
Appena entra nei termini dell’amicizia, cioè nell’accordo delle volontà, svanisce e s’illanguidisce. Il goderne lo annulla, in quanto il suo fine è corporale e soggetto a sazietà. L’amicizia, al contrario, si gode a misura che la si desidera, e si innalza, si alimenta e cresce solo godendone, in quanto è spirituale, e l’anima si affina con l’uso. Al di sotto di quella perfetta amicizia, anche tali affetti passeggeri hanno un tempo trovato posto in me, per non dir niente di lui, che ne confessa fin troppi in questi versi. Così queste due passioni sono entrate in me in conoscenza l’una dell’altra, ma mai in competizione. La prima mantenendo la propria rotta con volo alto e superbo, e guardando sdegnosamente l’altra avanzare ben lungi al di sotto di sé. Quanto ai matrimoni, oltre che è un accordo dove soltanto l’ingresso è libero – la sua durata essendo costretta e forzata, dipendendo da altro che dalla nostra volontà –, e un accordo che si fa in genere per altri fini, vi sopravvengono mille garbugli estranei da districare, sufficienti a rompere il filo e turbare il corso di un vivo affetto; laddove nell’amicizia si ha a che fare solo con essa, e solo con essa si tratta. Si aggiunga che, a dire il vero, le donne in genere non sono capaci di corrispondere a questa consonanza e comunicazione, nutrimento di questo santo legame; né la loro anima sembra abbastanza salda da sostenere la stretta di un nodo tanto serrato e durevole. E certo, se così non fosse, se si potesse stabilire un rapporto libero e volontario, in cui non solo le anime avessero tale godimento completo, ma anche i corpi partecipassero alla relazione, in cui l’uomo fosse impegnato tutto intero, è certo che l’amicizia sarebbe più piena e completa. Ma non vi è esempio che quel sesso vi sia ancora potuto arrivare, e per comune consenso delle scuole antiche vi è negato. E quell’altra licenza greca è giustamente aborrita dai nostri costumi. Neppure essa, del resto, presentando, secondo le loro abitudini, una così necessaria disparità d’età e differenza di servigi fra gli amanti, rispondeva alla perfetta unione e armonia che qui si richiede.
Quis est enim iste amor amicitiæ? Cur neque deformem adolescentem quisquam amat, neque formosum senem? [Che cos’è infatti questo amore d’amicizia? Perché non si ama un adolescente deforme, né un bel vecchio?]
Di fatto la descrizione stessa che ne fa l’Accademia mi autorizzerà, credo, a dir così da parte sua: che quell’improvviso furore ispirato dal figlio di Venere al cuore dell’amante e avente per oggetto il fiore d’una tenera giovinezza, al quale essi permettono tutti gli smodati e appassionati sfoghi che può produrre un ardore sfrenato, era semplicemente fondato su una bellezza esteriore, falsa immagine della generazione corporale. Infatti non poteva fondarsi sullo spirito, del quale nulla ancora appariva, poiché era sul nascere e non aveva raggiunto l’età di dar frutti. Che se quel furore s’impossessava di un cuore vile, i mezzi di cui si serviva per corteggiare erano ricchezze, doni, favori nell’avanzamento di grado, e altra simile bassa mercanzia che essi biasimano. Se si produceva in un cuore più nobile, anche i mezzi erano nobili: precetti filosofici, insegnamenti a rispettare la religione, obbedire alle leggi, morire per il bene del proprio paese; esempi di valore, prudenza, giustizia; poiché l’amante si studiava di rendersi gradito con la grazia e la bellezza della propria anima, essendo già da tempo appassita quella del corpo, e sperava con questo sodalizio mentale di stabilire un accordo più saldo e durevole. Quando queste premure raggiungevano il loro effetto al tempo giusto (poiché quello che non chiedono affatto all’amante, che cioè nella sua impresa si comportasse senza fretta e con discrezione, lo chiedono espressamente all’amato; tanto più che questi doveva giudicare di una bellezza interiore, difficile a conoscere e ascosa da scoprire), allora nasceva nell’amato il desiderio di un concepimento spirituale per il tramite di una spirituale bellezza. Questa era in tal caso la più importante; quella corporale, accidentale e secondaria: tutto al contrario che per l’amante. Per questa ragione essi prediligono l’amato, e costatano che anche gli dèi lo prediligono. E biasimano moltissimo il poeta Eschilo perché, nell’amore di Achille e Patroclo, ha dato la parte dell’amante ad Achille, che era nel primo ed imberbe germogliare della sua adolescenza, e il più bello dei Greci. Da questa comunanza totale, nella quale la parte principale e più degna di essa esercitava il proprio ufficio e predominava, dicono che derivassero frutti utilissimi ai privati e al pubblico. Essa costituiva la forza dei paesi che ne adottavano l’uso, e la principale difesa dell’equità e della libertà: testimonio il salutare amore di Armodio e Aristogitone. Perciò la chiamano sacra e divina. E, secondo loro, solo la violenza dei tiranni e la viltà dei popoli le sono nemiche. Infine, tutto quello che si può concedere in favore dell’Accademia, è dire che si trattava di un amore che terminava in amicizia. Cosa che concorda abbastanza con la definizione stoica dell’amore:
Amorem conatum esse amicitiæ faciendæ ex pulchritudinis specie. [L’amore è uno sforzo di ottenere l’amicizia di chi ci attira con la sua bellezza]
Torno alla mia descrizione di un genere di amicizia più equa ed equabile:
Omnino amicitiæ, corroboratis iam confirmatisque ingeniis et ætatibus, iudicandæ sunt. [In breve, le amicizie si possono giudicare solo quando i caratteri e le età si sono rafforzati e consolidati]
Del resto, quelli che chiamiamo abitualmente amici e amicizie, sono soltanto dimestichezze e familiarità annodate per qualche circostanza o vantaggio, per mezzo di cui le nostre anime si tengono insieme. Nell’amicizia di cui parlo, esse si mescolano e si confondono l’una nell’altra con un connubio così totale da cancellare e non ritrovar più la commessura che le ha unite. Se mi si chiede di dire perché l’amavo, sento che questo non si può esprimere che rispondendo: «Perché era lui; perché ero io». C’è, al di là di tutto il mio discorso, e di tutto ciò che posso dirne in particolare, non so qual forza inesplicabile e fatale, mediatrice di questa unione. Ci cercavamo prima di esserci visti e per quel che sentivamo dire l’uno dell’altro, il che produceva sulla nostra sensibilità un effetto maggiore di quel che produca secondo ragione quello che si sente dire, credo per qualche volontà celeste: ci abbracciavamo attraverso i nostri nomi. E al nostro primo incontro, che avvenne per caso, in occasione di una grande festa e riunione cittadina, ci trovammo così presi, così conosciuti, così legati da mutuo obbligo, che da allora niente ci fu tanto vicino quanto l’uno all’altro. Egli scrisse una satira latina eccellente, che è pubblicata, nella quale giustifica e spiega la rapidità della nostra intesa, così prontamente giunta a perfezione. Dovendo durare così poco, ed essendo cominciata così tardi, poiché eravamo ambedue uomini fatti, e lui maggiore di qualche anno, essa non aveva tempo da perdere, e non poteva conformarsi al modello delle amicizie fiacche e regolari, per le quali occorrono tutte le precauzioni di una lunga frequentazione preliminare. Questa non ha altra immagine che se stessa, e non può paragonarsi che a sé. Non una considerazione particolare, né due, né tre, né quattro, né mille: ma una non so quale quintessenza di tutta quella mescolanza che, afferrata tutta quanta la mia volontà, la condusse a immergersi e perdersi nella sua; che, afferrata tutta quanta la sua volontà, la condusse a immergersi e perdersi nella mia, con ugual desiderio, uguale slancio. Dico perdersi, in verità, poiché non ci riservammo nulla che ci fosse proprio, né che fosse o suo o mio. Quando Lelio, alla presenza dei consoli romani, i quali, dopo la condanna di Tiberio Gracco, perseguivano tutti quelli che avevano fatto parte del suo complotto, venne a domandare a Caio Blosio (che era il primo dei suoi amici) che cosa avrebbe voluto fare per lui, ed egli rispose: «Tutto». «Come, tutto?» proseguì quello. «E se ti avesse comandato di appiccare il fuoco ai nostri templi?» «Non me lo avrebbe mai comandato» replicò Blosio. «Ma se lo avesse fatto?» aggiunse Lelio. «Avrei obbedito» rispose. Se era tanto perfetto amico di Gracco come dicono le storie, non avrebbe dovuto offendere i consoli con quest’ultima e spavalda affermazione; e non avrebbe dovuto discostarsi dalla fiducia che aveva nella volontà di Gracco. Tuttavia, coloro che biasimano questa risposta come sediziosa non capiscono bene questo mistero, e non suppongono quel che effettivamente è, che egli aveva in mano la volontà di Gracco, sia perché la possedeva, sia perché la conosceva. Erano più amici che cittadini, più amici fra loro che amici e nemici del loro paese, che amici di ambizioni e di torbidi. Essendosi completamente affidati l’uno all’altro, tenevano perfettamente le redini delle rispettive inclinazioni. E se fate guidare questo tiro dalla virtù e dalla mano della ragione, poiché d’altronde è assolutamente impossibile aggiogarlo senza, la risposta di Blosio è tale quale doveva essere. Se le loro azioni si fossero smentite essi non sarebbero stati, secondo la mia misura, né amici l’uno dell’altro, né amici di se stessi. Del resto, questa risposta non suona diversa da quella che darei io a chi mi domandasse: «Se la vostra volontà vi ordinasse di uccidere vostra figlia, la uccidereste?» ed io rispondessi affermativamente. Poiché questo non è affatto una prova che consentirei a farlo, dato che non ho alcun dubbio sulla mia volontà, e altrettanto poco dubito di quella d’un tale amico. Tutti i ragionamenti del mondo non potrebbero allontanarmi dalla certezza che ho delle intenzioni e dei giudizi del mio. Non si potrebbe presentarmi alcuna sua azione, qualunque aspetto avesse, senza che ne trovassi immediatamente il movente. Le nostre anime hanno camminato così unite, si sono considerate con affetto tanto ardente, e con pari affetto si sono scoperte l’una all’altra fin nel più profondo delle viscere, che non solo io conoscevo la sua come la mia, ma certo mi sarei più volentieri affidato a lui che a me stesso. Non mi si mettano su questo piano le altre amicizie comuni: le conosco quanto un altro, e delle più perfette nel loro genere, ma non consiglio di confondere le loro norme: ci si ingannerebbe. In queste altre amicizie bisogna procedere con le redini in mano, con prudenza e precauzione; il legame non è annodato in modo che non si debba assolutamente diffidarne. «Amatelo» diceva Chilone «come se doveste un giorno odiarlo; odiatelo, come se doveste amarlo». Questo precetto, tanto obbrobrioso nel caso di tale amicizia signora e sovrana, è salutare nella pratica delle amicizie ordinarie e abituali, per le quali bisogna adoperare il motto che Aristotele aveva tanto familiare: «Amici miei, non esistono amici». In questo nobile commercio, i servizi e i benefici che alimentano le altre amicizie non meritano neppure d’esser messi in conto. E ciò è dovuto al totale connubio delle nostre volontà. Infatti, come l’amicizia che ho verso me stesso non viene affatto aumentata dal soccorso che mi porgo nel bisogno, checché ne dicano gli stoici, e come non mi sono affatto grato del servizio che mi rendo: così l’unione di tali amici, essendo davvero perfetta, fa loro perdere il senso di tali doveri. E odiare e bandire da sé queste parole che dividono e differenziano: beneficio, obbligo, riconoscenza, preghiera, ringraziamento e simili. Tutto essendo di fatto comune fra loro, volontà, pensieri, giudizi, beni, donne, figli, onore e vita, e la loro essendo come un’anima in due corpi, secondo la definizione assai pertinente di Aristotele, essi non possono prestarsi né regalarsi alcunché. Ecco perché quelli che fanno le leggi, per onorare il matrimonio di una qualche immaginaria rassomiglianza con tale divino legame, proibiscono le donazioni fra marito e moglie, volendo implicitamente affermare con ciò che tutto deve appartenere a ciascuno di loro e che essi non hanno nulla da dividersi e da spartire. Se, nell’amicizia di cui parlo, l’uno potesse dare all’altro, sarebbe quello che riceve il beneficio a far cortesia al suo compagno. Di fatto, cercando l’uno e l’altro, sopra ogni altra cosa, di farsi del bene a vicenda, colui che ne offre materia e occasione è quello che fa il generoso, dando al suo amico questa soddisfazione di attuare nei suoi confronti quello che maggiormente desidera. Quando il filosofo Diogene non aveva denaro, diceva che lo richiedeva ai suoi amici, non che lo chiedeva. E per mostrare come questo avviene in pratica, racconterò un antico esempio, singolare. Eudamida di Corinto aveva due amici: Carisseno di Sicione e Areteo di Corinto. Trovandosi presso a morire in povertà, e i suoi due amici essendo ricchi, fece così il proprio testamento: «Lascio ad Areteo di provvedere a mia madre e mantenerla nella vecchiaia; a Carisseno, di maritare mia figlia e darle la dote più grande che potrà; e nel caso che uno dei due venga a mancare, sostituisco nella sua parte colui che sopravvivrà». Quelli che videro per primi questo testamento, se ne burlarono; ma i suoi eredi, quando ne vennero a conoscenza, lo accettarono con gioia straordinaria. E poiché uno dei due, Carisseno, morì cinque giorni dopo, apertasi la sostituzione a favore di Areteo, questi provvide con cura a quella madre, e dei cinque talenti che aveva di suo patrimonio, ne dette due e mezzo in dote alla sua unica figlia, e due e mezzo per il matrimonio della figlia di Eudamida, e fece celebrare le loro nozze nello stesso giorno. Questo esempio è davvero perfetto, salvo per un punto, cioè il numero degli amici. Di fatto la perfetta amicizia di cui parlo è indivisibile: ciascuno si dà al proprio amico tanto interamente che non gli resta nulla da spartire con altri; al contrario, si duole di non esser doppio, triplo o quadruplo, e di non aver più anime e più volontà per consacrarle tutte a quell’unico oggetto. Le amicizie comuni si possono distribuire: si può amare in questo la bellezza, in quello la dolcezza dei costumi, nell’altro la liberalità, nell’altro il sentimento paterno, in un altro ancora il sentimento fraterno e così via. Ma quell’amicizia che possiede l’anima e la domina con sovranità assoluta è impossibile che sia duplice. Se due vi domandassero contemporaneamente di essere aiutati, da quale correreste? Se vi domandassero due servizi contrari, che ordine seguireste? Se uno affidasse al vostro silenzio una cosa che all’altro fosse utile sapere, come ve la cavereste? L’unica e suprema amicizia scioglie tutti gli altri obblighi. Il segreto che ho giurato di non svelare a nessun altro posso, senza spergiuro, comunicarlo a chi non è un altro: è me. È un grandissimo miracolo il raddoppiarsi; e non ne conoscono la grandezza quelli che parlano di triplicarsi. Nulla è estremo se esiste un suo simile. E chi supporrà che, fra due, io ami l’uno come l’altro, e che essi si amino fra loro e mi amino quanto io li amo, moltiplica in confraternita la cosa più unica e unita che esista, e di cui è già rarissimo trovare al mondo un solo esempio. Il resto di questa storia conviene benissimo a quello che dicevo: poiché Eudamida concede come grazia e favore ai propri amici il servirsi di loro in ciò che gli occorre. Li lascia eredi di questa sua liberalità, che consiste nel por loro in mano i mezzi per fargli del bene. E, senza dubbio, la forza dell’amicizia si mostra assai più largamente nel suo atto che in quello di Areteo. Insomma, sono cose inimmaginabili per chi non le ha provate. E che mi fanno onorare in modo straordinario la risposta di quel giovane soldato a Ciro, che gli domandava per quanto avrebbe voluto vendere il suo cavallo, col quale aveva appena vinto il premio della corsa; e se volesse cambiarlo con un regno: «No davvero, Sire, ma lo darei volentieri per acquistare un amico, se trovassi un uomo degno di tale legame». Non diceva male: «se ne trovassi»: poiché si trovano facilmente uomini adatti ad una familiarità superficiale. Ma in questa, nella quale si negozia il più profondo del proprio cuore, che non fa alcuna riserva, bisogna certo che tutti gli intenti siano perfettamente netti e sicuri. Nei sodalizi che si reggono solo per un capo, si deve provvedere solo alle imperfezioni che riguardano particolarmente quel capo. Non può avere importanza di che religione siano il mio medico e il mio avvocato. Questa considerazione non ha nulla a che fare con gli obblighi dell’amicizia che essi mi devono. E nella familiarità domestica che stabiliscono con me quelli che sono al mio servizio, mi comporto allo stesso modo. E di un servo, non mi occupo se sia casto. Guardo se è diligente. E non mi spaventa tanto un mulattiere giocatore quanto uno fiacco, né un cuoco bestemmiatore quanto uno incompetente. Non mi occupo di dire quel che si deve fare al mondo, ci pensano già abbastanza gli altri, ma quel che ci faccio io:
Mihi sic usus est; tibi, ut opus est facto, face. [Questo è il mio comportamento; voi fate come credete]
Alla familiarità della tavola associo il gaudente, non il sapiente. Al letto, la bellezza prima della bontà. Nella conversazione la competenza, magari senza la probità. E così in altri casi. Come colui che fu visto a cavalcioni di un bastone mentre giocava con i suoi bambini, pregò l’uomo che lo sorprese in quella posizione di non dirne nulla finché non fosse stato padre egli stesso, ritenendo che il sentimento che sarebbe nato allora nella sua anima lo avrebbe reso giudice equanime di un tale comportamento; così anch’io vorrei parlare a persone che avessero provato quello che dico. Ma sapendo come una tale amicizia sia cosa lontana dalla norma comune, e quanto sia rara, non mi aspetto di trovarne alcun buon giudice. Infatti anche i discorsi che l’antichità ci ha lasciati su questo argomento mi sembrano fiacchi in confronto al sentimento che io ne ho. E, a questo riguardo, i fatti superano i precetti stessi della filosofia:
Nil ego contulerim iucundo sanus amico. [Finché avrò senno, nulla per me sarà paragonabile a un dolce amico]
L’antico Menandro chiamava felice colui che avesse potuto incontrare solo l’ombra d’un amico.27 Certo aveva ragione di dirlo, soprattutto se lo aveva provato. Poiché, in verità, se confronto tutto il resto della mia vita, che pure, per grazia di Dio, mi è trascorsa dolce, facile e, salvo la perdita di un tale amico, esente da gravi afflizioni, piena di tranquillità di spirito, essendomi accontentato dei miei agi naturali e originari senza cercarne altri; se la confronto, dico, tutta quanta ai quattro anni in cui mi è stato dato di godere della dolce compagnia e familiarità di quell’uomo, essa non è che fumo, non è che una notte oscura e noiosa. Dal giorno in cui lo persi,
quem semper acerbum, Semper honoratum (sic, Dii, voluistis) habebo, [che sempre sarà per me crudele e sempre onorerò, poiché così, o dèi, avete voluto]
non faccio che trascinarmi languente. E perfino i piaceri che mi si offrono, invece di consolarmi, mi raddoppiano il rimpianto della sua perdita. Di ogni cosa facevamo a metà: mi sembra di sottrargli la sua parte,
Nec fas esse ulla me voluptate hic frui 
Decrevi, tantisper dum ille abest meus particeps.
[E ho deciso che nessun piacere mi sia più permesso, ora che manca colui che condivideva la mia vita]
Ero già così assuefatto e abituato ad essere in due dappertutto, che mi sembra di non esser più che a metà.
Illam meæ si partem animæ tulit Maturior vis, quid moror altera, Nec charus æque, nec superstes Integer? Ille dies utramque Duxit ruinam. [Se una forza prematura mi ha tolto quella parte della mia anima, a che rimango io, l’altra parte, né altrettanto amato né interamente superstite? Quel giorno è stato la rovina di entrambi]
Non c’è azione o pensiero in cui non senta la sua mancanza, come egli avrebbe sentito la mia. Infatti, come mi superava di gran lunga in ogni altra dottrina e virtù, così faceva nel dovere dell’amicizia.
Quis desiderio sit pudor aut modus Tam chari capitis?31 O misero frater adempte mihi! Omnia tecum una perierunt gaudia nostra, Quæ tuus in vita dulcis alebat amor. Tu mea, tu moriens fregisti commoda, frater; Tecum una tota est nostra sepulta anima, Cuius ego interitu tota de mente fugavi Hæc studia atque omnes delicias animi. Alloquar? audiero nunquam tua verba loquentem? Nunquam ego te, vita frater amabilior, Aspiciam posthac? At certe semper amabo. 
[Che pudore, che limite può porsi al rimpianto di una testa così cara? O fratello strappato a me infelice! Con te finirono tutte le nostre gioie che il tuo dolce amore nutriva in vita. Tu, fratello, morendo hai travolto la mia quiete, tutta la nostra anima è sepolta con te, alla cui morte io ho allontanato dalla mente i miei studi e tutte le delizie dell’animo. E mai più parlerò con te, mai più ti udrò parlare, mai più ti potrò rivedere, fratello a me più caro della vita? Ma certo sempre ti amerò]
Ma ascoltiamo un po’ parlare questo ragazzo di sedici anni. Poiché ho visto che quell’opera è stata poi pubblicata, e a cattivo fine, da quelli che cercano di turbare e cambiare il nostro regime di governo, senza preoccuparsi se lo miglioreranno, e che l’hanno mescolata ad altra farina del loro sacco, recedo dal mio proposito di metterla qui. E affinché la memoria dell’autore non abbia a soffrirne presso quelli che non hanno potuto conoscere da vicino le sue opinioni e le sue azioni, li avverto che questo argomento fu da lui trattato quando era ragazzo, a mo’ di esercitazione soltanto, come argomento volgare, fritto e rifritto mille volte nei libri. Non metto in dubbio che credesse in quello che scriveva, poiché era abbastanza coscienzioso da non mentire nemmeno per gioco. E so inoltre che, se avesse dovuto scegliere, avrebbe preferito esser nato a Venezia anziché a Sarlat: e a ragione. Ma aveva un’altra massima sovranamente scolpita nell’anima, di obbedire e sottomettersi molto scrupolosamente alle leggi sotto le quali era nato. Non ci fu mai cittadino migliore, né più attaccato alla tranquillità del suo paese, né più nemico degli sconvolgimenti e delle innovazioni del suo tempo. Si sarebbe servito delle proprie capacità piuttosto per estinguerli che per fornir materiale di che maggiormente fomentarli. Aveva lo spirito foggiato sul modello di altri secoli, non di questo. Ora, al posto di quell’opera seria, ne metterò un’altra, prodotta nella medesima stagione della sua vita, più vivace e più lieta.
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domenica 2 agosto 2015

PIETRO VERRI: LA LEGGE DI FRANCESCO SFORZA CONTRO I SODOMITI

Parlando di laicità non si dimentichi il none di Pietro Verri, uno dei pilastri della cultura illuministica di quel periodo aureo che fu in Lombardia il regno di Maria Teresa. Il pensiero di Pietro Verri fu di stimolo al Beccaria e, attraverso Il Caffè, creò un cenacolo di pensiero illuministico i cui fermenti furono fondamentali in molti ambiti: dall’economia, alle scienze dell’amministrazione, dal dibattito sulla fondazione del diritto alla storiografia. In ogni campo la regola generale consisteva nel guardare i fatti senza preconcetti e nel non cedere all’ideologico e al moralistico.
Non intendo entrare nell’esame dell’opera di Pietro Verri, che è cosa vastissima e ricchissima, intendo qui limitarmi ad un aspetto molto particolare della storia di Milano del Verri. Si tratta di un’opera colossale e nello stesso tempo di una lezione di metodo storico. La storia si scrive sui fatti!
La storia di Milano unisce un discorso lineare e asciutto dell’autore con una mole enorme di documentazione di prima mano. Verri cita moltissimi documenti originali e rappresenta una vera miniera anche per lo storico moderno. Nella Storia di Milano, quando si riferisce agli avvenimenti che seguirono alla morte del duca Filippo Maria Visconti e alla presa di potere di Francesco Sforza, Verri così si esprime:
“Il conte Francesco Sforza, appena ebbe l’annunzio della morte del duca, s’incamminò diligentemente verso Milano, abbandonando la Romagna, ove si trovava. I Veneziani erano nella circostanza la più favorevole per impadronirsi del Milanese. Lodi, Piacenza ed altre città desideravano di vivere sotto la repubblica veneta. Francesco Sforza vedeva che i Veneziani erano i più potenti ad invadere e conquistare questo ducato, ch’egli aveva in mente di far suo; sebbene le circostanze non gli fossero per anco favorevoli a segno di palesarlo. Le forze de’ Veneti già si trovavano nel Milanese prima che il duca morisse, il che accennai nel capitolo antecedente. E come pochi mesi prima s’erano essi presentati sotto le mura di Milano, e avevano devastato il monte di Brianza, così v’era ragionevole motivo per cui i Milanesi temessero l’imminente pericolo. Appena venti giorni erano trascorsi dopo la morte di Filippo Maria, che la repubblica milanese dovette eleggere un comandante capace di opporsi alle forze venete e salvarla; e questa scelta cadde nel conte Francesco Sforza, dichiarato capitano delle nostre armate. I denari de’ Milanesi erano necessari per mantenere un corpo numeroso di soldati, e ai Milanesi era necessario un gran capitano, la cui mente e valore, opportunamente dirigendo la forza, li preservassero dall’invasione dei Veneti. Questi bisogni vicendevolmente unirono da principio lo Sforza e i repubblicani nascenti, se pure il nome di repubblica poteva convenire a una illegale adunanza, che governava senza autorità e senza principii. Una prova della incertezza di quel governo la leggiamo nel proclama che i capitani e difensori della libertà pubblicarono in data 21 settembre 1447. Per ordine di questi vennero pubblicamente consegnati alle fiamme i catastri [i registri catastali. Nota di Project] che servivano alla distribuzione de’ carichi [delle tasse. Nota di Project], affine di rallegrare il popolo; e si credette fondo bastante per le spese pubbliche la spontanea generosità di ciascun cittadino. Appena due settimane dopo si dovette pensare al rimedio; e fu quello che i medesimi capitani e difensori arbitrariamente tassassero i cittadini a un forzoso imprestito. Si obbligarono poi i sudditi a notificare quanto possedevano sotto pena della confisca, invitando gli accusatori col premio; e ciò per formare nuovi catastri [nuovi registri catastali. Nota di Project] per ripartire i carichi [le tasse. Nota di Project]. Cercavano questi incerti capitani e difensori l’opinione favorevole del popolo con mezzi rovinosi, e vi rimediavano poi con ingiusti e odiosi ripieghi. Alcune delle leggi che proclamarono, poiché danno una precisa idea dello spirito di quel governo e della condizione di que’ tempi, non sarà discaro al lettore ch’io qui trascriva. Nei primi momenti della inferma Repubblica, incerti della loro autorità, privi di legale sanzione, in una città divisa in partiti, attorniata da città che non eranle amiche, coll’armata veneta che invadeva le sue terre, coi Savoiardi e Francesi, che minacciavano d’occuparlene dalla parte opposta, costretta a confidarsi al pericoloso partito di collocare nelle mani del conte Sforza il poter militare in così importante e seria situazione, pubblicarono un ordine il 18 ottobre 1447, rinnovando irremissibilmente la pena del fuoco ai pederasti. Gli uomini nei più pressanti disastri cercano l’aiuto della Divinità colla maggiore istanza, e a tal uopo credonsi di ottenerlo persino col sacrificio d’umane vittime. I Greci cercavano i venti col sangue d’Ifigenia; i Romani placavano il cielo seppellendo uomini vivi; i nostri, bruciando i peccatori. Le pazzie e le atrocità di un secolo si assomigliano alle pazzie e atrocità d’un altro, a meno che la coltura e la ragione, diffondendosi largamente, non indeboliscano i germi del fanatismo inerente all’uomo; e questa coltura, questa filosofia, contro la quale ancora v’è chi declama, formano appunto l’unica superiorità de’ tempi presenti, Oggidì un popolo che aspiri a diventar libero e combatta per sottrarsi dall’imminente giogo, non pubblicherà certo una legge per proibire ai barbieri di far la barba ne’ giorni festivi. Ha ben altro che fare chi si trova al timone della Repubblica fra la tempesta, che vegliare su di questi meschini e indifferenti oggetti; eppure allora si proclamò un bando cosiffatto.” 
Verri riposta anche sia nell’originale latino che in traduzione italiana l’ordinanza di Francesco Sforza che commina la morte sul rogo ai sodomiti. Il testo è estremamente interessante:
“I capitani e difensori della libertà dell’illustre ed eccelsa comunità di Milano. Diletto nostro. Affine di consolidare, aumentare, condecorare questo desiderabile stato della libertà che abbiamo ricevuta, reputiamo non tanto convenevole, quanto necessario, il coltivare il decoro delle virtù, l’abbominare le brutture dei vizi; perciocché in questo modo e grati ci mostreremo a Dio del ricevuto donativo, e dalla di lui onnipotenza sperare potremo più liberale accumulamento di grazie. Riflettendo noi adunque quanto sporco e detestabile, quanto orrendo sia il delitto da non nominarsi della sodomìa, e reputando che la impunità genera un incentivo, e i già infetti di quel vizio suole rendere peggiori, deliberammo e confermammo di nostro avviso con durevole decreto, di non volere più in alcun modo tollerare questo esecrabile e rovinoso eccesso. Sebbene adunque sembri che a ritrarre da questo sceleratissimo delitto coloro che macchiati ne sono, ed a fare che più in avvenire non cadano in simile delitto, bastare dovrebbe la pena del fuoco stabilita dalle leggi santissime e dagli statuti di questa città, che come cosa divulgatissima ignorare certamente non debbono; tuttavia, affinché la loro infame turpitudine si renda totalmente inescusabile, vogliamo, e a te espressamente comandiamo, che, alla ricevuta delle presenti lettere, patentemente e pubblicamente colla voce del banditore tu faccia divulgare per i luoghi consueti di questa città: che quind’innanzi qualunque persona, di qualunque stato e condizione essa sia, o del territorio, o forestiera, o stipendiata, o godente alcuna provvigione, ed in generale chiunque sia, si guardi e si astenga totalmente da quel delitto, né ardisca commetterlo in qualunque modo, sapendo e tenendo per certo che se si scoprirà che in quel delitto sia caduto, irremissibilmente sarà punito colla pena del fuoco, a tutto rigore di legge. E tu poscia dovrai adoperare ogni studio e diligenza e cura ad investigare e ricercare questi scelerati, e dovrai procedere contra qualunque tu scoprissi in avvenire avere commesso questo delitto: punendolo a tenore di diritto e col mezzo della giustizia. Nella qual cosa quanto maggiormente sarai vigilante ed accurato, tanto più avrai servito al dovere ed all’onore, e meglio avrai secondato la nostra intenzione. Ed affinché gl’inclinati al male da questi delitti si astengano, vogliamo che agli accusatori o denunziatori di quegli stessi delitti, però con di buoni indizi, si accordi un premio per ciascuna volta, e si tengano segreti, il quale premio sarà di dieci ducati d’oro da levarsi su le facoltà del delinquente, la quale prestazione vogliamo che debba farsi da te e da’ tuoi successori, rimossa qualunque eccezione e contraddizione. Scriviamo pure intorno a questo al signor Bartolommeo Caccia, capitano di giustizia di questa città, col quale vogliamo che tu proceda d’intelligenza nel fare eseguire le predette proclamazioni. – Milano, il giorno XVIII di ottobre, MCCCCXLVII.”
Tutto l’impianto e dell’ordinanza contro i sodomiti è modellato sulle leggi di Teodosio: si parte del richiamo alla legge divina, si ricordano le sacre leggi e quelle in particolare della città di Milano che già prevedono il fuoco per i sodomiti (a che serve allora rinnovare la condanna?). Il banditore dovrà comunque nuovamente richiamare il popolo al rispetto della legge contro la sodomia. In pratica si annuncia una vera caccia alle streghe. I delatori e gli accusatori “se con buoni indizi” dovranno essere tenuti segreti e saranno premiati per ogni denunzia con dieci ducati d’oro, prelevati dal patrimonio del sodomita. Chi ha orecchio per intendere intenda! Lo sdegno del Verri è assai ben motivato!
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