giovedì 6 settembre 2007

QUESTI LEONI 7 - ROMANZO GAY

QUESTI LEONI 7
ROMANZO GAY 1986
CAPITOLO 7
ULTIMO CAPITOLO
Angelo piangeva, rimase sveglio per buona parte della notte con il cervello in continuo movimento, non si era mai sentito così, i suoi schemi, la sua prudenza, le sue paure uscivano sconvolte dall’incontro con Marco, le speranze nascevano e il desiderio d’amore si faceva sentire in modo inatteso anche da chi pensava di essere immune per esercizio di astinenza forzata. La sensazione che Angelo provava era dolcissima ma mista a qualche vena di angoscia per la sensazione di un futuro che incombe su un passato di sogni e su un presente d’amore. Il giorno seguente era domenica. Marco non aveva proposto nulla ad Angelo perché era già impegnato con alcuni suoi compagni di scuola, sarebbero andati insieme al lago di Bracciano. Alla gita andarono pure persone sconosciute, tra esse una ragazza più o meno dell’età di Marco, di nome Antonella. Nè Marco nè Antonella erano in coppia, fu quindi quasi ovvio che si trovassero insieme. Scambiarono delle battute molto timide e scontate già sull’autobus, a Bracciano poi persero di vista la comitiva e decisero di stare per conto proprio, parlavano di scuola, di letteratura, Marco si sentiva libero, raccontava, rideva, faceva battute. Poi il discorso si fece più personale e diretto.
- Ma tu ce l’hai una ragazza?
- Adesso no.
- E perché no?
- Perché mi sono reso conto che stavo meglio solo.
Marco si accorse di avere fatto un errore si affrettò a correggersi.
- Non lo so, prima stavo in continua agitazione, adesso sono più tranquillo.
- Però stavi meglio prima?
Marco sentì di essersi messo in un vicolo cieco, ebbe la chiara impressione di essersi o meglio di essere costretto a recitare.
- Certe volte tu da una ragazza vorresti comprensione, chiarezza e poi ti accorgi che non ti capisce, cioè che non sta cercando te a chissà che cosa, certo poi ci stai male ma che puoi fare, quando non va non va.
- E di amici veri ne hai?
- Ma che vuol dire amici veri?
- Che ti capiscono, che ci stai bene insieme.
Marco capì che non aveva senso affrontare neppure questo argomento.
- No, amici così non ne ho.
- Ma ti senti solo?
- ma no, neanche, perché?
- Così tu cerchi di difenderti... e poi guarda, la gente che c’hai intorno non ti sta nemmeno a sentire... guarda io ti capisco tanto, io credo che in qualche modo mi somigli, ci si può capire solo se ci si somiglia molto.
- Mah!
Antonella prese Marco per mano.
- Ti dispiace?
- No, anzi.
- Ci sediamo sull’erba?
- Qua?
- Ecco, così.
Antonella si distese sull’erba poggiando la testa sulle gambe di Marco, Marco viveva il contatto fisico con Antonella quasi dal di fuori chiedendosi che cosa lei potesse provare, che cosa si aspettasse da lui, Antonella continuava a parlare aspettando da Marco un incoraggiamento che non veniva.
- Marco, mi dici che cosa stai pensando?
- Mi viene in mente García Lorca.
- E perché proprio García Lorca?
- Così.
L’argomento cadde in questo modo.
- Senti, perché non mi vieni a trovare domani?
- Domani non posso, magari un altro giorno.
- Ma che devi fare?
- Ho preso un impegno già da molto tempo.
All’ora di pranzo comprarono dei panini, fecero una lunga passeggiata sul lago e poi decisero di rientrare.
- Ma lo sai che sei timido in modo impossibile?
- Perché?
- Perché quando stavamo sul prato mi aspettavo che mi baciasi e tu ti sei fatto centomila scrupoli.
- Ma non è timidezza.
- E che cosa è?
- E’ che non sei la mia ragazza e forse non ci capiamo molto.
- Va be’, va’, è meglio che torniamo a Roma.
Il discorso continuò sull’autobus.
- Perché non mi dici quello che pensi veramente?
- Perché non c’è niente da dire.
- Va be’, lasciamo perdere.
A Roma si salutarono in modo molto formale. Marco era felice di non aver parlato di Angelo, quello era il suo segreto. Marco però coglieva pure il fatto di aver accettato di recitare con Antonella, l’obbligo di dire la verità non gli sembrava vincolante, in altri tempi avrebbe cercato comprensione e dialogo adesso tutto questo era inesistente, l’urgenza della verità si limitava ormai solo ai rapporti con Angelo. Quando Marco rientrò a casa telefonò subito ad Angelo.
- pronto.
- Ciao!
- Come va?
- Bene, e tu?
- Bene, non mi posso proprio lamentare!
- Che stavi facendo?
- C’avevo un lavoro da finire, niente di speciale... e tu?
- Io oggi sono andato a Bracciano.
- A fare che?
- Niente, così, con un po’ di gente di scuola, se no sarei venuto a trovarti.
- E’ vero?
- Sì, comunque vengo domani pomeriggio.
- Va bene, però ti poso chiedere una cosa?
- Dai.
- Non ti creare doveri che non esistono.
- Ma io vengo per me, mica per te.
- Ah!
- Va be’, su, tanto hai capito, anzi domani ti racconto pure una cosa che m’è capitata oggi...
- Cioè?
- No, dai, te la racconto domani...
- Dai, racconta adesso...
- Ho conosciuto una ragazza, abbiamo passato la giornata insieme... si stava bene...
- Scusa, sei convinto di volermi parlare di queste cose?
- No, dai, adesso stammi a sentire ché puoi capire benissimo, all’inizio stavo bene, si parlava di tante cose, insomma si stava bene.
- Senti Marco, tu qualche tempo fa dicevi che volevi tenere per te il tuo privato... perché adesso mi dici queste cose... sono tue...
- No, il fatto è che non sono mie, cioè mi piacciono finché le penso, ma poi, quando mi ci trovo, mi sento al di fuori, mi sembra tutto un gioco.
- ...
- Adesso parla però.
- Non è facile parlare senza dire scemenze, io credo che ci vuole tempo, bisogna riuscire a conoscersi bene, a capirsi.
- Senti, ma tu qualche volta sei stato vicino a una ragazza?
- Sì...
- E come reagivi?
-... Dipende, se non mi sentivo aggredito stavo bene, cioè io contro le ragazze non c’ho niente, ci parlo volentieri, ci vado d’accordo, la preoccupazione vera è che capiscano male e possano fraintendere le mie intenzioni, allora possono essere pasticci. Però io per certe ragazze ho provato tenerezza, affetto,, affetto vero, però questo quando non erano innamorate di me... cioè, per assurdo, con certe ragazze ho provato pure qualche cosa di tipo sessuale, al limite ci avrei pure fatto l’amore... forse no, comunque ho provato qualche cosa, quello che mi fa paura è vedermi con le spalle al muro, senza possibilità di scappare. Che ti devo dire, ma a te che cosa ti è capitato?
- Non lo so, mi sembrava di partecipare a un gioco, di recitare... adesso io questa ragazza non la conosco, sarà pure questo, però certe volte mi chiedevo che stavo a fare lì. Mi sembrava tutta una cosa assurda.
- ma tu ci sei rimasto male?
- Di che?
- ... del fatto che magari ti aspettavi di reagire in un latro modo...
- Ma in fondo io non mi aspettavo niente di diverso, cioè lo sapevo che sarebbe andata a finire così, lo sapevo fin dall’inizio.
- E allora perché ti ci sei messo?
- Io non mi ci sono messo, ci sono capitato.
- Beh adesso non lo so questo fino a che punto può essere vero.
- No, è così, è che uno comincia a parlare e poi non si sa dove si va a finire, adesso l’impressione che ho avuto io è stata che a quella ragazza non c’avevo niente da dire, tu adesso, però, non pensare che questa storia per me significa qualche cosa, te l’ho raccontata per sapere quello che ne pensavi tu però è una cosa che non significa niente, anzi stasera ti volevo chiedere del film di ieri.
- Quale?
- Ritratto di famiglia in un interno di Visconti, l’hai visto?
- Lo conoscevo già da prima.
- E che ne pensi?
- penso che è una tipica storia d’amore di un certo tipo, il vecchio professore è quello che non ha vissuto, che si è costruito a fatica il suo castello di certezze, il rapporto tra lui e il ragazzo sembra un rapporto padre-figlio, ma è un timidi tipico rapporto tra amanti, fatto di stima, di rispetto, quasi di timore e poi la fine è la morte per entrambi, non riescono più a vivere come prima, dopo che si sono conosciuti...
- Ma tu perché dici che il movente di fondo è di un certo genere? Cioè nel film, almeno apertamente, non c’è niente di tutto questo.
- Non c’è niente? E’ tutto una sinfonia dall’inizio alla fine. Guarda che certe cose non hanno niente di cinematografico nel senso stupido del termine, sono cose serie, della vita comune e col sesso inteso alla maniera dei film pornografici non c’è proprio nessun rapporto, per questo il film di Visconti è un capolavoro, perché ti fa capire certe cose come sono, senza etichette e preconcetti. Chi sa che cosa sono queste cose non ci ride mai sopra perché non c’è proprio niente da ridere.
- ... l’altro giorno parlavo con un insegnante che sta in un istituto dove c’è il convitto, lui parlava di un ragazzo di sedici anni che si era innamorato del compagno di banco. Senti, guarda, diceva certe cose... io l’avrei... che ne so, mi faceva rabbia, non lo so, diceva: “ma con tante belle ragazze che ci stanno in giro...” oppure diceva che quel ragazzo se ne stava imbambolato come un cretino, adesso quello magari si è rovinato la vita per una cosa del genere.
- Guarda che la gente che dice che questi problemi non esistono e che c’è piena tolleranza o cose del genere dice cose assurde... adesso non c’è più la galera ma il condizionamento sociale è fortissimo.
- Senti ma per il fatto che non sei sposato ti hanno mai guardato strano?
- Beh, ancora sono giovane ma qualche volta è successo, penso che con gli anni sarà più difficile... adesso poi non è più come prima, il matrimonio è meno un vincolo sociale obbligatorio, ma prima c’era poco da fare e poi moltissimi personaggi di un certo mondo erano sposati, non lo so, da Wilde a Gide a Bourroughs, addirittura Addinton Symmonds, uno di quelli che hanno scritto le cose più esaltate e più belle su certe cose era sposato e aveva quattro figlie. Tutta questa gente si è sposata... adesso, se l’alternativa è sposarsi o stare solo, può anche essere meglio sposarsi, però l’alternativa non dovrebbe essere questa...
- Va be’, ma di fatto non c’è niente da fare...
- Sì, in un certo senso è così, non lo so, se penso a me stesso penso che potrei anche sposarmi, così, per tranquillità, per avere una copertura o anche per comodità, ma credo che poi ci starei stretto, preferisco andare avanti come adesso, anzi il fatto stesso che posso parlare di queste cose mi sembra del tutto eccezionale e adesso come adesso mi basta... certe volte mi torna in mente che tanto, quando ti stuferai sarò solo un’altra volta.
- Ma guarda che magari non mi senti per qualche mese però io non sparisco, prima o poi mi rifaccio vivo.
- Sì, questo l’ho visto ma il tempo cambia tante cose.
- No, guarda, io non sono di quelli che dicono addio, io dico solo ciao, non mi piacciono i tagli senza ritorno, e poi non mi piace fare i conti sul futuro, tu pensa adesso, adesso io sto qua e tu pure... basta così.
- E’ già talmente tanto che non me lo sarei aspettato e dopo credo che riuscirei a campare anche solo di ricordi.
- Ah! Ancora?
- Niente! Non ho detto niente! Basta!
- Allora ci vediamo domani più o meno verso le tre.
- Perfetto.
- Allora Ciao.
- Ciao!...
- ... la sai una cosa?
- Quale?
- Senti che devi fare adesso?
- Niente.
- Mi richiami?
- Benissimo.
- A subito.
- Ciao.
- Pronto!
- ... allora come va?
- Mah! Non c’è male, e tu? Anzi senti, mi dici una cosa?
- Che cosa?
- Ma perché pensi che resterai solo? Io credo che pure se avrò il mio mondo... non credo che cambierebbe molto, cioè posiamo restare amici, mi dispiacerebbe rinunciarci... dai, e tu che pensi?
- Non lo so, non lo so veramente , senti, non mi far fare discorsi assurdi, non riesco a farli nemmeno con me stesso.
Credo che sia solo questione di tempo, ma poi è logico, cioè uno lo sa in partenza, l’assurdità di queste cose è tutta qui, non ci puoi fare niente e basta. Senti, se prima di parlare chiaro ero in crisi, adesso è peggio, io pensavo che sarebbe finito tutto, magari pure male, adesso certe volte vorrei che tu non ci fossi, cerca di capire, io devo aspettare che tu te ne vada e mi devo augurare per te e pure per me che succeda subito, siccome finisci per contare più di me io devo cercare di allontanarti perché penso che per te sia meglio.
- Adesso lasciamo perdere il futuro, quello che è meglio per me adesso lascialo decidere me, non mi mettere il problema del dopo, cioè, io adesso sto bene così, quello che succederà dopo non lo so.
- Ma guarda che adesso, a parte tutto questo, tu al futuro ci devi pensare.
- No, io adesso sto qui a discutere con te, per me significa passare una serata che mi sta bene. Basta! Perché, tu dici che è poco? Per me non è poco. Per adesso sto bene così... vedi, è questo che ti rovina, questo arzigogolare... cioè io lo so quello che pensi, ma a dopo non ci voglio pensare.
- ...
- ... Dai, che c’è?
- C’è che forse hai ragione... tu una serenità ce l’hai...
- Sta’ zitto va’, lasciamo perdere...
- Dobbiamo proprio lasciare perdere?
- E’ meglio! Però guarda non mi piace quando assumi un po’ questo atteggiamento vittimistico, mi sembra che tu rinunci a tutto in partenza...
- Va be’, ma che dovrei fare? Io la faccia di vivere allo scoperto non ce l’ho, sono riuscito a parlare con te proprio perché pensavo che te ne saresti andato subito, magari pure ricordandoti di me come una persona onesta e questo mi sarebbe bastato, adesso, così, mi metti in crisi, però vuol dire solo rinviare la soluzione che mi aspettavo subito, mettiamo che tu mi avessi risposto in un altro modo... hai capito quello che intendo dire... eh, cioè, se nei tuoi confronti ci fossero state altre possibilità ... mi avresti distrutto a pezzettini, avrei avuto dei problemi spaventosi e credo che all fine sarei scappato via, cioè avrei preferito stare solo...
- Mah! Io non ci credo molto.
- Beh! Non lo so, almeno penso, credo che sarei stato in crisi in modo assurdo.
- No! Non ti sarebbe sembrato vero, avresti cambiato vita... e basta!
- Mah! Questo non credo proprio, cioè non lo so...
- Tu ti crei tutti questi ragionamenti perché sei solo, capisci, se non fossi solo costruiresti ragionamenti completamente diversi. Adesso scusa se dico quello che penso, tu ti devi sentire buono per forza, tu sei uno come si deve e guarda, te lo dico io, gente come te ce n’è proprio poca, però tu devi giocare al martire, scusa, adesso non ti offendere, adesso tu con me parli come parli con te stesso, ma u non parli chiaro nemmeno con te stesso...
- Cioè?
- Dai che lo sai benissimo.
- Ma scusa, anche se fossi chiaro fino in fondo che cosa cambierebbe?
- Tu hai paura della gente, per questo sei una brava persona anche nel senso stupido del termine.
- Ma che dovrei fare? Io ci posso provare, ma tanto non serve a niente...
- Senti, se io domani vengo da te con un orecchino e pure a destra, tu poi esci con me per la strada, in tram... e in tutti gli altri posti?
- Bah! Ma tu pensi che la libertà sia questa?
- No! Ma se non c’è neanche questa, figurati come ci può essere il resto! Lo vedi che tu vivi nel mondo dei sogni Guarda che il mondo è quello che è...
- Va be’, ma se per una libertà di quel genere io poi ci devo perdere la faccia definitivamente è meglio che lascio perdere.
- Senti, ce l’hai una tuta da ginnastica?
- Sì.
- Allora domani andiamo a correre ai giardini dell’Eur, adesso non mi dirai che questo ti mette in crisi?
- Ma non è questo...
- Quello che posso fare io sarà poco, però, ... dai, allora... siamo d’accordo?
- Ma perché mi devi mettere in imbarazzo? Assurdo mi ci sento già da solo... io credo che dovrei stare solo, non voglio cambiare niente, sto bene così..., capiscimi, non ce l’ho con te ma mi sento strano...
- ... vuoi che domani non vengo?
- ... forse sarebbe meglio...
- ...Va be’... però dimmi quello che pesi veramente.
- Senti, lasciamo stare, tanto a stare da parte ci sono abituato.
- Va be’, vuoi che chiudo?
- ... fai come vuoi...
- ...
- Però parla!...
- ... ma sei di un egoismo spaventoso... io non conto proprio niente! Tu devi pensare che sei l’unica vittima... ma scusa... perché mi tratti in questo modo? Guarda che non piace per niente... ma tu vuoi veramente che non mi faccio più vedere?
- Ma no...
- E allora?
- Forse ci stanno delle cose che tu non capisci...
- ... Scusa, ma tu da me che ti aspetti?
- Niente.
- ... Ma scusa, perché devi rispondere con cose prefabbricate? Mica dici quello che pensi! ... Rispondi onestamente!
- Senti Marco, ti prego, non giocare con me, non facciamo giochi di parole che non servono a niente e poi, senti, i buoni sentimenti nei miei confronti mettili da parte, io non sono uno per esercitarci sopra i buoni sentimenti... tu adesso mi stai mettendo in mezzo in questo modo... ma perché?
- Perché mi dispiace che tu stia così.
. Sì, e con questo? Per me che cosa cambia?
- Scusa, per me non è tutto come prima, perché? Tu vuoi dire che per te non è cambiato niente?
- Ma no, ...che c’entra?
- Ma veramente vuoi che domani non vengo? ... Rispondi veramente.
- Ma perché me lo chiedi? Lo sai benissimo... E’ vero che mi metti in crisi, scusa se te lo dico, ma non mi era mai capitato di volere bene a qualcuno.
- E si sente!
- Mh! E poi, adesso che ti conosco meglio, non so come dire... è difficile... va be’, niente, tanto hai capito.
- Senti, quando ti chiedo di rispondere a qualche domanda importante non mi rispondere recitando una parte, senti, pure io ti voglio bene, io non voglio fare buone azioni, io in quest’ultimo periodo mi sento bene... non ho mai avuto un rapporto così profondo con un’altra persona... non lo so... per me è importante.
- Marco, scusami, certe volte mi dimentico che ci sei, cerca di capirmi, io non sono abituato a vivere in questo modo.
- Ma neanche io.
- ...
- Che ora abbiamo fatto?
- Sono quasi le quattro.
- C’hai sonno?.
- No... senti, sai che penso?
- No, che cosa?
- Penso che tutte queste cose le riscriverò tutte, mi piacerebbe farci un romanzo...
- Guarda che quando si scrive vuol dire che non si vive, è un po’ un brutto sogno, io adesso non scrivo più, l’ano scorso avevo scritto un sacco di cose.
- Cioè?
- Niente, conoscevo una ragazza, si chiamava Caterina, siamo stati un po’ insieme, io ho scritto pure un po’ di poesie, però così, forse non c’ho creduto neanche io, quelle cose lì, adesso mi sembrano assurde, cioè non le scrivevo per Caterina, le scrivevo e basta, ma non erano cose vere, erano poesie d’amore... però, io non ero innamorato, almeno credo.
- E poi non hai più scritto?
- No, adesso tutte queste cose mi sembrano molto lontane.
- Senti, la sai una cosa... ma tu ti senti personaggio?
- Cioè? Che c’è sotto?
- Eh... insomma, da quando ti conosco ho preso nota di tutto quello che hai detto e hai fatto, proprio cercando di essere il più fedele possibile alla memoria e di ricostruire tutto nei dettagli...
- Ah! Ma per esempio che cosa hai scritto?
- Tutto, tutto quello che mi colpisce, in qualche modo ti ho rubato qualche pezzetto di vita, scusa, se ti dà fastidio dimmelo e butto via tutto, guarda, mica mi dispiace... veramente...
- Adesso però queste cose me le devi fare leggere, così vedo se mi ci ritrovo... Oh! Ma lo sai che è quasi l’alba... tra due ore mi devo alzare.
- dai, adesso andiamo a dormire... che di fesserie ne abbiamo dette pure troppe.
- Allora ci vediamo domani alle tre, cioè, oggi, vengo io.
- Va bene...
- Allora buonanotte
- ...
- Beh! che fai, non chiudi?
- Perché non chiudi tu?
- E perché devo chiudere io? ... Va be’, va’, chiudo io, però prima mi devi dire una cosa... per te sono timido?
- E mo’ questa come t’è venuta in mente?
- Mah, così, me l’ha detto quella ragazza a Bracciano, però rispondi.
- Timido? Certe volte mi sembra che tu non abbia paura di niente...
- No! Ti sembra, ma forse è perché sono brutto...
- Brutto eh! Va be’ è meglio che lasciamo perdere...
- Ma no, dai, veramente, sono brutto, sono condannato a scontare un forte isolamento culturale, sei bello tu che piaci alle donne, ma a me non mi guardano proprio, come il brutto anatroccolo...
- Senti, ma ci sei o ci fai?
- E’ la mia anima di attore che torna a galla, mi piace recitare... beh! Che c’è? ... parla!
- Niente, sto pensando al recitare, mi viene in mente che...
- Zitto! Non lo voglio sapere.
- Va be’
- Non lo voglio sapere perché già lo so... non te la sei mica presa?
- Ah, ci mancherebbe pure... sei proprio grande e non solo, ... non so quasi che dire, ma mi sento protetto, al sicuro.
- Queste cose le so, me le hai già dette.
- Va be’, però io le penso veramente.
- Lo so, mi fa piacere che le pensi, ma io mi sento molto al di sotto di come mi giudichi tu.
- Mah! Dopo una nottata passata a parlare così io mi sento felice e il merito è solo tuo.
- Ma io non ho fatto niente...
- Tu non hai fatto niente? Beh allora vuol dire che io riesco ad essere felice di niente, ma è un niente così differente! Ci sei, e tu credi che ci possa essere qualcosa che conta di più?
- Zitto, va’, adesso vai a dormire veramente, oh! chiudo io, però... la sia una cosa... si sta bene a chiacchierare...
- A chi lo dici...
- Va be’ allora buonanotte... e grazie.
- Marco ti prego, non dire grazie.
- Va be’, buonanotte.
- Sta bene, ciao.
Non è facile stabilire i confini tra la speranza e la paura, oppure tra la fiducia e la paura, è anzi molto difficile esercitare seriamente la libertà di giudizio e di comportamento cui non si è abituati, la vita è una scienza i cui principi derivano facilmente dall’esperienza quando questa esperienza è confortata da un principio di autorità, come in tutte le scienze il difficile è aprire vie nuove, spingersi oltre le colonne d’Ercole, l’abitudine al principio di autorità spinge piuttosto a mettere in dubbio se stessi, ad avere paura del vuoto, del viaggio senza ritorno, delle ombre che l’inconscio spinge contro di noi. Marco e Angelo, anche se da diversi punti di vista avevano varcato i confini dell’autorità ma proprio per questo cominciavano nel loro intimo una dura lotta contro se stessi, ciascuno dei due nascondeva nell’anima contraddizioni, rimorsi, speranze incoscienti, volontà di amare e di essere amato, esigenze di libertà e di dominio. Angelo in qualche momento si rendeva conto che la gran parte della speranza che riponeva in Marco dipendeva dall’idea che Marco potesse un giorno rendersi conto di essere omosessuale, Marco aveva negato di essere omosessuale... ma in fondo perché allora non era mai andato via? Angelo ricercava mentalmente in tutti i discorsi detti e taciuti di Marco tutti e soli i segni che lo potessero confermare nella sua ipotesi. Angelo aveva letto che molti omosessuale accettano di essere tali solo dopo difficili lotte con se stessi, anche se non attribuiva troppa credibilità a tale ipotesi, pecche in se stesso non aveva mai ritrovato il minimo dubbio sulla sua sessualità, si faceva forte di questa possibilità. Se Marco si fosse riconosciuto omosessuale e si fosse poi allontanato da Angelo, Angelo avrebbe pur sempre agito in nome di una solidarietà che gli sembrava più vincolante di qualsiasi altra. Marco avrebbe potuto avere bisogno di tempo, Angelo avrebbe aspettato. Ma Angelo si chiedeva se sarebbe stato disposto a vedere andare via Marco... lo avrebbe voluto tutto per sè, e nonostante tutti si diceva che amare vuol dire rendere libero l’amato. Angelo rifletteva con terrore sul senso di solitudine e di abbandono che avrebbe provato nel momento di vedere Marco andare via e temeva che questo prima o poi sarebbe accaduto, per questo in fondo desiderava conoscere che cosa Marco si aspettasse dal futuro, Angelo tuttavia non comprendeva che esistono stati di coscienza veramente indeterminati, domande fondamentali su noi stessi alle quali possiamo non essere in grado di rispondere. Marco già da alcuni mesi aveva l’oscura certezza che sarebbe rimasto solo, che non avrebbe trascorso la sua vita lavorando per una famiglia e non avrebbe avuto una donna vicino, aveva bisogno di mitizzare le immagini femminili e di staccarle da un interesse che unisse amore e sesso, forse per questa ragione gli era stato più facile avvicinarsi ad Angelo, non ne aveva paura... Si chiedeva che differenza ci fosse tra ciò che provava per Angelo e le sensazioni di tipo sessuale che provava davanti alle riviste porno che qualche volta aveva comprato, così la sessualità vissuta a livello di fantasia autoerotica appariva sostanzialmente diversa dal rapporto affettuoso con Angelo, tuttavia la differenza tra queste due realtà che era stata sempre a favore della maggiore immediatezza della sessualità diretta cominciava a preoccupare Marco che, tra sublimazioni petrarchesche e autoerotismo non si sentiva realmente appagato e aveva cominciato a vivere una strana specie d’amore, apparentemente senza sesso e quindi senza turbamenti. Marco cominciava ad esser convinto che quella nuova specie di affetto fosse pur sempre capace di dare sicurezza e, in fondo, era tremendamente reale, era uno scambio affettivo a due, il primo e l’unico rapporto in cui Marco sentiva di essere amato per se stesso, in modo gratuito, senza che da lui si richiedesse nulla, lo sgomento di tutto ciò lo metteva in crisi e si diceva che avrebbe dovuto stare in guardia per non fare divenire quel rapporto troppo stretto, eppure se a un livello molto superficiale si diceva che avrebbe fatto meglio a scappare via, a livello più profondo cominciava a credere che restando vicino ad Angelo non sarebbe stato mai solo... avrebbe forse perso la sua libertà, ma la libertà della solitudine è angosciosa. Con questi problemi nell’anima si incontrarono il pomeriggio del giorno seguente, Marco chiese subito di leggere quello che Angelo aveva scritto su di lui, Angelo insistette nel chiedergli se voleva veramente, poi gli diede l’agenda e Marco cominciò a leggere a voce alta, con molta attenzione e chiedendo spiegazione di tutto, suggeriva modifiche, correzioni, Angelo era molto teso perché dopo le prime pagine il diario prendeva una piega diversa e Angelo non sapeva come Marco l’avrebbe presa, man mano che si andava avanti con la lettura sentiva aumentare la tensione, poi intervenne direttamente.
- Senti, Marco, aspetta, adesso prima che vai avanti, guarda, lì dentro c’è proprio tutto... non so se è il caso di continuare, non vorrei che ci rimanessi male... senti, per favore, pensaci bene...
- No, leggiamo, su.
Marco andò avanti nella lettura, ma non più a voce alta, Angelo aveva le mani gelate e cercava di seguire col pensiero la lettura, poi a un certo punto Marco chiuse l’agenda con una smorfia di disappunto.
- Basta, mi dà fastidio leggere queste cose.
Angelo era gelato e non sapeva che cosa dire, Marco si alzò, girò per la stanza, poi prese la borsa.
- Senti, io me ne vado...
Angelo non rispondeva ma avrebbe voluto piangere, rimase zitto parecchi secondi, Marco imboccò il corridoio, Angelo rimase in silenzio, poi sentì chiudere il portoncino, era in preda a una terribile crisi di disperazione, non passò un minuto che sentì suonare alla porta, corse ad aprire col cuore in gola, Marco era tornato indietro.
- Senti, adesso parliamo cinque minuti, però poi me ne vado perché voglio stare solo.
- Marco, ti prego, credimi io non volevo, hai ragione, ... senti, ti prego, perdonami, non volevo farti male...
- Senti, sta’ un po’ zitto! Io tra cinque minuti me ne vado, non è che non voglio stare qui, è che non voglio stare con nessuno, voglio stare solo, per favore, non dire niente.
Passarono cinque minuti di silenzio terribile, poi Marco si alzò, scambiarono un ultimo sguardo, avevano entrambi gli occhi umidi, quindi Marco andò via. Era pieno giorno, Angelo lo vide allontanarsi senza voltarsi dalla finestra che dava sulla strada. Marco si sentiva vuoto, come se dovesse ricominciare tutto da capo, camminava senza sentire il proprio peso, aveva solo voglia di camminare senza fermarsi, aveva letto che qualche volta Angelo si masturbava pensando a lui e non comprendeva come quell’affetto così rispettoso potesse mescolarsi con l’attrazione sessuale, se da un lato l’idea di essere desiderato sessualmente da un altro ragazzo induceva in lui delle reazioni dirette, queste reazioni erano poi sue nel senso più profondo del termine? Masturbarsi pensando a qualcuno vuol dire pur sempre amarlo molto, Marco sentiva che Angelo in qualche modo dipendeva da lui ma voleva restare solo, desiderava lasciare decantare dentro di sè quella massa di sensazioni forti che aveva provato in così poco tempo. Dal punto di vista di Angelo la cosa era motto diversa: sensi di colpa per aver offeso col proprio amore la persona amata, disperazione, solitudine, pianto, desiderio di non vivere più, volontà, ansia di essere abbracciato, di essere perdonato da Marco, di essere santificato quasi dal suo perdono. Angelo anche in questo abbandono sentiva che Marco gli voleva bene anche se non poteva continuare ad andare avanti così, quel distacco era forse più di qualsiasi altra azione di Marco un disperato atto d’amore capace di venare la disperazione di qualche traccia di speranza. Angelo viveva una ebbrezza di purezza sublime, si sentiva amato e amante fino alla disperazione, il loro rapporto era sospeso, forse per sempre negli atti esterni, ma sarebbe continuato senza limiti di tempo nelle zone più profonde del cuore. E’ terribile amare contro tutti e tutto e perfino contro se stessi, l’altro vive dentro di te e tu hai la certezza di vivere dentro di lui, forse è questa la comunione dei santi. Nello stesso giorno in cui si erano lasciati sentivano che non avrebbero potuto lasciarsi veramente. Marco aveva bisogno di una pausa, di una tregua con se stesso, rifletteva sui propri sentimenti e capiva di voler bene ad Angelo ma di non provare per lui attrazione sessuale, gli venne in mente che una vera reciprocità in quel rapporto non ci sarebbe mai stata, avrebbe dovuto essere estremamente chiaro con Angelo, anche a costo di fargli male, non voleva che Angelo coltivasse delle illusioni senza fondamento, gli pareva quasi di ingannarlo ed era convinto o meglio si sforzava di essere convinto che dopo quel chiarimento tra lui e Angelo tutto sarebbe finito. In sostanza Marco non trovava in sè una ragione per interrompere quel rapporto e riteneva il proprio disinteresse sessuale un motivo sufficiente per non essere amato. Tuttavia l’amore di Angelo verso Marco, più che sessualità immediata era un disperato tentativo di identificazione, una ricerca affannosa di aiuto da parte di un uomo che si sente morire giorno dopo giorno e vuole sopravvivere per bruciarsi tutto per colui che gli promette di offrigli la vita. Marco pensò che non ritelefonare sarebbe stato meglio, non per sè ma per Angelo, e che ad Angelo non avrebbe avuto nulla da dare se non speranze vuote e delusioni brucianti, gli voleva bene ma non avrebbe mai potuto renderlo felice, poi gli venne in mente che tutto quel ragionamento veniva solo dal tentativo di applicare al loro strano rapporto delle categorie, dei comportamenti stereotipi. Verso sera giunse alla conclusione che avrebbe detto tutto quello che aveva da dire. Telefonò.
- Ciao
- Come va?
- E tu?
- ...
- Senti, vengo domani così ti riporto un po’ di libri.
- I libri tienili, io li ho già letti...
- Va be’, allora che devo fare? Non devo venire?
- No, se vieni sono contento... grazie.
- Va be’, parliamo domani... be’? Che pensi?
- Niente, sono contento... e poi lo sapevo che ti avrei risentito...
- ... oggi pomeriggio ho passato dei momenti brutti...
- Lo capisco benissimo e guarda proprio mi dispiace...
- No, non lo capisci... mah! Forse di cose ne capisci pure troppe.
- ... Dio! non so che dire.
- Qui se c’è qualcuno che deve dire qualche cosa sono io... Mah! Basta! Vengo domani pomeriggio... Come stai?
- Bene nel senso più profondo.
- Allora ciao!
- Sta’ bene, buonanotte!
Angelo cominciò a pensare a ciò che Marco avrebbe potuto dirgli l’indomani, non riusciva ad evitare di proiettarsi troppo lontano. Il suo cervello cominciò a lavorare a vuoto, a formulare ipotesi. Che cosa Marco avrebbe potuto aspettarsi da lui? Se Marco gli avesse detto di essere omosessuale Angelo avrebbe compiuto il suo sogno, d’altra parte Angelo non si aspettava un discorso di questo genere, lo desiderava sì, ma non lo credeva possibile. In ogni caso Angelo non avrebbe rinunciato a dire a Marco che gli faceva piacere essere trattato come era trattato e meno ancora avrebbe rinunciato a dirgli che gli voleva bene. Dal lato suo Marco era deciso a dire come stessero le cose dal suo punto di vista. Il pomeriggio cominciò con una conversazione fatta di battute leggere, nessuno dei due aveva intenzione di affrontare discorsi seri. Non fecero riferimento alla telefonata della sera prima, tuttavia le cose non dette premevano per venire alla superficie, come sempre fu Marco a prendere l’iniziativa.
- ma tu ti sei mai chiesto perché ti telefono e ti vengo a trovare?
- Me lo sono chiesto e come.
- Certe volte ti chiamo perché non c’ho niente da fare.
- E allora?
- No, così, cioè, a me in fondo dei discorsi che faccio con te non me ne importa niente, li faccio per te... hai capito?
- E con questo?
- Cioè, io parlo di cose che non mi riguardano, cioè, lo so quello che provi tu per me, ma io per te non provo le stesse cose, mi fa piacere quando ci sei, però, quando non ci sei, per me è lo stesso...
- E allora?
- Allora penso che tu puoi dipendere da me e questo mi dà fastidio, mi sento legato e poi penso che ti puoi aspettare da me cose che non sono in grado di darti... insomma, vista da me ... è proprio un’altra cosa.
- Questo lo so, non è la prima volta che lo dici... guarda che non hai obblighi di nessun genere... sei completamente libero.
- Aspetta, io queste cose te le devo dire, però tu lo sai che quando si è amici di qualcuno c’è una certa identificazione, poi magari è tutto sbagliato, però uno ci si ritrova un po’... adesso non mi va di parlare di queste cose, non mi va di farmi capire... io lo so che faccio male quando faccio così ma non mi va di andare oltre, lo so che è una cattiveria, ma non mi va.
Angelo rimase in silenzio, Marco si accostò alla libreria, ne prese un libro, Le mani sporche, di Sartre.
- Questo l’ho letto anch’io, è bello.
- Io l’ho visto in televisione, tutti dicono che parla di Trozskij ma forse non parla solo di quello...
- Mh... beh... comunque era una manovra di alleggerimento.
- Ma perché si finisce sempre nei discorsi difficili? Io penso che è meglio parlare di cose stupide.
- Quando tu sai che con una persona ci puoi parlare di cose serie, allora ci puoi pure parlare di stupidaggini perché tanto lo sa che è lo stesso.
- Bello! Mi piace. Senti, te la posso dire una cosa?
- Dai!
- Certe volte c’ho l’impressione che ridi meno di prima e che non fai mai pazzie, che non ti lasci andare mai, prima qualche volta lo facevi adesso invece tendi di più al cupo.
- Ma che dovrei fare?
- Trovare un entusiasmo vero... mi piacerebbe vederti contento veramente, ma ho l’impressione che c’è qualche cosa che non va.
- Ma non è cambiato niente.
- Nelle cose no!
- ...
- Dai, cambiamo discorso che è meglio.
- Senti, ma tu dormi sempre dalla parte del cuore?
- Fammi pensare da che parte è la sponda del letto.
- Ma è una metafora, è un pezzo di una canzone.
- Beh! Allora sì, certamente... e tu?
- Mah!... Ma che intendi per fare pazzie?
Marco proseguì il dialogo in modo evasivo, citava frasi di film, faceva battute non pertinenti, impediva in ogni modo ad Angelo di parlare, lo scoraggiava. Angelo dal canto suo provava talvolta una situazione di disagio, era la prima volta che la presenza di Marco lo metteva in difficoltà con se stesso, non si trattava di fastidio, tuttavia avrebbe voluto in certi momenti non esserci, per la prima volta in un momento in cui Marco gli era vicino provò il desiderio di non essere lì, avrebbe preferito rintanarsi con le sue cose, in un calore chiuso e riflesso tutto su se stesso, per la prima volta viveva realmente a livello emotivo il distacco da Marco, pensava tra sè: “Dio! Come finisce un amore! Adesso sono assolutamente solo, basta solo un istante per capire che non ami più, eppure il mio forse non era nemmeno amore, chi ama non dovrebbe smettere di amare per il solo fatto di essere abbandonato, in fondo il mio amore non era che una montatura egoistica basata sull’affetto che Marco ha avuto per me... era lui in fondo a reggere tutto”. Angelo era abituato a vivere solo, forse avrebbe continuato a vivere sognando di Marco a occhi aperti, come altri sognano di Dio, credeva comunque che avrebbe dovuto trovare qualcosa da fare per dare un senso alla vita: farsi prete, oppure scrivere un romanzo in cui l’omosessualità fosse descritta con tono sereni, senza angosce, un romanzo di cui avrebbe voluto essere protagonista, una storia d’amore in cui l’amore è reciproco, totale, con o senza sesso, ma fino alla morte e oltre la morte, una storia d’amore che fosse anche una storia di lotte comuni, di sofferenze comuni e di felicità comuni, o forse avrebbe dovuto studiare, lavorare avrebbe dovuto divenire uno che conta per poter predicare un verbo molto sottile e ambiguo, al cui fondo fosse sempre il proprio diritto alla vita, senza scelte tra apparenza e emarginazione. Certo idee velleitarie gli si agitavano per la mente, continuava a camminare, ma quella serata per lui era già finita, Marco continuava a parlare, Angelo continuava a rispondere, Marco interpretava le parole di Angelo perché pensava che Angelo stesse soffrendo, ma Angelo non era più lì, era già molto lontano. Come è il panico della morte così è quello del distacco, si teme ma poi si può solo accettare, come morire non dipende da noi, così non dipende da noi continuare ad mare, sono cose che semplicemente accadono, senza vera angoscia, un salto e sei fuori, ad Angelo tornava in mente Alberto Finzi Contini del romanzo di Bassani, tra Alberto e Malnate c’era un po’ un rapporto come quello tra lui e Marco , che cosa lo aveva salvato dal disfacimento più terribile? ... Solo la morte di entrambi che aveva tolto a ciascuno la possibilità di vivere una vita propria. Quando l’amore finisce, quando cioè non si ama più, terminano le sofferenze e ricomincia la solitudine che non è angoscia perché è senza attese, anche la sessualità si spegne quando finisce l’amore, si vive in un limbo vuoto che dà spazio al sonno e alla coscienza, che apre la mente a una consapevolezza di sè come creatore, come consolatore, come autonoma inesauribile fonte di pensieri, in quei momenti Angelo ripensava ai suoi sogni... fin dove si era arrampicato il suo spirito, fino a quale rifiuto di pensare si era spinto per inseguire una speranza! La parola amore gli sembrava una parola senza senso, per gli altri forse l’amore esisteva, per lui no... eppure in qualche modo aveva amato ed era stato amato, come avrebbe voluto essere in grado di amare senza speranza, allora si sarebbe sentito perfetto, e non era l’idea che Marco se ne stesse andando per la sua strada a sconvolgerlo, ma l’idea di non riuscire ad amarlo ugualmente. Quello di Marco non era un tradimento e Angelo lo sapeva, un altro mondo, con altre speranze e altri amori stava portandogli via Marco, forse una ragazza, forse solo un desiderio di libertà, in tutto questo, che pure in qualche modo gli toglieva la speranza non c’era odio nè perfidia, era il compiersi di una realtà che Angelo non conosceva ma che in qualche modo era fatta di desiderio, d’amore, di angoscia e di speranza, di senso di incompletezza e di solitudine, Angelo desiderava fortemente che Marco, andandosene per la sua strada potesse essere felice, era questo forse l’unico modo assolutamente disinteressato di amarlo, per questo Angelo era felice di non provare gelosie. D’un tratto venne in mente ad Angelo che forse quel distacco, per Marco, non fosse o potesse non essere del tutto sena rimpianti e senza problemi, questo pensiero bastò a farlo tornare alla conversazione, voleva che Marco sapesse che avrebbe continuato a volergli bene e che prendeva quel distacco con serenità.
- Senti Marco, adesso me la fai dire una cosa?
- Dai, su, ... che c’è ... però non facciamo troppi discorsi.
- Devo stare zitto, va be’, però accidenti come è difficile parlare...
- Parla, parla...
- Io lo sento che stai andando via ma per me resti sempre un dio.
- Sono contento che lo capisci, penso che non ti telefonerò più...
- Va bene anche così.
Seguì una lunghissima pausa.
- ... Però senti, se poi ti richiamo tu mi rispondi?
- Certo che ti rispondo!
Angelo si sentì gelare da quello strano modo di dire addio, erano all’ultima fermata, Marco non sembrava aspettare l’autobus, più avanti c’era un largo con delle panchine, andarono a sedersi, Angelo si chiedeva se quello fosse veramente un addio, Marco che pure aveva voluto quell’addio si chiedeva se non stesse recitando una parte e quale fosse la reale consistenza della sua volontà di andare via, voleva una pausa perché un po’ aveva paura, ma quella paura era anche la ricerca di una conferma, all’atto del distacco Marco sentiva quanto Angelo gli volesse bene e quanto questo fosse importante per lui, sapeva che Angelo avrebbe continuato ad amarlo, non voleva ingannarlo e non voleva deluderlo con la sua libertà, voleva che Angelo non lo mitizzasse, non finisse per credere in lui ciecamente, voleva che sapesse che poteva andare via, che poteva andare per la sua strada, forse non oggi, forse tra un anno, ma voleva anche metterlo alla prova per vedere se Angelo avrebbe saputo amarlo anche così. Nella volontà di fuga di Marco c’era pur sempre una volontà di lasciarsi dietro una scia per riconoscere i suoi passi e per non perdere la via del ritorno. E poi chi se ne vuole andare se ne va e basta, non lo dice rima, non si sente obbligato a dare spiegazioni, chi invece si ferma a dire addio sente che c’è qualcosa da lacerare. Angelo che pochi minuti prima aveva provato il senso del distacco si sentiva ansioso, temeva di poter deludere; in un addio come quello, Angelo rivedeva il suo Marco, vedeva che Marco era incerto, diviso tra sparire e restare. Marco capì che il momento era importante, si fermò a parlare, a dire cose belle di Angelo, ma per Angelo quelle parole contavano poco perché erano tutte al passato, solo l’ipotesi di risentirsi “dopo” era per il futuro, solo quello contava veramente. L’addio non era più un addio, era già una attesa, l’attesa di un ritorno, anche quella prova andava superata ma era piccola cosa, forse un mese, forse un anno, Marco non lo aveva mai abbandonato, perché avrebbe dovuto farlo allora?
FINE

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