bel blog e begli interventi. Mi chiamo Andrea, 24 anni, centro Italia. Sul coming out vi racconto la mia esperienza. I miei non sapevano niente di me fino a 19 anni anche se io a quell’età avevo fatto le mie esperienze e avevo un ragazzo (della mia stessa età), lo stesso che ho anche ora e che penso sarà per me il compagno della vita, perché non credo che sapremmo vivere l’uno senza l’altro (Ciao Andrea!) [si chiama come me!]. Ci eravamo conosciuti a scuola, lui non era mio compagno di classe. Ci eravamo conosciuti a una gita scolastica. Lui era timidissimo, quasi più di me, che è tutto dire. Vi risparmio la trafila: esitazioni, incertezze, è gay o non è gay, ecc. ecc., tutto durante la gita, poi un giorno mi prende la mano, io sento come un brivido, ci guardiamo negli occhi... E’ cominciata così. Il 15 Aprile 2002, l’ultima notte della gita scolastica, abbiamo dormito insieme (avevamo camere doppie), non eravamo molto convinti, né lui né io, l’idea ci attirava molto ma io pensavo che dopo lo avrei perso, non lo so, una cosa del genere, come se il sesso potesse rovinare tutto tra noi, lui invece, che non si è mai considerato un bel ragazzo, aveva paura di potermi deludere, e invece siamo stati benissimo, abbracciati stretti sotto le coperte oramai completamente abbandonali uno nelle braccia dell’altro. Penso che sappiate di che cosa sto parlando, non è nemmeno una cosa propriamente di sesso, ma di tenerezza, una cosa molto dolce. Dopo abbiamo avuto un po’ di problemi a dire che una cosa del genere non poteva rimanere una cosa unica, ma ne abbiamo parlato... e non c’è stato nessun imbarazzo. Quando siamo tornati a casa siamo stati tutti e due malissimo, era stata la prima esperienza sia per me che per lui e adesso stavamo di nuovo separati. Dovevamo trovare un modo per vederci e per stare insieme, non ne potevamo fare a meno. Abbiamo cominciato a studiare insieme ma stavamo in classi diverse e la cosa veniva male. Ci vedevamo il pomeriggio una volta da lui e una volta da me, era una cosa bella, ma al massimo ci poteva scappare una carezza, ma potevano entrare persone e non c’era nemmeno un minimo di libertà e poi a stare vicini, anche solo a toccarci la mano, ci veniva l’erezione, tra noi non era un problema, anzi, ma quando dovevamo uscire dalla stanza era un problema eccome. Abbiamo passato così quasi un mese, ci vedevamo tutti giorni ma non ci potevamo mai abbracciare, figuratevi fare l’amore. Ma noi lo volevamo fare. Credo che mi possiate capire, quando sei stato a letto col ragazzo che ami e poi non puoi fare più l’amore con lui è una tortura, vabbe’ per la cosa fisiologica ti masturbi pensando a lui, però ti manca da matti, voglio dire che la fantasia può bastare quando con un ragazzo non ci sei stato veramente, ma noi che cosa vuol dire abbracciarsi stretti sotto le coperte lo sapevamo. Cioè quella di fare l’amore diventava un’esigenza assoluta, pensavamo solo a quello, un sistema lo dovevamo trovare. Cose complicate come andare in albergo non erano pensabili perché dove viviamo noi è una città piccola ed è pericoloso fare una cosa del genere, andare in un’altra città sarebbe stato troppo complicato... unica soluzione possibile ce ne andavamo in una casetta che i miei avevano al paese (non posso dire quale), che era la casetta dei miei bisnonni. Vicino c’è un grande bosco e la scusa della passeggiata naturalistica era in fondo plausibile. Si poteva fare al massimo una volta alla settimana, veramente troppo poco per due ragazzi come noi che erano (e sono) inseparabili, ma siamo andati avanti così per due mesi ma era complicatissimo, viaggio in macchina di quasi 100 Km, casa gelida, necessità di portarsi tutto cucinato, perché la domenica lì non c’è niente. Una notte insieme sì, e poi alle quattro del pomeriggio tutto il trambusto del ritorno. Allora a lui viene l’alzata di ingegno di dire ai nostri come stanno esattamente le cose. Io coi miei in effetti non avevo mai avuto particolari problemi e pensavo che l’avrebbero presa bene. Lui era molto più esitante. Però avevamo 19 anni, un po’ incoscienti eravamo e la bravata l’abbiamo fatta. I miei all’apparenza non hanno reagito molto male... un po’ freddini però, non mi hanno abbracciato, niente di tutto questo, ma almeno all’apparenza sembrava che non fosse poi un disastro. Ad Andrea invece le cose sono andate malissimo. In casa gelo totale, i genitori lo volevano mandare dallo psicologo, lui non ha voluto ed è crollato il mondo. Era disperato, quando ci vedevamo piangeva in continuazione di rabbia e quando doveva tornare a casa per lui era un’autentica tortura. A un certo punto io ne ho parlato con i miei perché c’è la stanza di mio fratello grande, e Andrea, secondo me, si sarebbe potuto sistemare lì. Probabilmente io allora ero terribilmente ingenuo. I miei non ne hanno voluto assolutamente sapere di prendere Andrea in casa e per me è cominciato l’inferno. Andrea era esasperato, usciva da casa sua la mattina prestissimo e tornava a notte alta per non incontrare il padre e la madre, a casa mia non ci veniva perché si sentiva rifiutato pure dai miei e passava la giornata in giro al freddo come un vagabondo. Io gli portavo da mangiare e lui passava la giornata così. A scuola stavano arrivando gli esami, lui non faceva più nulla, era convinto che lo avrebbero bocciato, però a scuola ci andava, almeno la mattina stava al chiuso. Scuola era aperta fino alle 18.00 e noi il nostro tempo lo passavamo lì, ma c’era gente, un sacco di casotto, non ti puoi mettere da una parte, sembra strano, e poi ti devi difendere pure a scuola. Sono stati mesi terribili. Poi abbiamo fatto gli esami, la commissione era di manica larga ed è andato tutto bene. Andrea aveva fatto domanda per trovare un lavoro e la domanda l’avevo fatta pure io anche se non pensavo affatto di rinunciare all’università, poi abbiamo trovato su Internet che ci avevano chiamato dal primo Agosto vicino Bologna. Andrea ci sarebbe andato comunque perché non poteva sopravvivere a casa sua, anche a costo di rinunciare a proseguire gli studi. Io non sapevo che fare, è stata la prima volta che mi sono trovato in grossissima difficoltà con me stesso. Mi dicevo che, se amavo veramente Andrea, non potevo farlo partire da solo, e io lo amavo veramente. I miei nel frattempo il boccone amaro lo avevano digerito e mi avevano trovato un posto dove potevo stare (un mini appartamento) in una città dell’Italia centrale dove avrei studiato Ingegneria. In fondo era il nostro progetto da sempre, perché dove sto io gli studi di Ingegneria si possono fare solo andando fuori sede, però non nego di avere pensato che i miei in quel modo mi avrebbero allontanato, non da loro, ma dalla nostra cittadina e soprattutto dai pettegolezzi dei genitori di Andrea. Allora sono andato dai miei e ho detto: “Io Andrea non lo lascio... me ne vado a lavorare con lui.” Mio padre è rimasto un po’ perplesso poi mi ha detto: “Noi ti possiamo dare al massimo 800 euro al mese e ti paghiamo l’appartamentino... poi con chi ci stai a noi non ce lo devi dire...”. E mio padre mi ha abbracciato, poi mi hanno detto di fare venire Andrea a casa, lui non ci voleva venire ma poi è venuto e mio padre gli ha detto: “Lo so che vi volete bene... ma dovete essere prudenti... lì più di qui...”. Ecco questo è tutto. Andrea coi suoi genitori non ha avuto più rapporti e noi adesso viviamo da soli in un piccolissimo appartamento per studenti in una piccola città dell’Italia centrale. L’anno venturo dovremmo prendere la laurea specialistica. Non abbiamo fatto solo l’amore, abbiamo pure studiato come matti. Dire famiglia non significa niente, bisogna vedere che cosa vuol dire in concreto ma io e Andrea ci sentiamo veramente una famiglia.
giovedì 27 dicembre 2007
STORIA DI DUE COMING OUT
Ciao ragazzi,
bel blog e begli interventi. Mi chiamo Andrea, 24 anni, centro Italia. Sul coming out vi racconto la mia esperienza. I miei non sapevano niente di me fino a 19 anni anche se io a quell’età avevo fatto le mie esperienze e avevo un ragazzo (della mia stessa età), lo stesso che ho anche ora e che penso sarà per me il compagno della vita, perché non credo che sapremmo vivere l’uno senza l’altro (Ciao Andrea!) [si chiama come me!]. Ci eravamo conosciuti a scuola, lui non era mio compagno di classe. Ci eravamo conosciuti a una gita scolastica. Lui era timidissimo, quasi più di me, che è tutto dire. Vi risparmio la trafila: esitazioni, incertezze, è gay o non è gay, ecc. ecc., tutto durante la gita, poi un giorno mi prende la mano, io sento come un brivido, ci guardiamo negli occhi... E’ cominciata così. Il 15 Aprile 2002, l’ultima notte della gita scolastica, abbiamo dormito insieme (avevamo camere doppie), non eravamo molto convinti, né lui né io, l’idea ci attirava molto ma io pensavo che dopo lo avrei perso, non lo so, una cosa del genere, come se il sesso potesse rovinare tutto tra noi, lui invece, che non si è mai considerato un bel ragazzo, aveva paura di potermi deludere, e invece siamo stati benissimo, abbracciati stretti sotto le coperte oramai completamente abbandonali uno nelle braccia dell’altro. Penso che sappiate di che cosa sto parlando, non è nemmeno una cosa propriamente di sesso, ma di tenerezza, una cosa molto dolce. Dopo abbiamo avuto un po’ di problemi a dire che una cosa del genere non poteva rimanere una cosa unica, ma ne abbiamo parlato... e non c’è stato nessun imbarazzo. Quando siamo tornati a casa siamo stati tutti e due malissimo, era stata la prima esperienza sia per me che per lui e adesso stavamo di nuovo separati. Dovevamo trovare un modo per vederci e per stare insieme, non ne potevamo fare a meno. Abbiamo cominciato a studiare insieme ma stavamo in classi diverse e la cosa veniva male. Ci vedevamo il pomeriggio una volta da lui e una volta da me, era una cosa bella, ma al massimo ci poteva scappare una carezza, ma potevano entrare persone e non c’era nemmeno un minimo di libertà e poi a stare vicini, anche solo a toccarci la mano, ci veniva l’erezione, tra noi non era un problema, anzi, ma quando dovevamo uscire dalla stanza era un problema eccome. Abbiamo passato così quasi un mese, ci vedevamo tutti giorni ma non ci potevamo mai abbracciare, figuratevi fare l’amore. Ma noi lo volevamo fare. Credo che mi possiate capire, quando sei stato a letto col ragazzo che ami e poi non puoi fare più l’amore con lui è una tortura, vabbe’ per la cosa fisiologica ti masturbi pensando a lui, però ti manca da matti, voglio dire che la fantasia può bastare quando con un ragazzo non ci sei stato veramente, ma noi che cosa vuol dire abbracciarsi stretti sotto le coperte lo sapevamo. Cioè quella di fare l’amore diventava un’esigenza assoluta, pensavamo solo a quello, un sistema lo dovevamo trovare. Cose complicate come andare in albergo non erano pensabili perché dove viviamo noi è una città piccola ed è pericoloso fare una cosa del genere, andare in un’altra città sarebbe stato troppo complicato... unica soluzione possibile ce ne andavamo in una casetta che i miei avevano al paese (non posso dire quale), che era la casetta dei miei bisnonni. Vicino c’è un grande bosco e la scusa della passeggiata naturalistica era in fondo plausibile. Si poteva fare al massimo una volta alla settimana, veramente troppo poco per due ragazzi come noi che erano (e sono) inseparabili, ma siamo andati avanti così per due mesi ma era complicatissimo, viaggio in macchina di quasi 100 Km, casa gelida, necessità di portarsi tutto cucinato, perché la domenica lì non c’è niente. Una notte insieme sì, e poi alle quattro del pomeriggio tutto il trambusto del ritorno. Allora a lui viene l’alzata di ingegno di dire ai nostri come stanno esattamente le cose. Io coi miei in effetti non avevo mai avuto particolari problemi e pensavo che l’avrebbero presa bene. Lui era molto più esitante. Però avevamo 19 anni, un po’ incoscienti eravamo e la bravata l’abbiamo fatta. I miei all’apparenza non hanno reagito molto male... un po’ freddini però, non mi hanno abbracciato, niente di tutto questo, ma almeno all’apparenza sembrava che non fosse poi un disastro. Ad Andrea invece le cose sono andate malissimo. In casa gelo totale, i genitori lo volevano mandare dallo psicologo, lui non ha voluto ed è crollato il mondo. Era disperato, quando ci vedevamo piangeva in continuazione di rabbia e quando doveva tornare a casa per lui era un’autentica tortura. A un certo punto io ne ho parlato con i miei perché c’è la stanza di mio fratello grande, e Andrea, secondo me, si sarebbe potuto sistemare lì. Probabilmente io allora ero terribilmente ingenuo. I miei non ne hanno voluto assolutamente sapere di prendere Andrea in casa e per me è cominciato l’inferno. Andrea era esasperato, usciva da casa sua la mattina prestissimo e tornava a notte alta per non incontrare il padre e la madre, a casa mia non ci veniva perché si sentiva rifiutato pure dai miei e passava la giornata in giro al freddo come un vagabondo. Io gli portavo da mangiare e lui passava la giornata così. A scuola stavano arrivando gli esami, lui non faceva più nulla, era convinto che lo avrebbero bocciato, però a scuola ci andava, almeno la mattina stava al chiuso. Scuola era aperta fino alle 18.00 e noi il nostro tempo lo passavamo lì, ma c’era gente, un sacco di casotto, non ti puoi mettere da una parte, sembra strano, e poi ti devi difendere pure a scuola. Sono stati mesi terribili. Poi abbiamo fatto gli esami, la commissione era di manica larga ed è andato tutto bene. Andrea aveva fatto domanda per trovare un lavoro e la domanda l’avevo fatta pure io anche se non pensavo affatto di rinunciare all’università, poi abbiamo trovato su Internet che ci avevano chiamato dal primo Agosto vicino Bologna. Andrea ci sarebbe andato comunque perché non poteva sopravvivere a casa sua, anche a costo di rinunciare a proseguire gli studi. Io non sapevo che fare, è stata la prima volta che mi sono trovato in grossissima difficoltà con me stesso. Mi dicevo che, se amavo veramente Andrea, non potevo farlo partire da solo, e io lo amavo veramente. I miei nel frattempo il boccone amaro lo avevano digerito e mi avevano trovato un posto dove potevo stare (un mini appartamento) in una città dell’Italia centrale dove avrei studiato Ingegneria. In fondo era il nostro progetto da sempre, perché dove sto io gli studi di Ingegneria si possono fare solo andando fuori sede, però non nego di avere pensato che i miei in quel modo mi avrebbero allontanato, non da loro, ma dalla nostra cittadina e soprattutto dai pettegolezzi dei genitori di Andrea. Allora sono andato dai miei e ho detto: “Io Andrea non lo lascio... me ne vado a lavorare con lui.” Mio padre è rimasto un po’ perplesso poi mi ha detto: “Noi ti possiamo dare al massimo 800 euro al mese e ti paghiamo l’appartamentino... poi con chi ci stai a noi non ce lo devi dire...”. E mio padre mi ha abbracciato, poi mi hanno detto di fare venire Andrea a casa, lui non ci voleva venire ma poi è venuto e mio padre gli ha detto: “Lo so che vi volete bene... ma dovete essere prudenti... lì più di qui...”. Ecco questo è tutto. Andrea coi suoi genitori non ha avuto più rapporti e noi adesso viviamo da soli in un piccolissimo appartamento per studenti in una piccola città dell’Italia centrale. L’anno venturo dovremmo prendere la laurea specialistica. Non abbiamo fatto solo l’amore, abbiamo pure studiato come matti. Dire famiglia non significa niente, bisogna vedere che cosa vuol dire in concreto ma io e Andrea ci sentiamo veramente una famiglia.
bel blog e begli interventi. Mi chiamo Andrea, 24 anni, centro Italia. Sul coming out vi racconto la mia esperienza. I miei non sapevano niente di me fino a 19 anni anche se io a quell’età avevo fatto le mie esperienze e avevo un ragazzo (della mia stessa età), lo stesso che ho anche ora e che penso sarà per me il compagno della vita, perché non credo che sapremmo vivere l’uno senza l’altro (Ciao Andrea!) [si chiama come me!]. Ci eravamo conosciuti a scuola, lui non era mio compagno di classe. Ci eravamo conosciuti a una gita scolastica. Lui era timidissimo, quasi più di me, che è tutto dire. Vi risparmio la trafila: esitazioni, incertezze, è gay o non è gay, ecc. ecc., tutto durante la gita, poi un giorno mi prende la mano, io sento come un brivido, ci guardiamo negli occhi... E’ cominciata così. Il 15 Aprile 2002, l’ultima notte della gita scolastica, abbiamo dormito insieme (avevamo camere doppie), non eravamo molto convinti, né lui né io, l’idea ci attirava molto ma io pensavo che dopo lo avrei perso, non lo so, una cosa del genere, come se il sesso potesse rovinare tutto tra noi, lui invece, che non si è mai considerato un bel ragazzo, aveva paura di potermi deludere, e invece siamo stati benissimo, abbracciati stretti sotto le coperte oramai completamente abbandonali uno nelle braccia dell’altro. Penso che sappiate di che cosa sto parlando, non è nemmeno una cosa propriamente di sesso, ma di tenerezza, una cosa molto dolce. Dopo abbiamo avuto un po’ di problemi a dire che una cosa del genere non poteva rimanere una cosa unica, ma ne abbiamo parlato... e non c’è stato nessun imbarazzo. Quando siamo tornati a casa siamo stati tutti e due malissimo, era stata la prima esperienza sia per me che per lui e adesso stavamo di nuovo separati. Dovevamo trovare un modo per vederci e per stare insieme, non ne potevamo fare a meno. Abbiamo cominciato a studiare insieme ma stavamo in classi diverse e la cosa veniva male. Ci vedevamo il pomeriggio una volta da lui e una volta da me, era una cosa bella, ma al massimo ci poteva scappare una carezza, ma potevano entrare persone e non c’era nemmeno un minimo di libertà e poi a stare vicini, anche solo a toccarci la mano, ci veniva l’erezione, tra noi non era un problema, anzi, ma quando dovevamo uscire dalla stanza era un problema eccome. Abbiamo passato così quasi un mese, ci vedevamo tutti giorni ma non ci potevamo mai abbracciare, figuratevi fare l’amore. Ma noi lo volevamo fare. Credo che mi possiate capire, quando sei stato a letto col ragazzo che ami e poi non puoi fare più l’amore con lui è una tortura, vabbe’ per la cosa fisiologica ti masturbi pensando a lui, però ti manca da matti, voglio dire che la fantasia può bastare quando con un ragazzo non ci sei stato veramente, ma noi che cosa vuol dire abbracciarsi stretti sotto le coperte lo sapevamo. Cioè quella di fare l’amore diventava un’esigenza assoluta, pensavamo solo a quello, un sistema lo dovevamo trovare. Cose complicate come andare in albergo non erano pensabili perché dove viviamo noi è una città piccola ed è pericoloso fare una cosa del genere, andare in un’altra città sarebbe stato troppo complicato... unica soluzione possibile ce ne andavamo in una casetta che i miei avevano al paese (non posso dire quale), che era la casetta dei miei bisnonni. Vicino c’è un grande bosco e la scusa della passeggiata naturalistica era in fondo plausibile. Si poteva fare al massimo una volta alla settimana, veramente troppo poco per due ragazzi come noi che erano (e sono) inseparabili, ma siamo andati avanti così per due mesi ma era complicatissimo, viaggio in macchina di quasi 100 Km, casa gelida, necessità di portarsi tutto cucinato, perché la domenica lì non c’è niente. Una notte insieme sì, e poi alle quattro del pomeriggio tutto il trambusto del ritorno. Allora a lui viene l’alzata di ingegno di dire ai nostri come stanno esattamente le cose. Io coi miei in effetti non avevo mai avuto particolari problemi e pensavo che l’avrebbero presa bene. Lui era molto più esitante. Però avevamo 19 anni, un po’ incoscienti eravamo e la bravata l’abbiamo fatta. I miei all’apparenza non hanno reagito molto male... un po’ freddini però, non mi hanno abbracciato, niente di tutto questo, ma almeno all’apparenza sembrava che non fosse poi un disastro. Ad Andrea invece le cose sono andate malissimo. In casa gelo totale, i genitori lo volevano mandare dallo psicologo, lui non ha voluto ed è crollato il mondo. Era disperato, quando ci vedevamo piangeva in continuazione di rabbia e quando doveva tornare a casa per lui era un’autentica tortura. A un certo punto io ne ho parlato con i miei perché c’è la stanza di mio fratello grande, e Andrea, secondo me, si sarebbe potuto sistemare lì. Probabilmente io allora ero terribilmente ingenuo. I miei non ne hanno voluto assolutamente sapere di prendere Andrea in casa e per me è cominciato l’inferno. Andrea era esasperato, usciva da casa sua la mattina prestissimo e tornava a notte alta per non incontrare il padre e la madre, a casa mia non ci veniva perché si sentiva rifiutato pure dai miei e passava la giornata in giro al freddo come un vagabondo. Io gli portavo da mangiare e lui passava la giornata così. A scuola stavano arrivando gli esami, lui non faceva più nulla, era convinto che lo avrebbero bocciato, però a scuola ci andava, almeno la mattina stava al chiuso. Scuola era aperta fino alle 18.00 e noi il nostro tempo lo passavamo lì, ma c’era gente, un sacco di casotto, non ti puoi mettere da una parte, sembra strano, e poi ti devi difendere pure a scuola. Sono stati mesi terribili. Poi abbiamo fatto gli esami, la commissione era di manica larga ed è andato tutto bene. Andrea aveva fatto domanda per trovare un lavoro e la domanda l’avevo fatta pure io anche se non pensavo affatto di rinunciare all’università, poi abbiamo trovato su Internet che ci avevano chiamato dal primo Agosto vicino Bologna. Andrea ci sarebbe andato comunque perché non poteva sopravvivere a casa sua, anche a costo di rinunciare a proseguire gli studi. Io non sapevo che fare, è stata la prima volta che mi sono trovato in grossissima difficoltà con me stesso. Mi dicevo che, se amavo veramente Andrea, non potevo farlo partire da solo, e io lo amavo veramente. I miei nel frattempo il boccone amaro lo avevano digerito e mi avevano trovato un posto dove potevo stare (un mini appartamento) in una città dell’Italia centrale dove avrei studiato Ingegneria. In fondo era il nostro progetto da sempre, perché dove sto io gli studi di Ingegneria si possono fare solo andando fuori sede, però non nego di avere pensato che i miei in quel modo mi avrebbero allontanato, non da loro, ma dalla nostra cittadina e soprattutto dai pettegolezzi dei genitori di Andrea. Allora sono andato dai miei e ho detto: “Io Andrea non lo lascio... me ne vado a lavorare con lui.” Mio padre è rimasto un po’ perplesso poi mi ha detto: “Noi ti possiamo dare al massimo 800 euro al mese e ti paghiamo l’appartamentino... poi con chi ci stai a noi non ce lo devi dire...”. E mio padre mi ha abbracciato, poi mi hanno detto di fare venire Andrea a casa, lui non ci voleva venire ma poi è venuto e mio padre gli ha detto: “Lo so che vi volete bene... ma dovete essere prudenti... lì più di qui...”. Ecco questo è tutto. Andrea coi suoi genitori non ha avuto più rapporti e noi adesso viviamo da soli in un piccolissimo appartamento per studenti in una piccola città dell’Italia centrale. L’anno venturo dovremmo prendere la laurea specialistica. Non abbiamo fatto solo l’amore, abbiamo pure studiato come matti. Dire famiglia non significa niente, bisogna vedere che cosa vuol dire in concreto ma io e Andrea ci sentiamo veramente una famiglia.
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