domenica 2 dicembre 2007

GAY E FEDE

Ciao Davide,
leggendo il tuo commento confesso di essermi sentito un po’ smarrito, come di fronte a una realtà complessa che non conosco se non dal di fuori o almeno della quale non riesco ad identificare la reale portata. In questi blog ho sempre rigorosamente evitato toni polemici e cercherò di farlo anche questa volta, perché il mio discorso non è contro nessuno ma solo per l’affermazione della verità. Io cerco di riportare esperienze reali, di privilegiare un approccio biografico basato su documenti reali e di evitare i discorsi ideologici, tuttavia mi rendo conto che alcuni atteggiamenti di grandi istituzioni finiscono per creare forme di sofferenza profonda. Qualche giorno fa, parlando in chat con un ragazzo di 24 anni, è venuto fuori il problema del Natale. Questo ragazzo vorrebbe partecipare alla Messa di Natale in modo pieno, accostandosi anche ai sacramenti, ma sa che l’essere gay senza reprimere la propria natura non è compatibile con quanto la Chiesa prescrive. Non mi permetto di giudicare le motivazioni che la Chiesa adduce ma ne vedo le conseguenze e le conseguenze sono nefaste. Tanti ragazzi gay che si sentono profondamente cristiani sono lacerati tra il loro essere gay e il loro voler essere cristiani, vivono dentro di sé due realtà che sono indotti a ritenere inconciliabili e pur tuttavia non si sentono in colpa del fatto di essere gay e di voler vivere seriamente quello che sono senza considerasi obbligati alla totale repressione della propria vita affettiva. Dal mio personale punto di vista ho sempre considerato l’essere gay e il vivere la propria sessualità in modo autentico come un esercizio di alta moralità, moralità che è sinonimo di autenticità e non di finzione. La sessualità, quella di chiunque, si badi bene, è immorale quando è predatoria, quando è violenta, quando è basata sull’inganno e sulla strumentalizzazione dell’altro, al di fuori di queste ipotesi non riesco a concepire alcuna possibile immoralità nella sessualità, sia essa etero o gay. Mi rendo conto che questo mio personale punto di vista non è conciliabile con quanto la Chiesa professa e di questo resto talvolta sorpreso perché la mia visione delle cose deriva da un profondo esame di coscienza, dopo il quale, in tutta onestà, non riesco proprio a vedere nulla di sbagliato nell’essere gay e nel vivere la propria sessualità in modo serio. Per quanto mi riguarda non riuscirei in ogni caso ad abdicare alla mia coscienza e a cambiare opinione e non per mancare di rispetto a chi non la pensa come me ma perché non riuscirei in nessun caso ad agire contro coscienza. Molti anni fa ho vissuto il contrasto tra il mio essere gay e la religione in modo lacerante come un vero e proprio dramma che mi ha procurato angoscia per anni. Ho impiegato moltissimo tempo ad accettare pienamente il mio essere gay perché la mia coscienza è stata molto condizionata dall’autorevolezza di quanti valutavano le cose sulla base di principi sostanzialmente diversi. Certo non spetta a me dire quale debba essere la dottrina della Chiesa né tanto meno giudicarla, compito che, al di là di ogni istanza metafisica, spetta alla storia. Io vedo, dal lato dei gay che vogliono continuare a credere, una diffusa sofferenza. Alcuni ragazzi che conosco hanno cercato, a costi psicologici altissimi, di reprimere la loro omosessualità e di non viverla. I risultati di tentativi del genere sono stati frustrazione e disistima. La scelta della incompatibilità radicale tra religione e omosessualità appare così sostanzialmente inumana che qualcuno ha cercato di umanizzarla attraverso il concetto della omosessualità reversibile e della rieducazione affettiva, il che significa in sostanza riconoscere l’omosessualità come una condizione comunque patologica ma reversibile. In questo modo il gay, opportunamente recuperato alla vita etero, sarebbe altresì recuperato alla moralità delle religione, che quindi non apparirebbe più proporre aut aut inaccettabili, il gay non sarebbe chiamato alla totale castità, se vuole essere cristiano, potrebbe ben vivere la sua “vera” sessualità etero canalizzata nel matrimonio. Se la scelte di considerare incompatibile l’omosessualità con la religione crea grave sofferenza, il tentativo di risolvere il problema attraverso l’idea della reversibilità della omosessualità è inqualificabile. Caro Davide, io non mi sento di darti consigli, ti direi solo di interrogare a tua coscienza che è la sola fonte della tua moralità. Se ti sembrerà di essere uno che ha deliberatamente scelto la strada del male, beh, allora non posso che rispettare la tua valutazione, ma se ti sembrerà, in tutta onesta, davanti alla tua coscienza che, lo ripeto, è l’unico metro di moralità, che nel tuo essere gay non ci sia nulla di sbagliato o di perfido o di moralmente reprensibile, non avere dubbi nella piena accettazione di te stesso. Schiacciare la propria anima a la propria coscienza è una cosa moralmente inaccettabile. Se ti sentirai comunque ingiustamente escluso da una Chiesa che pure, nonostante tutto, ami, augurati almeno che quelli che ti escludono agiscano così perché non sanno quello che fanno e comunque vai per la tua strada.

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