mercoledì 5 settembre 2007

QUESTI LEONI 6

QUESTI LEONI 6
ROMANZO GAY 1986
CAPITOLO 6
(I CAPITOLI SUCCESSIVI SARANNO PUBBLICATI IN QUESTO BLOG TRA POCO)

Angelo pensava o meglio non pensava, si sentiva trasportato, sarebbe uscito per le vie di Roma perché non riusciva a stare fermo, vagò per la casa poi si decise, uscì, la notte era tiepida, andò a viale trastevere, poi lungo il Tevere. Più volte si era fermato a guardare i ragazzi che aspettano i clienti vicino all’Anagrafe o al Virgilio... quante volte aveva pensato che caricare uno di questi ragazzi poteva essere facile... ma aveva messo da parte l’idea, perché avrebbe finito per innamorarsi. Eppure Angelo si sentiva spaventosamente vicino a quei ragazzi che magari lo avrebbero invidiato senza capirlo perché salvava la faccia e aveva una sua rispettabilità, un po’ di denaro, una casa. Quando un’auto si fermava e un ragazzo vi saliva, Angelo si sentiva come se il torace gli fosse stretto in una morsa, si identificava col cliente, un po’ sognava, sognava di possedere il corpo del ragazzo, poi si diceva che lui con quel ragazzo, sarebbe stato a parlare tutta la notte, avrebbe cercato di dimostrargli rispetto, affetto, gli avrebbe dato tutti i suoi soldi in ambio di nulla, o meglio in cambio di un sorriso e dell’anima. Quante volte era stato a fantasticare di questi dialoghi, di questi incontri, lo avrebbero preso per pazzo, ma in fondo sarebbe stato capace di amare , e non è una cosa pazzesca amare? Quella sera Angelo aveva in mente una sola persona, vedere però le solite scene al lungo Tevere lo scosse un po’. Gli passò per la mente che desiderava Marco ma che non lo amava e che, visto che Marco gli voleva bene, avrebbe dovuto parlargli chiaro, anche a costo di perderlo, amare vuol dire anche questo. Questa idea gli si fissava sempre più nella mente: dire la verità. Ma come poteva dire a Marco: sono innamorato di te? E’ difficile, troppo difficile, poteva restarci malissimo, sentirsi a disagio, poteva addirittura soffrire per anni per il ricordo di una cosa detta magari soltanto per l’assurda pretesa di dire una verità che sarebbe meglio non dire. Angelo pensava che Marco avrebbe preso prima o poi al sua strada... tanto valeva dunque non dire niente. Eppure nelle parole di Marco, Angelo aveva sentito un affetto vero e la speranza di questo affetto lo torturava come un sogno ossessivo. Angelo si chiedeva che cosa Marco si aspettasse da lui, poi tornava a pensare all’idea di dire la verità, gli sembrava l’unica cosa giusta, avrebbe risolto tutto nel modo più semplice, ma come si poteva arrivarci? Giunse a una conclusione: se Marco lo avesse trattato con freddezza sarebbe stato prudente e non gli avrebbe detto nulla, ma se avesse voluto da lui la verità, gliel’avrebbe detta in modo semplice, poteva essere l’unico modo per Angelo di sentirsi più a suo agio.
Per Marco problemi di questo genere non ne esistevano, era andato a letto felice, si sentiva amato e non si poneva troppi problemi a riguardo. Non aveva mai scherzato così, non si era mai sentito così libero, così se stesso, era contento di avere ritelefonato, si chiedeva come mai avesse aspettato tanto, era felice anche di tutti i discorsi fatti, delle frasi di Lorca che gli tornavano alla mente e del fatto che in fondo Angelo fosse stato ad aspettare la sua telefonata. La situazione non lo preoccupava più e si sentiva più libero, più sicuro di se stesso, più capace di vivere. Non era più solo con se stesso. Quello era uno strano rapporto, si sentiva amato da un altro ragazzo, ma questo non gli procurava sensazioni di disagio, Marco evitava di chiedersi che cosa lui provasse per Angelo, forse se lo chiedeva timidamente e si diceva che era un amico vero, a un amico vero si deve voler bene, e, in fondo, non aveva mai avuto un amico vero, ciò che provava per Angelo era amicizia, sì, vera amicizia. E’ veramente una cosa meravigliosa avere un amico! Puoi parlare di tutto, ti capisce, ha fiducia in te, ti rispetta, non ti dimentica. Un amico vero è veramente un tesoro, Marco si ripromise che gli avrebbe dato tutto il suo affetto, senza riserve, da amico vero, quella sera si sentiva felice. La mattina dell’indomani fu per entrambi una mattina di passaggio e di attesa. Marco arrivò con venti minuti di anticipo. Angelo aveva atteso contando le ore e Marco era uscito di casa appena gli era stato possibile, senza darsi cura dell’ora dell’appuntamento. All’ingresso di Marco nel portone e quindi nel cortile, Angelo ne era rimasto abbagliato, portava una camicia a strisce rosse, con colletto piccolo, jeans bianchi e scarpe da tennis, si era voltato a guardare la finestra di Angelo e siccome lo aveva visto gli aveva fatto un cenno con la mano. Quando Marco entrò in casa si ripeté lo stesso cerimoniale della prima visita. Si sedettero agli estremi opposti della stanza, poi Marco chiese di aprire la finestra, la aprì, girò una sedia, ci si mise a cavallo, poggiando le braccia sulla spalliera e il mento sulle braccia.
- Allora?
- Mh, sì, e adesso?
Poi Marco prese un tono più leggero, sorridendo...
- Allora che hai fatto ieri notte?
- Be’ se te lo dicessi veramente forse ci resteresti male.
- Perché, che hai fatto?
- Non mi va di parlarne.
- No, dai, parla.
- Niente, sono uscito.
- Ma era notte fonda.
- Lo so, però proprio non riuscivo a stare a casa.
- E dove sei andato?
- Niente qua intorno a fare un giro.
- E perché ci dovrei restare male? Continua.
- Senti, ti posso chiedere una cosa?
- Dai.
- Ma tu da me che cosa ti aspetti?
- Niente, non lo so, e poi non mi fare questi discorsi strani, che cosa mi dovrei aspettare? Non lo so proprio. E poi perché mi fai questa domanda?
Angelo cominciò a tamburellare con le dita sulla poltrona, avrebbe voluto sapere tante cose ma non riusciva a parlare, poi si decise.
- Senti è troppo difficile, io non riesco ad andare avanti oltre...
- Seguì un silenzio di molti secondi.
- Ma perché? Di che hai paura?
- Senti, mi dici come dovrei comportarmi con te? Certe volte vado proprio in crisi e non so che fare.
- Agisci liberamente, spontaneamente...
- Sì, sì... va be’, senti, usciamo? Andiamo da qualche parte.
- ... va be’.
Uscirono senza dire altro. Sul pianerottolo c’era una finestra con una ringhiera, Marco scavalcò la ringhiera con una gamba e fece il gesto di buttarsi giù. Angelo gli rispose ridendo.
- Ma che combini?
- No, non mi butto, ancora non siamo a questo punto.
Quel gesto era servito a rompere l’atmosfera cupa, Angelo vedeva in Marco uno che non è disposto a giocare al massacro.
Andarono all’Eur col 97, Angelo si sentiva agitato, Marco continuava a scherzare sull’autobus, faceva smorfie, dava a Angelo occhiate di intesa su una signora negra con turbante e abito a fiori.
- Ma non mi avevi detto che ti piacevano le donne abbronzate?
- Mh!
Quella battuta dava ad Angelo l’impressione di avere altri significati, si sentì ferito, gelato. Fecero un lungo giro per il parco senza scambiare parola, poi Marco interruppe il silenzio.
- Senti, ci sediamo?
- Sì.
- Ma che c’hai?
- Niente, che ci devo avere?
- Va be’! Vuoi che me ne vado?
- No.
- Ma perché fai tutti questi misteri?
- Perché ho paura di dire sciocchezze.
- Non fa niente, dille lo stesso. Senti, te la faccio io una domanda?
- Sì.
- Tu mi chiedi che cosa mi aspetto io... e tu che cosa ti aspetti da me?
- Ma non avevamo detto di lasciare perdere questi discorsi?
- No! Adesso non scappare, rispondi, guarda che con me non devi giocare, perché non è giusto.
- Senti, io mi sento particolarmente a disagio, è proprio un disagio fisico, senti, dimmelo tu: vuoi che parli chiaro fino in fondo?
- Sì.
- Senti, io evito i preamboli e i giri di frase anche perché non ce la faccio proprio ad andare avanti così. Però ti prego, non ci restare male. Senti, io sono uno dell’altra sponda, ecco adesso mi sento maledettamente in imbarazzo, però di’ qualche cosa.
- Ma perché ti fai tutti questi problemi?
- Ma hai capito bene quello che ho detto?
- Sì, ho capito.
- Senti, ti posso chiedere una cosa? Però ti prego, rispondimi, senti, sei del mio mondo oppure no?
- No, non sono omosessuale, mi dispiace anche di dirlo.
- Ecco, vuoi che vado via?
- Ma perché?
- Perché penso che puoi stare meglio solo e che magari...
- Senti, non ti fare problemi.
- Senti, e poi io ho l’impressione di volerti bene, capisci, di essermi innamorato di te, in tutti i sensi, hai capito?
- Sì, ho capito, ma guarda che non ci resto male, volere bene a qualcuno è sempre una cosa bella, adesso cerca un po’ di stare calmo, io non ho paura di te, che mi volevi bene l’avevo capito, forse non così, però l’avevo capito e poi per fare un discorso come questo ci vuole un coraggio enorme, pure io a mio modo ti voglio bene, anche se in un altro modo, mica adesso meno di prima... adesso c’ho quasi l’impressione che vali di più.
- ...
- Se non ti va di parlare lascia stare, però cerca di capire una cosa, per me un minuto fa non è cambiato niente e se è ambiato qualche cosa è cambiato solo nel senso della chiarezza.
- Senti, preferiresti che tutta questa storia non ci fosse mai stata?
- No!
- Magari preferiresti stare in un altro posto...
- Guarda che se sto qui è perché ci sto bene, se no, non ci starei. Ti giuro che adesso non sto facendo complimenti.
- Mah...
- Dove andiamo?
- Ma l’avevi capito?
- Io avevo capito che non era una cosa... come le altre, quando sono stato tutti quei giorni senza telefonare forse l’ho pure pensato, a me dava fastidio che stesse bene a me, c’avevo paura, mi sembrava che avrei fatto meglio a scappare via, mi pensavo chissà che cosa e invece poi, non lo so, adesso non c’ho proprio nessun problema... Senti, ma non è che adesso ti viene in mente di sparire?
- Mah?!
- Capiscimi bene, non ti fare problemi che non esistono.
- Non esistono?
- Per me non esistono, io adesso mi sento a mio agio, anzi, probabilmente sei la persona che mi conosce meglio... io da te ho imparato tante cose, è difficile pure dire che cosa, però per me è stato importante... ma tu adesso che stai pensando?
- Mi chiedo perché mi fai questi discorsi e poi mi chiedo che ti resterà dopo dell’avere vissuto una vicenda come questa. Mi sa che ho fatto malissimo a fare questo discorso, me ne dovevo andare e basta. E adesso scusa se torno indietro ma per me è fondamentale, ma tu sei sicuro di non aver niente a che vedere col mio mondo?
- Sì, sono sicuro, però, per favore, non me lo richiedere.
- Ti dà fastidio?
- Sì... però capisci bene, mi dispiace solo perché significa che non ti posso capire fino in fondo... ma poi tu pensi che queste cose siano così fondamentali?
- Eh, credo di sì...
- Ma tu ne hai mai parlato con qualcuno?
- Sì un paio di volte... ma poi me ne sono pentito.
- E con chi ne hai parlato?
- La prima volta avevo incontrato una ragazza, abbiamo cominciato a frequentarci, io ci stavo bene, per me era un’amica, poi piano piano, le cose si sono fatte più strette, ci si, anzi, mi telefonava spesso, poi un giorno ha parlato di matrimonio e io pure se con gravissime difficoltà gliel’ho detto, dopo qualche mese si è sposata, io le ho mandato un telegramma, è andata in viaggio di nozze a Parigi e da Parigi mi ha mandato alcune cartoline, come quelle che mi mandava prima. Io penso che si sia sposata per lasciarmi libero, penso pure che mi avrebbe sposato anche solo formalmente, poi ha capito che anche questo mi avrebbe messo in imbarazzo e ha preso proprio un’altra strada. Adesso qualche volta mi telefona e mi dice delle cose bellissime, cioè, per me questa donna è una persona importane, quando mi chiama sono veramente contento, qualche volta per lei ho scritto pure qualche poesia... era una persona come si deve e mi ha voluto bene veramente.
- E allora perché non dovrei volerti bene io?
- Mh!
- Lo vedi che di questa ragazza tu hai conservato un ricordo buono, se non ci fosse stato il problema del matrimonio tu magari avresti continuato a vederla?
- Sì, certo, credo di sì, però per me era un’amica, non ne ero innamorato.
- Sì, va be’, però il fatto che lei ti voleva bene ti ha creato problemi, adesso, a parte il matrimonio? Ti ha dato fastidio sentirti amato senza provare la stessa cosa per lei?
- No... in un cero senso è stata una cosa molto bella e soprattutto molto seria anche per me.
- E la seconda volta?
- La seconda volta è stato con una donna sposata, mi è stata appresso un anno, poi siccome non riuscivo a liberarmene le ho detto come stavano le cose e lei lo è andato a riferire al marito, così si è giustificata cose se avesse fatto una buona azione tipo dame di san Vincenzo. Io ho avuto proprio una sensazione di rigetto totale... una cosa indegna, è come se uno pagasse un miliardo per comprare una caramella a una bambina stupida e viziata. Non mi va di parlarne perché è stata una cosa disgustosa.
- Ma tu ti sei innamorato mai?
- Sì, qualche volta, ma quando succede c’è solo da stare male, non solo non lo puoi dire, devi fare assolutamente fina di niente, proprio guardare dall’atra parte, crearti degli schermi, se no, ti mettono in mezzo e ti fanno a pezzi.
- Ma per te il sesso che cos’è?
- E’ una realtà che mi condiziona completamente perché tanto non deve significare niente. Ma poi il problema non è neppure questo, cioè avere rapporti sessuali con un ragazzo è facile, però è un gioco, è tutta lì l’assurdità. Certe volte mi sono trovato in situazioni in cui si poteva arrivare facilmente a cose di questo genere, ma per me non è un gioco, non è un diversivo, un gioco di sesso. Io vorrei un rapporto d’amore, il sesso mi interessa meno, cioè, non è che io su certi ragazzi non ci faccio le mie fantasie sessuali, anzi, però poi me ne vergogno quasi, più conosco un ragazzo a fondo più cala l’interesse sessuale e cresce quello affettivo...
- ma le fantasie le hai fatte anche su di me?
- Sì, specialmente i primi tempi... ti dispiace?
- No, se io posso fare le mie fantasie su una ragazza...
- Va be’, però non è la stessa cosa.
- E’ identica! Ma adesso come mi vedi?
- Ancora un po’ come prima,... è così, ma quello che mi spiazza è il modo che hai di reagire, non lo so, ma non me lo aspettavo, in un certo senso il tuo modo di fare è fuori schema.
- Mio padre c’ha un amico come te e vanno perfettamente d’accordo, pure un amico di mia sorella, un ragazzo di diciassette anni, io qualche volta c’ho parlato, non lo so, non c’ho mai avuto problemi.
- A che ora devi tornare a casa?
- C’è tempo, alle nove, ma perché? Te ne vuoi andare via?
- Un po’ me ne viene la voglia.
- ... e ieri notte che hai fatto?
- Sono andato al lungo Tevere, lì ci stanno dei ragazzi che si prostituiscono, certe volte penso a quei ragazzi, specialmente quando qualcuno li prende su, un po’ ci faccio le mie fantasie, ma soprattutto peso che mi innamorerei, magari ci starei a parlare tutta la notte... questo era ieri sera.
- Mh!
- Dai, pala, per favore, non stare zitto.
- Senti, ma tu hai mai fatto l’amore con qualcuno?
- No... e tu?
- No. C’ho qualche amica, ma una ragazza non l’ho mai avuta, non mi è mai capitato di riuscire a parlare veramente, sono state sempre delle cose un po’ così, cioè, belle, però non l’ho mai considerata una cosa veramente profonda per la vita. Non lo so, forse non saprei nemmeno dire se mi sono mai innamorato veramente oppure no, certe volte m’è sembrato, però poi... a distanza di tempo, dimentichi e svaluti.
- Mah!
- Vedi, ti può sembrare assurdo, ma ci sono un sacco di cose anche di me stesso che io non riesco a capire...
- Senti ti posso chiedere perché quel giorno stavi piangendo?
- Non lo so, pensavo a casa, a mia madre, a mio fratello... per me queste cose sono fondamentali, poi così, un momento di smarrimento, ma poi passa subito... ma tu come ci sei rimasto?
- Mi ha fatto un effetto terribile, non avevo mai visto piangere un ragazzo della tua età, mi sono sentito importante, l’impressione che ho provato era di tenerezza violenta, quasi sessuale, d’istinto ti avrei preso la mano e te l’avrei stretta forte, però non si può...
- Ho notato che non mi hai mai dato la mano.
- E’ vero, mi farebbe un effetto strano e penso che tu possa preferire evitare, hai visto che non mi siedo mai vicino a te?
- Sì, l’avevo notato, avevo notato pure come scegli le parole quando parli.
- Nei miei discorsi ordinari contano di più le cose non dette di quelle dette, la differenza tra i discorsi come i miei e quelli degli altri è che nei miei discorsi certi argomenti non compaiono mai. Tu hai letto Lorca, è lo stesso, mi piace perché in un certo senso mi somiglia, anche sotto certi punti di vista...
- Non lo sapevo, però accidenti se scrive cose belle! Be’, adesso da quello che dici capisco tante cose in più.
- Ma tu prova a leggere il libro d Pavese e poi mi dici a che cosa ti fa pensare, nonostante le apparenze per me ha un senso solo... ma poi di letteratura di questo genere ne è pieno il mondo, Narciso e Bocca d’oro di Hesse, Tonio Kröger, La morte a Venezia e le Confessioni del cavaliere d’industria di Mann, tutto Proust, tutto Gide, molto Sartre, Wilde, Witman e si può andare avanti con altri cento.
Ma tu tutte queste cose le hai lette?
- Lette è poco, direi piuttosto meditate, ci sono libri che medito tutte le sere, piano piano certe cose diventano come una religione, sono tutto nella vita, guarda che non è una cosa assurda, finisci per vivere attraverso i libri, la vita esterna è tutta una recita squallida, uno si consacra a combattere per una libertà che non vedrà mai, tu rinunci a vivere, ma raccogli libri, articoli, vai predicando criteri di tolleranza, cerchi di mettere in crisi il qualunquismo della gente sicura di sè, in una parola lavori per un domani più libero che non vedrai mai, insomma è proprio come una religione... senti, scusami, mi sento assurdo, sto facendo discorsi che tu stai a sentire per compassione... non mi va.
- Ma tu vivi da solo per questo?
- Sì, non riesco nemmeno a stare a casa con i miei, altrimenti dovrei nascondere i miei libri, non potrei nemmeno parlare al telefono. Prima andavo avanti così, adesso non ce la faccio più... senti, Marco, mi fai andare via, voglio tornare a casa, non mi va di andare in giro, voglio rientrare.
- Va be’, però ti accompagno...
- No, fammi andare via adesso.
- Ma perché fai così, guarda, non ti fare scrupoli che non è proprio il caso... ci prendiamo una cocacola?
- Andiamo
- Senti, invece, perché non mi accompagni tu? A piedi, senza metro...
Il tempo passò veloce, alle nove, prima di allontanarsi nella stazione della metro si salutarono.
- Marco..., grazie, mi hai trattato bene, mi ha messo in una condizione che non mi aspettavo...
- Zitto! Dammi la mano. Sta’ bene! Hai capito?
Marco strinse con forza la mano di Angelo guardandolo fisso negli occhi, poi scese verso la stazione. Angelo era confuso, pensava che dire la verità avrebbe risolto molti problemi ma non era accaduto così, Marco non era omosessuale a gli voleva bene ugualmente, Angelo pensò che si comportasse in quel modo per sentirsi superiore, buono, generoso, ma sentiva che non era così. Si domandò più volte se Marco potesse avergli mentito per timore di scoprirsi, questa poteva essere una speranza, ma non era in fondo una ipotesi credibile, rimase nonostante tutto nel fondo dell’anima di Angelo e sepolta sotto mille altre idee non se ne allontanò mai. Marco aveva in comune con lui almeno una verginità che lo rendeva un’anima libera e sola. Angelo desiderava contare veramente per Marco, quale che ne fosse il motivo, poteva sognare di esserne l’amante, ma non sarebbe stato meno felice se fosse divenuto l’unico amico, l’unico però, quello al quale si dona l’anima. Angelo aveva della verginità uno strano concetto, Marco, ai suoi occhi era vergine non perché non era mai stato con una donna ma perché sembrava non sentirne la necessità, in questo senso la verginità si può perdere e poi ritrovare. Angelo ricordava di essersi innamorato di Fernando, un suo compagno di scuola, in modo inatteso. A scuola Fernando andava molto dietro le ragazze, con alcune andava a letto, ma per un giorno, al mare non perdeva occasione per fare sesso con le ragazze, ma da queste cose non si sentiva implicato a livello d’amore. All’università Angelo diventò molto amico di Fernando, parlavano molto di sè, Fernando si era affezionato ad Angelo, cenavano spesso insieme in pizzeria, quando Fernando raccontava di qualche sua conquista Angelo non ci restava male, una volta Fernando andò al teatro con una sua amica, che avrebbe voluto poi fargli trascorrere la notte a casa sua, dopo il teatro Fernando telefonò ad Angelo e lo andò a trovare, gli disse che andare con quella ragazza in quel momento non lo interessava, Fernando era eterosessuale di stretta osservanza ma non era dipendente dal sesso, questo, per Angelo era verginità. Poi Fernando si innamorò e cominciò a parlare con Angelo solo della sua ragazza, Angelo capiva che il suo rapporto con Fernando era finito, Fernando aveva perso la sua verginità e non sembrava che avrebbe potuto riacquistarla di lì a poco tempo. Tutto finì da sè nel tempo di un paio di mesi.
Angelo pensava a Marco e lo vedeva capace di amare, che poi fosse amore senza sesso non aveva importanza, ciò che gli interessava era essere amato da Marco, il fatto che Marco non fosse omosessuale non distruggeva la speranza di Angelo. Marco poteva pur sempre distinguere sesso e amore. Dal canto suo Marco non sentiva nei confronti di Angelo nè rifiuto nè preclusioni, era anzi felice di non provare nessuna delle sensazioni che aveva preventivato in risposta a quella dichiarazione, tanto attesa quanto inevitabile. Quello che Marco aveva imparato indirettamente in famiglia, lo sperimentava ora da se stesso. Era felice di non sentirsi smentito e d’altra parte non aveva paura e non si sentiva in imbarazzo. Aveva trovato un amico vero! Marco provava una sensazione di incontenibile serenità, sentiva la gioia di essere amato ma si sentiva anche padrone di se stesso fino al punto di non assumere comportamenti stereotipati e di sentirsi anche per questo ancora più libero.
Quando Angelo arrivo a casa si sentiva confuso ma non depresso. Squillò il telefono.
- Ciao... come stai?
- ...
- Che stai facendo? Dai, parla!
- Vuoi sapere che sto facendo?
- Sì.
- Be’, adesso sto piangendo un pochetto.
- ...
- Adesso parla tu!
- Io ti volevo dire che stasera mi sento contento, tutto qua, e vorrei che succedesse pure a te.
- Succede eccome...
- Purtroppo c’è gente e non possiamo parlare.
- Non ti preoccupare, Marco, sei grande!
- Zitto! Adesso dimmi come stai, che devo proprio chiudere.
- Bene!
- Ciao!
- Ciao!

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