Molti lettori non gay (ho ricevuto in proposito due e-mail con osservazioni molto serie di cui ringrazio gli autori) leggendo queste pagine possono rimanere sconcertati. Alcuni potrebbero esserne addirittura irritati. La cosa è comprensibile e mi scuso con loro del disappunto che posso suscitare. Rispetto al 100% gli etero (chi ha letto questo blog se ne è reso perfettamente conto) ed ho amici etero che sono un sostegno fondamentale per me, anche nella gestione di questo blog, mi rendo perfettamente conto che le cose di cui parlo, da altri punti di vista, possono apparire strane e incomprensibili, di nicchia, o anche patologiche o irritanti ma il mio scopo è scrivere per chi mi può realmente capire, e credo che siano in tanti. Le cose di cui parlo non sono favole o teoremi ideologici, e meno che mai discorsi provocatori, sono cose della vita reale, che possono risultare comprensibili oppure no, ma appartengono alla vita di tantissime persone, ed è proprio per queste persone che io scrivo.
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Dedico questo post a un tema come l’ansia di abbandono perché su questo elemento in particolare noto una discrasia significativa tra letteratura gay e realtà concreta. In genere i libri che raccontano storie di rapporti gay insistono su due diversi elementi: il quadro d’ambiente (specialmente i libri più recenti), pittoresco ma esterno, oppure il rapporto tra la coppia gay in sé coesa e le difficoltà di tipo sociale che incontra, oscillando tra due tesi opposte: “l’amore vince tutto” oppure “accettare il fallimento”. In realtà molto difficilmente si affronta un problema che invece condiziona pesantemente le relazioni gay reali, non si affronta la criticità interna alla coppia gay. In particolare, sono in pratica completamente lasciate da parte le problematiche connesse all’ansia di abbandono. Con questo termine non intendo riferirmi al disagio che si prova ad essere abbandonati, ma al disagio che si prova al pensare, spesso in modo ossessivo e condizionante, che si potrebbe essere abbandonati. Ho visto spessissimo queste cose in altre persone e le ho anche vissute direttamente e, aggiungo, sono ben lontano dal dire di averle superate. Perchè esiste un’ansia da abbandono gay tutta particolare? La risposta viene da una osservazione statistica. Per un etero che sia stato abbandonato, uomo o donna che sia, esiste la possibilità di ciò che comunemente si chiama “rifarsi una vita”, per un gay una realtà del genere è decisamente più improbabile e l’abbandono presenta le tinte tipiche di una situazione senza rimedio. Un possibile abbandono “senza rimedio” significa, quando non si è più giovanissimi, un sostanziale fallimento dell’intera vita affettiva. L’ansia di abbandono non condiziona solo i rapporti affettivi importanti e ben sedimentati, ma anche tutta una serie di contatti minori che hanno comunque una valenza affettiva. Quando poi non esistono rapporti affettivi importanti, l’ansia di abbandono si concentra proprio su tutta quella serie di piccoli contatti che finiscono per avere un valore sostituivo. L’ansia di abbandono condiziona spesso pesantemente i rapporti gay, il timore di perdere il compagno non è solo un timore di coppia, è un timore esistenziale, è il timore del fallimento affettivo, nella presupposizione che non ci saranno altre possibilità. Alcuni ragazzi gay sostengono che quando un rapporto non è soddisfacente bisogna troncarlo. Questi ragazzi non vivono l’ansia di abbandono e sentono le alternative come possibili. Evidentemente il costume sta evolvendo, ma onestamente ho l’impressione che l’ansia di abbandono sia tendenzialmente ubiquitaria. Si teme di dire sciocchezze, si teme di non avere espresso pienamente i propri sentimenti, si teme di avere parato troppo, ci si sente colpevoli ed esitanti su moltissime cose, si finisce talvolta per travestire la propria affettività secondo quelle che si pensa siano le esigenze del proprio compagno, spesso sbagliando clamorosamente proprio per l’ansia di non commettere errori. Un altro elemento tipico dell’ansia di abbandono, frequentissimo tra gay non conviventi e spesso anche nei rapporti gay-etero, è quello delle “attese spasmodiche” costellate di interrogativi non risolti, ci si fissa sul computo mentale del tempo tra un contatto e un altro, tra una telefonata e l’altra dando a queste cose una valutazione ansiosa, si dà alle parole sempre il significato più negativo e distruttivo o, per converso, sempre quello più improbabile e favorevole, ci si prepara mentalmente il discorso in anticipo, si cerca di prevedere l’andamento della conversazione. Con queste premesse, il rischio di fraintendimenti è fortissimo, qualunque ombra è interpretata come una minaccia grave, la ricerca di conferme diventa ossessiva al punto di creare panico nel compagno, si arriva a recitare una parte, a perdere la spontaneità, a fare questioni di principio senza principio, a pretendere una risposta affettiva e a sentirsi delusi e depressi se quella riposta effettiva non arriva esattamente come ce la siamo aspettata, ci si irrigidisce per sciocchezze interpretate come l’anticipazione della catastrofe imminente e, così facendo, si provoca veramente la catastrofe. Ho visto andare in fumo dei rapporti cominciati nel modo migliore per delle motivazioni oggettivamente risibili che sono state montate fino a divenire ostacoli insormontabili. Ovviamente mi rivolgo a chi mi può capire: noi gay siamo fragili, abbiamo paura del futuro, paura di restare soli, radicalmente soli, ma è proprio per questo che l’ansia di abbandono dovrebbe essere tenuta bene a freno. Parlate coi vostri compagni se ne avete o coi vostri amici gay o etero non conta, se tra voi c’è un rapporto affettivo forte non avete nulla da temere, se così non fosse è solo parlando apertamente che si può creare un rapporto più profondo.
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