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Grazie, spero sempre di poter contribuire a questo blog, raccontando le mie esperienze personali, sempre attento nella ricerca di un equilibrio interiore che spesso può sfuggire.
Giuseppe, oggi ti parlerò di lui, simbolo di tutti quei gay giovani e non, che non riescono ad accettare la propria condizione di omosessuale. Lo incontrai una sera d'estate nel caos del Sabato sera di una discoteca, e credo che lui non sia mai stato così bello come quella sera (scusami la parentesi). Da quel giorno decise di insinuarsi nella mia vita con sottile maestranza. Cominciò a frequentare il mio atelier, prima da cliente, poi le sue visite furono sempre più frequenti, finché non mi chiese cosa aspettassi ad invitarlo a uscire. Allora lui aveva 19 anni , e io 26, quindi con la responsabilità di un ragazzo più maturo, decisi di compiere il primo passo, anche se per me era difficile lasciarmi andare o fidarmi; ero appena tornato da Milano, e avevo ancora l'amaro in bocca per quei fatti vissuti di cui ti ho già accennato. Lo chiamai; mi rispose la madre, e dopo un pò sentii un rumore di zoccoli di legno in corsa; era lui che si precipitava al telefono, strozzandosi con un boccone in gola perché stava pranzando, colto probabilmente da emozione. Parlava a singhiozzo, ma comunque lo invitai ad uscire. Da quella sera cominciò a circuirmi con molta naturalezza, stavamo bene insieme, anche se mi sembrava di capire che mi stava allontanando dai miei amici, e la sera ormai si usciva sempre da soli. Cominciai a chiedermi perché, cosa volesse, io ero un gay dichiarato, ma lui non mi aveva ancora parlato della sua vita sentimentale, e io non mi permettevo di chiedergli nulla. Eravamo sempre più soli, e creava sempre le condizioni perché restassimo da soli, in più cominciai a notare il suo imbarazzo, se qualche conoscente ci trovava insieme in un ristorante o in un locale. Così per mesi, e ormai eravamo un'anima e un corpo. Ma io soffrivo terribilmente, perché non capivo, finché un giorno decisi di parlare perché non potevo più continuare così e gli chiesi:"Perché? Io voglio sapere cosa stiamo facendo, perché usciamo di nascosto come dei ladri? Perché? Cosa vuoi da me"? Mi assicurò di volere solo la mia amicizia, di non essere gay, e che il suo disagio era dovuto alle dicerie della gente che nei piccoli paesi di provincia, non fanno altro che sparlare, e che non aveva nessuna intenzione di rinunciare a me, perché ero un amico di cui non avrebbe potuto fare a meno. Gli sottolineai che se non fosse gay, non avrebbe avuto motivo di imbarazzarsi, visto che aveva scelto di essere mio amico, e se non aveva nulla da nascondere. Comunque considerando la sua giovane età cercai di assecondarlo per dargli il tempo di capire e di maturare. Ma le cose andarono sempre peggio, notai che diceva molte bugie, finché gli chiesi di non farsi più vedere. Andò in forte depressione, ed io non potevo sopportare che stesse male, così, convinto anche da una nostra amica, ripresi il mio rapporto con lui. Ormai avevo perso la logica di tutte le cose, stavo rasentando la pazzia, versai più lacrime di quante ne avessi, e a volte svenivo per la mia stanchezza mentale. Nonostante lo avessi perdonato, il suo comportamento era sempre più provocatorio, finché un giorno mi accorsi che mi stava usando come specchietto per le allodole; in realtà aveva delle relazioni sessuali con altri omosessuali omertosi, che gli salvavano la reputazione. Lui mi amava, lo so, spesso approfittava di un movimento casuale per sfiorarmi con una mano, ma la mia libertà e il fatto che io fossi dichiarato, lo spaventavano. E' inutile descrivere il mio dolore. Lui aveva deciso di viversi la nostra storia platonicamente, ma io stavo morendo lentamente. Quel giorno che decisi di liberarmi di lui per salvarmi, ho avuto l'impressione di morire, ma dovevo farlo. Ci sono voluti anni perché io lo dimenticassi. Racconto questa storia perché vorrei dire a questi ragazzi che non riescono a convivere con la propria condizione omosessuale, di farsi coraggio e di esprimere liberamente i propri sentimenti, se no, come il mio amato Giuseppe, potreste fare del male, molto male.
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Innanzitutto ringrazio Salvatore per la storia che ci ha voluto proporre, che non è una storia insolita tra ragazzi gay. Se per un verso capisco perfettamente il punto di vista di Salvatore e probabilmente in una situazione analoga avrei agito più meno nello stesso modo, ci tengo a ribadire un concetto. Un gay dichiarato si trova in una situazione molto diversa da quella in cui versa un gay non dichiarato. Dichiararsi o meno non è solo una questione soggettiva e non si può riportare al maggiore o minore coraggio del singolo, le variabili ambientali sono tante e spesso sono realmente determinanti al di là dei desideri dei singoli. Ho incontrato ragazzi che si sono dichiarati non per scelta me perché non potevano farne a meno perché ormai già individuati come gay a seguito, diciamo così, di errori di strategia nel loro nascondersi, e ho trovato ragazzi dichiarati in via assolutamente spontanea fin da quando si sono resi conto di essere gay, perché in fondo vivevano in una specie di isola felice in cui l’omosessualità era considerata una cosa normale. Nel bene o nel male il coming out è liberatorio ma in ambienti non idonei è molto pericoloso e il rischio di linciaggio morale esiste eccome. Su questo ho sentito raccontare e ho visto con i miei occhi cose raccapriccianti. Vorrei dire che i ragazzi che non si dichiarano possono avere fondatissimi motivi per non farlo e spesso i ragazzi gay dichiarati, quasi dall’alto delle loro condizione, diciamo così di libertà, non tengono conto che, in particolare per un ragazzo di 19 anni, in un ambiente come quello di un piccolo paese, il coming out può essere angosciante e al limite veramente distruttivo. Chi, in un modo o nell’altro, ha fatto il passo del dichiararsi si dimentica facilmente delle difficoltà che lui stesso in prima persona ha passato rima di decidersi, se la cosa è derivata realmente da una scelta e non da condizioni esterne determinanti. Devo dare atto a Salvatore che la storia che ha raccontato non lascia trasparire nessun giudizio circa il comportamento di Giuseppe (e questo è un segno d’amore) e mostra che, spesso, i ragazzi non dichiarati o anche quelli che scelgono la via dei lunghi e ambigui approcci platonici possono non rendersi conto che con il loro comportamento infliggono sofferenze pesanti a chi vorrebbe maggiore chiarezza e scelte determinate. In realtà quelli di Salvatore e di Giuseppe sono due diversi modi di essere gay. Nella mia vita ho incontrato ragazzi come Salvatore e ragazzi come Giuseppe ed effettivamente non ho potuto osservare rapporti sereni nel tentativo di far convivere modi di essere gay molto diversi. Ciò che mi pare fondamentale in ogni caso è la chiarezza almeno all’interno della coppia o all’atto delle costituzione di un rapporto affettivo serio. Capirsi fino in fondo, cioè capire l’uno le esigenze vere dell’altro, è fondamentale. I rapporti poco chiari, quelli giocati sul detto e il non detto, sul sottinteso, sulle interpretazioni, sono in sostanza dei defatiganti esercizi di pazienza che logorano un rapporto già prima che si comprenda di che cosa si tratta. Per i gay la chiarezza reciproca nella vita affettiva è irrinunciabile.
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