sabato 12 gennaio 2008

ANCORA SUL COMING OUT: Venir fuori “per scelta” o “per forza di cose”

Ringraziando Project per la disponibilità, vorrei scrivere due righe sulla mia esperienza nonché sul mio modo di vedere in prima persona l’esperienza del “dichiararsi” alla comunità, a chi si conosce…
Sappiamo tutti cosa significhi infatti il termine “coming out”.
Per molti di noi rappresenta ancora un tabù, ma per altri è sinonimo di liberazione.
Beh, per me la concezione, di “coming out” è quella di poter venire allo scoperto con gente fidata, perché alle volte, se sei totalmente incompreso dai familiari come da chi ti circonda, ti senti quasi implodere qualcosa dentro, e senti così vivo il desiderio di condivisione della tua identità, che vorresti non dico dirlo esplicitamente, ma farlo almeno capire a chi vuoi bene veramente, proprio perché vorresti sentirti dire: “tranquillo, ci sono io, non sei solo e se avrai bisogno di me per un conforto, ci sarò”.
Più o meno per alcuni di noi, o almeno per me, è questo il desiderio di dichiararsi.
Magari molti preferiscono isolare la propria condizione senza infastidire gli altri, e forse anche questa è una valutazione ottima da fare, specialmente in un mondo bigotto in cui viviamo.
Perché magari spesso e volentieri si trovano contro un muro spesso di pregiudizi e incomprensioni, difficile da abbattere.
Ma alcune volte pensi “la vita è un rischio”, e se non rischiassi almeno per così poco, allora meglio rinchiudersi in una campana di vetro e vivere in stato vegetativo-apatico.
E dunque, volente o nolente, capita che fai questa mossa, che può avere riscontri positivi o negativi, a seconda delle circostanze e delle “mosse successive”.
Per chi è troppo scrupoloso come me, il coming out può rappresentare un aumento delle proprie paure; il timore di essere scoperti da persone che non vorresti o dalle malelingue è tanto.. E alle volte le parole fanno molto più male delle azione o dei singoli gesti…
Per non barricarsi nell’isolamento più totale capita di uscire con degli amici gay, più o meno visibili negli atteggiamenti o nei modi di fare, ma per me non è un problema. Non mi reputo per nulla un macho man, non mi giudico insospettabile pur non avendo comportamenti visibili, ma non provo alcuna vergogna ad uscire con persone come me. Siamo tutti esseri umani degni di rispetto, qualsiasi cosa si pensi. Ed isolare un amico solo per i suoi modi di fare è una delle più grandi cattiverie che possano essere commesse.
Ma purtroppo capita. Come capita anche che in una sera che esci innocentemente per scambiare due parole con un amico, tu incontri mezza città (e purtroppo o per fortuna sono un volto noto soprattutto in ambiente universitario).
Capita dunque di incontrare amici che da tempo hanno mangiato la foglia e, nonostante tu non voglia, dai soddisfazione alle loro ragazze di far capire che io sono come sono, e capita anche che il passaparola comincia….
Capita che certe persone come una vecchia ragazza che mi ero forzato di frequentare tempo fa per nascondere a me stesso la mia vera identità viene avvertita a tal proposito…
E capita che ti senti un po’ il mondo contro…
A conti fatti dunque, vi ho dimostrato che coming out o meno, i nodi vengono al pettine comunque. Ma se ci relegassimo ad avere paura perennemente del giudizio altrui, condurremmo una non vita in funzione degli altri.
Io ho già 24 anni, 6 dei quali persi in un cammino difficile verso l’autoaccetazione (dai 18 anni in poi).
Se volessi concedermi un po’ di serenità, dovrei cominciare a sbattermene del giudizio altrui e pensare a me stesso…
Forse sono stato fin troppo con la testa sulle spalle.
In fin dei conti, se esco o se mai dovessi avere una storia seria, non credo di dover dare conto a chicchessia…
Concludo con un aforisma che calza a pennello:
“E' sbagliato giudicare un uomo dalle persone che frequenta. Giuda, per esempio, aveva degli amici irreprensibili...”
Beh.. chi non ha peccato, scagli la prima pietra….
Grazie a tutti e a presto.
Sonosempreio

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