“Ho dovuto leggere un paio di volte tutto l'intervento prima di cogliere un aspetto che per me è fondamentalmente sbagliato: questo ragazzo parla di mondo separato in maniera negativa all'inizio, infatti scorrendo il testo mi è sembrato dapprima che il presupposto dello stesso intervento fosse questo mondo separato, poi, continuando ancora, presupposto mi è sembrato di capire fosse che, in poche parole, etero o gay non conta ma che in fondo siamo tutti soli e nessuno si interessa dell'altro, o almeno mi è parso così, forse sbaglio, una spirale verso il pessimismo.
Il fatto è che ha ragione nel dire che molti etero subiscono cambiamenti di atteggiamento nei confronti di amici che prima ritenevano etero e che poi si sono rivelati essere gay; tuttavia ha ugualmente ragione quando dice l'opposto, cioè che molti invece non mutano comportamento e che anzi inconsciamente cercano e preferiscono un amico gay. Nella mia seppur ancora breve esperienza di gay non dichiarato una delle poche cose che penso di aver afferrato e di cui sono abbastanza certo è che non si può ridurre l'intero genere umano ad un numero ristretto di categorie schematicamente intese, ognuna con le sue caratteristiche peculiari. E’ pur vero che molti si omologano al "gruppo" senza un minimo di spirito critico, tuttavia la mia idea è che se siamo in sei miliardi sulla terra, di necessità ci saranno sei miliardi di categorie in cui suddividere il genere umano. A ognuno la sua, che poi è il suo essere, il suo carattere, la sua personalità. E’ facile distinguere fra gay ed etero, creare una separazione fra i due gruppi, ma in tal modo si assume una singola caratteristica (tra l'altro nemmeno così caratterizzante) a indicatore unico delle persone (nonché della personalità, del valore intrinseco ecc. ecc.) alle quali essa viene ascritta.
So che il vedersi di fronte un amico che non sa nulla di te e che vive un momento di "estasi" come la chiami tu può far male e soprattutto porta a riflettere sulla disparità della propria condizione in confronto alla sua, ma questo è normale. E’ logico che scatti un confronto, anche involontario, con chi ci circonda. A me capita più volte al giorno e su qualunque argomento e sono sicuro che chiunque, se ci pensa bene, si può accorgere di averlo fatto e di continuare sempre a farlo. e senza nessuna invidia o altro alla base, altrimenti chiudiamoci tutti nella nostra grotta in cima alla montagna e viviamo da eremiti.
Non è che, quando dici che nessuno pensa a nulla se non ai fatti suoi e che perciò tu rimani sempre e comunque fuori, anche tu ti stai ponendo sullo stesso piano di queste persone? Ti assicuro che mostrare un po' di interesse per qualcuno che ha voglia di essere ascoltato apre porte che probabilmente non immagineresti mai.”
Pubblico il commento in prima pagina nella speranza che l’autore del post lo legga, cosa che però non è così ovvia. Aggiungo qui di seguito alcune mie considerazioni.
Quanto al post, nel leggerlo, ho provato anch’io le perplessità che ha provato Paolo e non ho capito esattamente quale sia il centro del discorso. Certo, assistere alla felicità degli altri, di quelli che dei loro affetti possono parlare apertamente non è indifferente e lascia un sapore amaro in bocca. Si pensa inevitabilmente: Perché lui sì e io no? Non è giusto! Adesso, se posso permettermi, dico a Paolo e agli altri ragazzi che leggono questo blog e che sento spesso in chat: ma voi riuscite a immaginarvi come potesse stare un gay di 40/50 anni fa, quando l’isolamento era totale e la possibilità di trovare anche solo informazioni serie era praticamente nulla all’infuori della pornografia? E’ ovvio che un ragazzo gay non dichiarato vive anche oggi una situazione di disagio ma si tratta di condizioni molto meno pesanti. Un ragazzo di oggi ha internet, ha msn, ha i blog, ha la possibilità di contattare altri ragazzi gay e di scambiare esperienze con loro. Paolo è un ragazzo gay non dichiarato che scrive commenti su un blog gay, li vede a loro volta commentati, legge i commenti di altri ragazzi gay su quello che ha scritto... è vero che Paolo inevitabilmente confronta la sua condizione con quella di tanti ragazzi etero (in fondo lo facciamo tutti) è può sentirsi frustrato e in qualche modo anche represso, ma, anche se con la copertura dell’anonimato, che, ricordiamolo, ha dato voce ai veri gay, Paolo può dire quello che pensa. Paolo si sente sì solo ma è incomparabilmente meno solo di come io stesso sono stato solo, 40 anni fa, quando a rendere meno gravosa la solitudine c’era solo la beata inconsapevolezza. Per imparare a ragionare come Paolo ragiona spontaneamente ci ho messo decenni passando attraverso lotte con me stesso, forme ai autorepressione che adesso mi fanno sorridere ma che allora sono state delle autentiche torture, una strada difficile, contorta e lunga per conquistare un’autonomia personale vera che oggi sembra una cosa ovvia. C’era tuttavia una differenza tra il mio modo di essere un ragazzo gay 40 anni fa e quello dei ragazzi di oggi. Io allora sognavo di incontrare un ragazzo gay e di poter coronare il mio sogno d’amore. I ragazzi di oggi hanno certo una esperienza incomparabilmente molto può larga della mia alla loro età ma spesso essi hanno perso l’idea che incontrare un altro ragazzo gay possa essere una cosa veramente importante e risolutiva. Molti purtroppo, e lo vedo tutti giorni, hanno sperimentato direttamente quanto il fatto di essere due gay, invece che un gay e un etero, non modifichi poi sostanzialmente il quadro, proprio perché, come dice Paolo, dire gay non significa affatto caratterizzare un individuo e, anzi, spesso tra due gay vi sono differenze di mentalità e di comportamenti più radicali che tra un gay e un etero. Questa scoperta, che pure è estremamente realistica, se ha il pregio di aiutare ad aprire gli occhi, ha comunque il difetto di ridurre nettamente la fiducia nel futuro. Oggi quello che prima non era possibile è divenuto possibile ma la felicità che prima sembrava non realizzarsi per impedimenti esterni oggi sembra ancor più radicalmente un’ipotesi eccezionale.
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