venerdì 1 febbraio 2008
UN GAY INNAMORATO
Intervista ad Andrea (studente all’epoca ventiduenne, iscritto al terzo anno di Ingegneria) registrata il 26 Ottobre 1985 da Gayproject, allora affettuosamente soprannominato “il Gufo” dai suoi amici.
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Allora, mi chiamo Andrea P., 22 anni compiuti da poco studente al terzo anno di Ingegneria, fino adesso in regola con gli esami. Abito con i miei in un paese piccolissimo ma lungo la linea ferroviaria che va a Roma. Da casa mia all’università impiego esattamente due ore. Uscendo di casa alle sei di mattina (l’inverno è ancora notte) arrivo a destinazione poco dopo le otto, sto lì fino alle sei di pomeriggio, e alle otto di sera sto a casa, mi faccio una doccia e vado a dormire perché in genere non mi reggo in piedi. In pratica io sto sul treno quattro ore ogni giorno, mi porto i libri e studio in treno. Ma il treno – lo sa che fa il pendolare – crea una routine, tutti gli atti sono ripetitivi. Mi siedo sempre allo sesso posto, ho intorno sempre le stese persone e gli stessi compagni di scompartimento. Avete capito dove voglio andare a parare... ecco, una decina di giorni fa, per la precisione il 15 ottobre, perché certe date non si dimenticano più, alla fermata sette minuti dopo la mia, sale un ragazzo, un po’ trasandato, capelli arruffati. Non l’avevo mai visto prima. C’è folla, lui deve restare in piedi. Lo osservo molto attentamente, alto, magro, castano chiaro, con i capelli lisci a caschetto, vestito di chiaro. Si regge a un sostegno verticale che sta vicino al mio sedile, vedo in dettaglio il dorso della sua mano e parte dell’avambraccio, ha mani bellissime, la corporatura è assolutamente regolare. E’ solo, senza amici, ha uno zaino in spalla che sembra quasi vuoto. Osservo la sua mano con la massima attenzione, vorrei stringerla, accarezzarla, quasi casualmente alzo gli occhi, incontro il suo sguardo per un attimo, lui non distoglie li sguardo e mi sorride. Io sto seduto sul sedile interno, non quello vicino al finestrino, vorrei tanto che si accostasse di più, che si appoggiasse a me ma anche se c’è tanta folla lui non mi ha toccato nemmeno per sbaglio... dopo i primi minuti mi succede una situazione imbarazzante, in pratica mi viene un’erezione incontrollabile. Lui stava in piedi a pochi centimetri da me. Prima che la cosa diventi evidente mi poggio la cartella sulle ginocchia, tiro fuori un libro e ho cominciato a leggere, ma in pratica faccio finta di leggere e osservo quanto più possibile quel ragazzo quasi come potessi spiarne i segreti più intimi solo guardando la sua mano destra, prendetemi per maniaco, ma io quel ragazzo l’ho proprio desiderato di brutto, qui adesso sorvolo, ma i pensieri che mi sono venuti in mente, se avete mai desiderato un ragazzo li potete capire benissimo. Stazione dopo stazione, Termini si avvicina e la mia erezione non accenna a diminuire. Anche qui penso di non dire una cosa eccezionale, ma alzarsi in piedi con un’erezione è molto imbarazzante e io cominciavo a preoccuparmi... cerco di pensare agli esami, mi mordo la lingua, trattengo il respiro più che posso... cerco di mettere in pratica tutte le tecniche che conosco per tornare in condizioni normali... ma non c’era niente da fare. Il mio giaccone era sulla rete sopra i sedili e per prenderlo avrei voluto alzarmi. Quando arriviamo alla stazione mi faccio coraggio e facendomi schermo con la cartella mi alzo con una manovra un po’ buffa e riprendo il giaccone... è già un passo avanti... Scendiamo, il ragazzo mi precede... io non lo sorpasso, lo lascio camminare davanti a me per il piacere di seguirlo... sono disposto a non andare a lezione pur di non mollarlo un minuto, ma lui si dirige verso l’università... poi prende viale Ippocrate e gira per via Scarpa. Non ci crederete ma era una matricola di Ingegneria... Mi sono detto: “Questo lo vedo tutti i giorni!” Era un po’ spaesato, non sapeva dove andare... allora mi sono presentato, col la scusa che ci eravamo visti sul treno, gli ho spiegato un sacco di cose della facoltà, mi stava a sentire e si ricordava tutto quello che gli dicevo e poi io avevo modo di guardalo in faccia.. ed era di una dolcezza incredibile, non so nemmeno se fosse bello, ma era dolce, sorridente, molto diretto. Siamo andati al bar... era contento di non sentirsi solo. Io avrei fatto di tutto per non rompere quei moment di incanto. Ovviamente il problema che mi si era presentato in treno era tornato all’assalto ma avevo il giaccone addosso e non c’erano rischi. Gli ho detto che sarei andato via col treno delle sei e che andavo a studiare alla biblioteca centrale. Mi ha chiesto come facevo per mangiare e gli ho detto che mi arrangiavo con un panino e una bottiglia d’acqua e mi ha riposato: “Se ti va, il panino ce lo mangiamo insieme”. Poi sono andato alla mia lezione, ma continuavo a pensare a quel ragazzo di cui non sapevo nemmeno il nome. Abbiamo mangiato il nostro panino insieme... poi sono andato a seguire le altre mie lezioni di pomeriggio e lui è andato a studiare in biblioteca, alle cinque e venti siamo tornati alla stazione e siamo saliti sul treno. Io, per ovvie ragioni non mi sono tolto il giaccone, anche se c’era il riscaldamento e faceva un caldo infernale, lui mi ha detto: “Ma non hai caldo?” Io gli risposto: “Un po’, ma il giaccone preferisco tenerlo...”, lui mi ha guardato con un sorrisetto malizioso e io mi sono sentito in un imbarazzo terribile... mi sa che si doveva essere accorto di tutta la manovra della mattina. Lui il giaccone se l’è tolto e in effetti non aveva niente da nascondere, confesso che la cosa mi è dispiaciuta, avrei tanto voluto che provasse quello che provavo io. Poi il treno è partito, la sera c’è pochissima gente, non c’è la folla che c’è la mattina, abbiamo parlato per quasi un’ora e mezza, poi è sceso dicendomi. “A domani!”. Quello che ho fatto quando sono arrivato a casa non ve lo racconto, ma nonostante tutto la notte non sono riuscito a prendere sonno, pensavo a lui in continuazione, me lo vedevo davanti, ne sentivo la voce e perfino l’odore, una specie di ossessione. L’indomani mi sono fatto la barba con la massima cura e mi sono messo la camicia più bella che ho e, naturalmente, il giaccone più lungo... salgo sul treno e mi sento eccitato al solo pensiero di vederlo ma alla fermata non c’è, mi sento gelare... che fine avrà fatto? Non ci siamo scambiati i numeri di telefono e non ho nessun mezzo per contattarlo e so solo che si chiama Marco. Mi prende proprio l’abbiocco... ma lui non c’è e io non ci posso fare nulla. Siamo andati avanti così per altri otto giorni, io i primi due o tre giorni ci sono stato malissimo, ma poi, ormai, avevo cominciato a fare l’abitudine all’idea che Marco non ci fosse più... ma ieri, sabato c’era di nuovo. Lo devo avere accolto con molto entusiasmo e lui mi ha fatto un bellissimo sorriso. Aveva avuto solo la varicella! La storia di Andrea e Marco oggi è a questo punto. Il primo giorno della sparizione di Marco, ne avevo parlato col Gufo e lui mi aveva detto: “Torna, torna! Non ti preoccupare” e avevamo scommesso che se fosse tornato avrei registrato la storia... La storia? Direte voi, ma è una banalità... forse, dico io,... ma spero tanto che abbiate torto!
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