venerdì 31 agosto 2007

QUESTI LEONI 4

QUESTI LEONI 4
ROMANZO GAY 1986
CAPITOLO 3
(I CAPITOLI SUCCESSIVI SARANNO PUBBLICATI IN QUESTO BLOG TRA POCO)
L’indomani Angelo e Marco non si incontrarono, entrambi si chiesero perché ma non stettero a pensarci troppo, il loro distacco non poteva durare di più. La sera Marco chiamò Angelo al telefono.
- Ciao!
- Come va?
- Mah, non c’è male ... più o meno...
- Cioè?
- Niente, non mi va di parlare di me.
- ... e allora parla d’altro...
- Non mi va nemmeno di parlare d’altro.
Angelo voleva chiedere perché Marco non si fosse fatto sentire prima ma gli sembrò una cosa da non fare.
- C’hai gente a casa?
- No!
- ...Dai, parla, su...
- ... senti, io chiudo... scusami.
- ... va be’...
- Ciao.
Interrotta così la conversazione nessuno dei due si allontanò dal telefono, i minuti passarono ma non accadde nulla. Angelo avrebbe chiamato, tanto più che in casa c’era solo Marco ma si sentiva frenato congelato, quasi ridotto alla immobilità. Marco cominciò a sentirsi nervoso, si pentiva di aver telefonato, di essere stato debole, di avere preferito lanciare un segnale, sentiva però la necessità interna di non essere solo. Richiamare sarebbe stato un ulteriore atto di debolezza, gli passavano per la testa mille idee e poi il rapporto con Angelo gli andava stretto, diceva a se stesso che si sentiva condizionato e che quel tipo di rapporto non gli piaceva, lui non doveva dipendere da nessuno... in fondo stava così bene prima, doveva solo tornare alla vita di prima che era meno strana, più normale, con tanti pensieri assurdi di meno... ma poi, che cosa avrebbe fatto? Finché non ci si è innamorati e non si sono avuti amici veri è facile restare soli... ma quando si è sperimentata in qualche modo la vita a due come si fa a tornare indietro, a dimenticarsi delle ansie e delle gioie che hanno dato almeno l’impressione di vivere?
La decisione spettava solo a lui. Prese la cornetta, cominciò a formare il numero, non arrivò fino in fondo, chiuse nervosamente il telefono. Prese un foglio e una penna, già scrivere caro davanti al nome di Angelo gli sembrava strano, stracciò il foglio, decise che dall’indomani avrebbe vissuto in tutt’altro modo, cercò di immaginare come: studiando, riprendendo a frequentare i suoi compagni di scuola, Lucia in particolare gli sembrava l’unica via di salvezza. Gli dispiaceva che Angelo potesse restarci male ma si sforzava di non pensarci, in ogni caso avrebbe cominciato una vita nuova, più libera, con meno scrupoli, finalmente tutta sua. Camminava per la casa facendo questi progetti, aprì una latina di birra e la bevve d’un fiato, quando sentì una prima sonnolenza, vestito com’era, tirò su la coperta e si addormentò, con la radio accesa per fargli compagnia.
Angelo portò il telefono sul suo comodino per non seppellire la speranza, si sentiva puro in un’ebbrezza di abbandono, come sempre gli era accaduto, tornava alla realtà, provava dentro di sé un senso di assurda disperazione e di pace. Con amore rifece il letto, poi andò alla libreria, ne prese le poesie di Pasolini, le poggiò sulla sedia accanto al letto, accese la lampada da notte e spense la luce, si spogliò lentamente, ripiegando gli abiti con cura, osservò il suo corpo, si sentì stanco, entrò nel suo letto come in un sepolcro, aprì il libro che leggeva soprattutto nei momenti di sconforto.
“Un po’ di pace basta a rivelare
dentro il cuore l’angoscia...
Per quali strade il cuore
si trova pieno, perfetto anche in questa
mescolanza di beatitudine e di dolore?
... Si distendono
appena le passioni, si chiude la fresca
ferita appena, che già tu spendi
l’anima, che pareva tutta spesa,
in azioni di sogno che non rendono
niente...”
Queste parole di Pasolini erano per Angelo il vero Vangelo, chiuse il libro, lo ripose, si allungò nel letto, lasciò correre i pensieri, non spense la lampada, osservava i soliti quadri, le solite ombre, ascoltava i soliti rumori, dentro di sè diceva: certo adesso Marco si porterà dentro anche un po’ di me, vorrei che tutto questo non gli facesse male, io sarei felice anche di chiudere tutto così se sapessi che lui sta bene, vorrei che non dovesse mai soffrire per quello che ha scambiato con me. Marco, perdonami se puoi, io non conosco la misura comune del bene e del male. Gli pareva di sentire la voce di Marco, di vederlo, che cosa avrebbe fatto se fosse stato lì davanti a lui? Gli avrebbe lasciato il suo letto e si sarebbe seduto lì vicino a vederlo riposare, allora sì avrebbe avuto il cuore sereno... ma Angelo sapeva che questi sono i sogni che non rendono niente... o anzi rendono tollerabile l’angoscia profonda della solitudine e del senso della diversità. La parola mai tornava di tanto in tanto alla mente di Angelo e l’immagine di Marco andava svanendo piano piano. Spense la luce, venne il sonno, l’incubo della purezza e della solitudine, sognò di parlare con Marco ma non riusciva a capire che cosa dicesse, era tutto confuso, tutto impossibile, ma poi anche il sogno svanì, il corpo di Angelo riposò nell’assoluta serenità del vuoto e della rinuncia. La ribellione per la ricerca dell’impossibile è solo razionale, la coscienza profonda sa che è inutile e accetta. L’unica saggezza era andare avanti e non fingere di avere una speranza. L’indomani al risveglio Angelo era sereno, riposato, la giornata era luminosa, qualche striscia di sole invadeva la stanza, era un altro giorno.
Quella stessa mattina Marco andò a scuola in modo meccanico, svogliatamente, si sentiva vivere. Avrebbe dovuto solo riprendere i rapporti con i sui compagni, avrebbe dovuto solo riprendere la vita normale che faceva “prima”, qualche ragazza carina non gli sarebbe certamente mancata, sarebbe bastato lasciarsi andare un po’ e sarebbe diventato amore... poi cambiava idea e cominciava a pensare che sarebbe rimasto solo, che non sarebbe mai riuscito ad innamorarsi e difatti non gli era mai capitato, quando lui e Caterina stavano insieme non si sentiva inibito, si comportava con Caterina come fanno tutti i ragazzi, giocavano un po’, ma mentre Caterina sembrava coinvolta emotivamente, Marco recitava un ruolo, qualche volta anche eccitante, ma un ruolo, non aveva mai pensato che Caterina fosse una persona come lui o che potesse essere la speranza vera della vita, in sostanza non si era mai sentito innamorato di Caterina. Anche se Marco non si sentiva un ragazzo come tanti altri, non sfuggiva per questo al portarsi dietro degli schemi mentali molto rigidi, per lui amicizia, amore e sesso erano tre realtà teoricamente ben definite e distinte, non cercava di adeguare i propri pensieri ai desideri, ma al contrario cercava di condurre la propria affettività secondo ciò che aveva imparato essere bene e male. In qualche modo, proprio perché percepiva il peso della norma tentava in ogni modo di conformarvisi e si valutava sulla maggiore o minore riuscita di questo tentativo. Marco ci teneva molto a considerarsi una persona normale, questa categoria era per lui fondamentale, lo condizionava. Se da un lato voleva fare di tutto per sentirsi nella norma, dall’altro si rendeva conto che la volontà in certe cose non serve, si sentiva in conflitto con la norma, avrebbe voluto seguirla e in ogni caso non avrebbe fatto nulla per uscirne. Incontrare Angelo lo aveva messo in crisi, ma la risposta prevalente era stata la fuga. Tutte queste cose Marco le sapeva ma evitava di pesarle, il coinvolgimento emotivo che aveva provato negli incontri con Angelo era fortissimo, ma Marco non tollerava di vedere assottigliarsi il confine tra amicizia e amore, certe volte gli pareva di stare così bene da provare quasi una intimità di tipo sessuale, ne era rimasto molto scosso, non era Angelo che lo spaventava ma la tentazione di accettare un’altra vita. Marco, secondo i suoi ragionamenti, non aveva scelta, doveva fare quello che aveva fatto, doveva andarsene e basta, se fosse stato tutto qui, dato lo strappo, poteva bastare lasciare trascorrere il tempo e non pensarci più, ma non era tutto lì, a quel principio di storia sentimentale bisognava sostituirne un’altra e qui Marco sapeva bene che avrebbe rinviato sempre. Stare soli è brutto, ma innamorarsi per dovere morale è peggio, Marco sapeva che non sarebbe accaduto, cercava di definire i suoi rapporti con una ragazza in termini di eccitamento sessuale, così come gli era capitato con Caterina e questo in qualche modo lo confermava nella sua opinione di normalità. Prima di conoscere Caterina Marco viveva la sua sessualità masturbandosi di tanto in tanto, non aveva mai avuto problemi per questo perché riusciva benissimo a farne a meno e non aveva i tipici complessi che tanti ragazzi hanno su queste cose, quando gli capitava era spesso in coincidenza di sogni e non si trattava neppure di sogni erotici nel vero senso della parola ma di immagini il cui contenuto prevalente era il contatto fisico con altri corpi, ma questo contatto non era di natura propriamente sessuale ma di carattere indefintamente fisico, come una comunione di nudità senza imbarazzo, erano tuttavia immagini di un contatto molto dolce, tanto che Marco qualche volte giungeva a bagnare il suo sogno, qualche volta si svegliava e cercava di concentrarsi su qualche contenuto di carattere tipicamente sessuale, a Marco il sesso piaceva molto, soprattutto come fantasia, come creazione mitica di un mondo di tenerezza, l’aggressività sessuale, l’idea di sesso come forma di dominio, o anche il sesso disimpegnato, come forma di solo gioco, non lo interessavano. In genere non era soddisfatto del fatto di masturbarsi, gliene restava come una specie di nausea, non così per i sogni in cui l’orgasmo giungeva da solo. La storia che aveva avuto con Caterina quando aveva sedici anni era spesso presente nei discorsi di Marco, meno spesso nei suoi pensieri. Caterina era fisicamente carina ed era per di più una ragazza molto timida, si erano conosciuti a scuola, per caso, Caterina aveva un anno meno di Marco e frequentava allora il quinto ginnasio, Marco era in primo Liceo, sembrava più grande della sua età e aveva fama di essere un ragazzo molto serio, che sapeva stare al suo posto, e per di più era un bel ragazzo. Caterina cominciò a scambiare qualche parola con Marco durante la ricreazione, si trovavano simpatici a vicenda, Caterina era intelligente e vivace, aveva occhi profondi e sorriso luminoso, Marco la considerava un’amica, presero l’abitudine di incontrarsi il pomeriggio dopo la scuola, uscivano tenendosi per mano, ai giardini Caterina appoggiava la testa sulla spalla di Marco, Marco si sentiva a suo agio, stava bene in quella situazione ma non parlava d’amore. Si incontravano al mattino a scuola e decidevano di vedersi nel pomeriggio, era tutto molto semplice. Poi Caterina cambiò scuola e al mattino non si incontrarono più. Caterina telefonò più volte a Marco per mettersi d’accordo e incontrarsi nel pomeriggio, Marco non disse mai di no, continuarono a incontrarsi per un po’, poi Caterina non telefonò più e Marco riprese l’abitudine di andare in giro da solo. Dopo due mesi di silenzio, il giorno della su festa, Marco telefonò a Caterina, la risposta fu gelida, Marco si chiese perché avesse ritelefonato... concluse che non poteva che finire così. A arte quella ultima telefonata alla quale non diede mai troppo peso, Marco continuò con tutti e anche con se stesso a parlare bene di Caterina ma non desiderò mai di tornare indietro. Quella storia lasciò su di lui alcune tracce. Fu felice di non essersi mai smentito in difficoltà e di essere riuscito ad essere sempre padrone di se stesso. Qualche volta provava a richiamare alla mente il ricordo di Caterina e a colorirlo di valenze sessuali me era piuttosto un esercizio per mettere alla prova se stesso.
Marco aveva molti amici, forse troppi, molti li conosceva soltanto per averci scambiato qualche parola, con pochi aveva l’abitudine di parlare, quattro o cinque gli telefonavano di tanto in tanto, ma tutte queste persone vivevano una vita molto diversa dalla sua e Marco lo sentiva, anche a loro non diceva mai di no, era un modo, un tentativo, per non restare solo del tutto, lo trattavano in modo semplice e diretto, lo rispettavano molto, ne era contento, ma dai loro discorsi e dai loro comportamenti capiva benissimo di essere un ospite, di riguardo quanto si vuole ma un ospite, uno che non fa parte del gruppo. La maggior parte dei pomeriggi Marco restava solo, quando era freddo stava in casa a leggere o a vedere la televisione. Nessuno dei suoi compagni era mai andato a trovarlo a casa sua e nessuno sapeva neppure di preciso dove abitasse. La sua casa, il padre, la madre, il fratello e la sorella per Marco erano sempre stati il suo vero mondo, l’unica vera ancora di salvezza che non fosse mai venuta meno. Quando usciva tutti i pomeriggi con Caterina, la madre lo rimproverava sempre di essere un perdigiorno e di non avere la testa a posto, ma tutti i pomeriggi Marco aveva una camicia perfettamente stirata e un po’ di soldi in tasca per andare a prendere un gelato o una pizza.. Il padre di Marco era quasi sempre fuori per lavoro, rincasava tardi, coi figli parlava poco, li lasciava molto liberi. Quando Marco compì diciassette anni il padre gli fece trovare le chiavi di un motorino nuovo sul comodino con un biglietto: “Stai attento a non farti male. Ciao! Papà”. Al diciottesimo compleanno il padre lo aveva iscritto alla scuola guida e gli aveva detto: “Non prendere impegni nei giorni dispari della settimana perché da lunedì hai le lezioni di guida”. Il padre di Marco aveva pochi amici, tre o quattro, uno decisamente anziano e altri della sua età, quello più anziano si chiamava Gaetano e viveva solo, dicevano che sotto il fascismo era andato al confino, lui diceva per motivi politici, altri insinuavano perché dell’altra sponda. Un giorno Gaetano fu invitato a pranzo con tutta la famiglia di Marco al completo. Era un uomo vecchio, molto curato nella persona, quando parlava cercava di essere gentile, ma dava l’impressione di un vecchio che fa appello a tutte le sue forze per restare padrone di se stesso e non essere di peso a nessuno. Dopo il pranzo il padre di Marco uscì con Gaetano, quando rientrò Marco gli chiese:
- Senti, papà, ma è vero quello che dicono di Gaetano?
- Sì, è andato al confino... adesso non so quanto tempo...
- Ma le gente dice che non c’è andato per motivi politici...
- Marco, ... non sono affari tuoi.
- Scusa... buona notte.
- Ciao Marco.
Quando rientrò nella sua stanza Marco si sentì felice di avere un padre, era contento che suo padre fosse così, gli voleva bene perché in fondo con quattro parole gli aveva dato una lezione indimenticabile. Due settimane dopo Marco comprò un portafoglio per il compleanno di suo padre, si fece una foto in atto di salutare con la mano e la mise nel portafoglio. La notte, quando il padre tornò a casa dormivano tutti, potevano essere le tre, Marco era rimasto alzato, poi si era addormentato sulla poltrona dell’ingresso, quando sentì il rumore della porta si svegliò, poi disse sotto voce:
- Ciao, tanti auguri!
Il padre prese il pacchetto, lo aprì, vide la foto.
- Grazie Marco.
Poi abbracciò il figlio per alcuni secondi. Era una cosa assolutamente insolita, Marco era felice.
- Adesso vai a letto che domani devi andare a scuola ,e... grazie.
- Buonanotte.
Il fratello di Marco aveva tredici anni, la sorella sedici, andavano d’accordo, Marco si sentiva più grande, in qualche modo per il fratello e la sorella era lui la colonna della casa.
Marco amava la sua stanza, i suoi libri, i suoi diari, le sue carte, era piuttosto ordinato, teneva con cura i vestiti, era attento alla cura del suo fisico, avrebbe dovuto portare gli occhiali per una leggera miopia, ma non lo faceva, amava il dolce far nulla, la tranquillità, il riposo, le fantasticherie, gli piaceva restare a letto il più possibile nelle giornate d’inverno, oppure guardare attraverso la finestra lo spettacolo della estrema periferia di Roma, il bighellonare dei ragazzi, il vivere delle famiglie dietro i vetri degli altri caseggiati. Marco amava anche il suo quartiere e quella gioventù che vi cresceva troppo spesso senza amore, ce l’aveva con quelli dei quartieri bene della città, non parlava mai del luogo dove viveva nè della sua famiglia proprio perché per lui erano cose troppo private, capaci di toccarlo nel profondo. Marco era abituato ad essere trattato con amore ed era cresciuto in un’atmosfera sostanzialmente serena, non era in conflitto con i suoi genitori, si sentiva un bravo ragazzo ed era fiero di questo sentimento, non dava peso al denaro e all’arrivismo, in politica era sempre dalla parte dei più deboli e a favore delle grandi cause, si sentiva in pace con Dio e col prossimo, aveva la coscienza a posto, non aveva mai agito contro la sua coscienza, era contento di sè e del suo saper obbedire, del suo saper rispettare le regola. Conoscere Angelo gli aveva lasciato il dubbio che tutta la sua serenità potesse crollare da un momento all’altro. Marco era rimasto impressionato dal rispetto timoroso con cui Angelo lo trattava, Angelo non era mai stato aggressivo, era sempre stato disposto a cedere. Marco ripensava all’aria di vecchio impacciato che aveva letto sul volto di Gaetano. In ceri momenti Marco pensava che Angelo gli avrebbe ritelefonato e cercava di costruire qualche frase gentile per dire che doveva andare per la sua strada, in altri momenti aveva la certezza che Angelo non si sarebbe più rifatto vivo e si diceva che lui non lo avrebbe richiamato... o forse sì, dopo qualche mese, con la scusa del Natale... in fondo telefonare per Natale vuol dire ricordarsi di una persona, è come dire: io vado per la mia strada ma di te ho conservato un buon ricordo. Quando Marco rientrò a casa dalla scuola, subito dopo il pranzo si gettò sul letto, provava la terribile sensazione di sentirsi solo, uno squillo di telefono lo fece trasalire: un attimo lunghissimo con pensieri turbinanti, era una zia che voleva parlare con la madre, Marco si trovò impreparato di fronte alla sua stessa reazione: dunque dimenticare non era così facile, vinse la tentazione di telefonare, uscì, andò all’Eur, girò per i giardini, non si fermò un istante, doveva dimenticare tutto questo... ma come? Il suo girare gli sembrava inutile, senza senso, continuò fino alle sei del pomeriggio, poi entrò in una libreria, comprò le poesie di García Lorca, qualcuno gli aveva detto: il più grande poeta d’amore di Spagna, scese vicino al laghetto, si sedette sul muretto e cominciò a leggere., Lorca era del ‘98, dunque le prime poesie erano state scritte tra i venti e i ventun anni. Marco rimase strabiliato come da una scoperta inaspettata. Quale sofferenza terribile doveva esserci nel cuore del giovane Lorca! Se questo era l’amore aveva un sapore di lacrime disperate, un tentativo di farsi sangue lirico. Marco andava avanti nella lettura e si sentiva quasi una morsa al cuore, una voglia assurda di piangere. Chiuse il libro e rimase a pensare o meglio a vivere dentro di sè le sensazioni ce aveva cominciato a provare, avrebbe voluto conoscere García Lorca, parlarci, sarebbe stato ad ascoltarlo in silenzio. A casa la sera non si trattenne a vedere la televisione, si mise sul letto a leggere, provava una emozione di tipo affettivo, tangibile, quasi fisica, si sentiva vivere attraverso le parole di Lorca, gli sembrò che il mondo fosse bello e che comunicare quello che aveva nel cuore fosse una cosa meravigliosa. Nelle poesie di Lorca ravvisò più di qualche cosa che lo mise in allarme, questo non bastò per allontanarlo dal libro. Il libro non lo aveva colpito in modo generico, dietro quei versi Marco rivedeva Angelo e se ne rendeva conto, leggere significava in qualche modo indagare l’anima di Angelo, le sue sofferenze, i suoi pensieri più nascosti, le cose che non avrebbe mai detto. In questa operazione Marco si sentiva al sicuro, Angelo non poteva vederlo mentre scavava nella sua anima, poi Marco pensò che non era al sicura da se stesso e che Angelo lo spiava proprio dal fondo della sua anima, tuttavia non aveva paura: l’essenziale era non rivedere Angelo, quanto a dimenticarlo, perché avrebbe dovuto? Stava imparando a conoscere il mondo di Angelo, poi gli venne il dubbio che quel mondo fosse anche il suo. Di pensare Marco non poteva farne a meno, decise di poterselo permettere, telefonare ad Angelo si diceva che non lo avrebbe mai fatto. Quella serata trascorse così, Angelo non c‘era ma la sua presenza si sentiva nell’aria, Marco cominciava a sentirsi in colpa, si chiedeva che cosa potesse essere passato per la mente di Angelo, come potesse stare in quegli stessi momenti, cercava di immaginarlo, ma non poteva, non doveva, doveva solo dimenticare e basta, era stato solo un episodio, rimase a pensare parecchio tempo... poi venne il sonno. E in realtà Marco non poteva immaginare ciò che occupava l’anima di Angelo, erano infatti sentimenti contorti in cui non è facile distinguere amore e dolore, Angelo non riusciva a non pensare a Marco e neppure si sforzava di dimenticare, una sola idea fissa lo lacerava, si diceva da se stesso che avrebbe dovuto evitare del tutto evitare del tutto di lasciarsi andare, avrebbe dovuto perfino evitare di parlare con Marco e invece si era abbandonato a chissà quali speranze (maledetta la speranza!) e per una stupida speranza aveva finito per lasciare un segno su Marco. Si chiedeva come Marco lo avesse giudicato e più ancora come lo avrebbe giudicato a distanza di tempo e quale sensazione potesse restare in Marco per essere stato coinvolto in una situazione come quella, in certi momenti avrebbe veramente desiderato di essere dimenticato completamente, ma in altri quella stessa speranza che cercava di demonizzare e di esorcizzare gli tornava limpida davanti agli occhi insieme con l’idea che “forse” non aveva sbagliato. Angelo Amava Marco, in quel ragazzo dall’anima pulita e generosa avrebbe voluto vivere, fosse anche per un attimo, il tempo di offrirgli la sua vita o la sua morte. Angelo non si sentiva abbandonato o triste, ormai aveva smesso di vivere per se stesso, Marco era la sua seconda anima, Angelo si era innamorato tre o quattro volte di ragazzi che aveva avuto vicino ma i suoi amori erano finiti subito perché totalmente a senso unico. Nessuno dei ragazzi che Angelo aveva amato se ne era nemmeno accorto ed era meglio così perché la risposta sarebbe stata sgradevole, pian piano si impara anche a non esistere. Come era diverso parlare con Marco, stargli vicino, vederlo piangere e poi sorridere di nuovo. Che cosa poteva essere l’amore se non questa forma di incontro? E poi Marco aveva capito certamente il senso dei discorsi che avevano fatto, sì, era andato via, ma non subito, con rispetto, con amore. Angelo vedeva Marco con un tale senso di tenerezza che aveva sublimato del tutto perfino il sesso. Angelo capiva che suo dovere era quello di non farsi vivo, accettava tutto quanto con gioia e avrebbe accettato perfino di non rivedere più Marco se avesse capito che era meglio per lui. In fondo, Marco solamente gli aveva dato l’anima, gli aveva voluto bene, magari per un momento, Angelo era sicuro di questo, aveva la certezza di essere stato amato almeno per un attimo e per quell’attimo era disposto anche a sparire. Amore contro amore, sarebbe stato felice così. Angelo era sospeso in una specie di limbo, il suo destino era solo l’attesa ma pervasa dall’immagine di Marco l’attesa era dolce. Al lavoro Angelo vedeva di tanto in tanto il suo pensiero fuggire, rifugiarsi nel suo paradiso, cero poteva essere solo fantasia ma il confine tra la fantasia e la speranza è molto lieve. Come avrebbe voluto che l’attesa fosse finita, come avrebbe voluto superare quelle attese, verso qualche cosa, verso qualsiasi cosa. Tornava a pensare che da Marco era stato trattato con finezza, con dolcezza, con rispetto, in una sola parola con amore. Il pomeriggio Angelo rimase in attesa di ciò che ben sapeva non sarebbe accaduto, ma lui sarebbe rimasto in attesa come che aspetta che Dio gli parli, gli risponda, si ricordi di lui. Angelo si abbandonò a pensieri di felicità, si proiettò lontano con il cuore e con la fantasia... e se la vita fosse qualche volta meno oscura? Se l’amore esistesse perché non dovrebbe essere quello che ho provato o? Marco non era un ragazzo da conquistare, era la dimostrazione che anche per Angelo era possibile amare ed essere amato, la felicità di Marco sarebbe stata la felicità di Angelo, fosse consistita anche nel distacco definitivo. Col passare dei giorni i propositi di Marco divennero meno definiti, cominciava a sentirsi solo, in casa sua madre lo guardava dissimulando qualche preoccupazione, avrebbe voluto chiedergli che cosa avesse ma non lo fece. Marco usciva tutti i pomeriggi e andava in giro per la città, evitava di andare agli appuntamenti con i suoi amici e poi se ne giustificava, talora vi andava e si sentiva totalmente estraneo. Marco capì quanto possono essere lunghi dieci giorni. Una sera rientrato dal girovagare pomeridiano pensò che se voleva chiamare era segno che doveva chiamare. Se fosse rimasto deluso da Angelo non lo avrebbe chiamato più e avrebbe almeno avuto un motivo veramente suo per non farsi risentire. Pensò che doveva andare fino in fondo, che sarebbe tornato indietro solo se Angelo lo avesse deluso, non poteva e non doveva esserci nessun’altra ragione. Prese in mano in telefono.

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