giovedì 23 agosto 2007

QUESTI LEONI 2


QUESTI LEONI 2

ROMANZO GAY 1986
CAPITOLO 2
(I CAPITOLI SUCCESSIVI SARANNO PUBBLICATI IN QUESTO BLOG TRA POCO)


Quando Marco fu in strada cercò di riflettere su ciò che sapeva di Angelo, sostanzialmente nulla, si ricordò di un particolare, aveva sentito che Angelo abitava a Monte Verde, vicino a Villa Sciarra, il giorno appresso ci passò l’intero pomeriggio inutilmente, ma non era razionale, non sapeva che fare, trascorsero alcuni giorni, Angelo era rientrato nella vita usuale ed anche Marco stava dimenticando il giorno della festa. Si incontrarono per caso, Angelo era uscito presto per andare in banca in centro, potevano essere le nove. Quando Angelo salì sul tram dalla parte posteriore e vide Marco si sentì agitatissimo, paurosamente felice, Marco aveva una borsa di libri di scuola:
- Ciao.
- Ciao.
- Che fai di bello?
- E tu?
- Io ho fatto sega a scuola.
Angelo pensava che il non andare a scuola fosse legato alla realizzazione di altri piani, evitò di fare domande. Parlarono di politica in modo ironico, Marco di tanto in tanto rideva, Angelo aveva paura di deluderlo e si affannava a recitare la sua parte di giullare, ma come era diversa quella recitazione da quella alla quale era abituato! Avrebbe fatto qualsiasi cosa per vedere Marco ridere così. Il tram avanzava fermata dopo fermata. Fu Marco a prendere l’iniziativa.
- Ma tu dove stai andando?
- Da nessuna parte, e tu?
- Scendiamo e andiamo a Villa Torlonia!
Era una bella mattina di sole, c’era poca gente in giro, scambiarono battute sulle suore, Marco aveva una zia suora. Tornarono a parlare di politica. Ciascuno avvertiva nei discorsi dell’altro una timidezza e un affetto singolare. Non c’era una discussione ma un reciproco prudentissimo tentativo di conoscersi meglio. L’orologio correva follemente ma il procedere del loro rapporto era lentissimo, quasi impercettibile.
- E’ una bella villa anche villa Sciarra, ci sono stato qualche giorno fa.
- Io abito proprio lì vicino.
- Sì, lo so.
- Come lo sai?
- Lo hai detto tu alla festa.
- Angelo si sentiva incoraggiato dal fatto che Marco ricordasse questo particolare e si fece più ardito.
- Mi dai il tuo indirizzo?
Si scambiarono gli indirizzi. Marco era a suo agio, si sentiva libero e non gli capitava spesso, salì sull’altalena dei bambini, rideva, si sedeva sulla spalliera della panchina, giocava coi sassolini e soprattutto non teneva conto del tempo. Angelo era angosciato all’idea che quella mattinata così irreale potesse concludersi male per colpa sua, voleva stare zitto per non dire sciocchezze ma aveva pure una disperata voglia di parlare, stette in silenzio qualche secondo e Marco gli chiese:
- Come stai?
Angelo con voce esitante rispose:
- Niente, sto bene.
- Non è vero.
- E tu come stai?
- Bene.
- Ma è vero?
Seguì una breve pausa di silenzio:
- Sì, non è la fantasia che conta, è la realtà.
Il discorso proseguiva in termini simbolici, in quella mattinata capirono che potevano stare insieme senza dire apparentemente nulla e che essere liberi è difficilissimo, quando si ha qualcuno in cui sperare.
Ripresero il tram, Angelo non scese alla sua fermata ma a quella di Marco, quando questo salì sul suo autobus disse ciao, sorrise e accennò un saluto con la mano. Angelo era in estasi, cominciava a credere ai miracoli.
Il giorno successivo Angelo non uscì di casa per non perdere l’opportunità di ricevere la telefonata di Marco, ma non ci fu telefonata. Angelo aveva il numero di Marco e avrebbe potuto chiamarlo, ma non gli sembrava opportuno, temeva non di sentirsi rispondere in modo generico ma di compromettere un rapporto così diverso da quelli che aveva conosciuto. Marco non avrebbe dovuto in nessun caso perdere la sua liberà, Angelo gli voleva bene, per lui avrebbe fatto qualsiasi cosa, l’avrebbe anche lasciato solo.
Il giorno seguente Angelo uscì prestissimo al mattino, molto prima delle sette, fece la spesa e rientrò immediatamente, anche se con minore speranza, aveva deciso che avrebbe continuato ad attendere, sperava che Marco potesse non andare a scuola, che potesse venire a trovarlo o almeno che potesse telefonare ma questo non accadde. Dopo il pranzo il senso di disillusione di Angelo era bruciante, si sentiva depresso e stupido, andò a letto e cadde in un sonno profondo. Alle tre e mezza il telefono lo svegliò di soprassalto, alzò la cornetta col batticuore.
- Pronto.
- Ciao.
Quel ciao era per Angelo, Marco lo aveva cercato, qualsiasi fosse il motivo, la telefonata era per lui.
- Come va?
- Mah! E tu?
- Ma che domande che fai, così a bruciapelo.
- Dai, rispondi, come va?
- Adesso bene.
Seguì una piccola pausa, Marco notò l’adesso.
- Che stavi facendo?
- Stavo dormendo.
- Io non trovo mai i momenti opportuni...
- Che discorsi!
- Dai, ti lascio dormire.
- Senti tu me lo dici come stai, invece di dire Mah!
- Che hai fatto ieri?
- Niente, sono stato a casa tutto il giorno e tu?
- Ho fatto sega a scuola e sono tornato a Villa Torlonia.
Angelo avrebbe voluto sapere con chi, ma non lo chiese.
- E ieri come stavi?
- Ma tu vuoi sapere tutto... ah! Questi leoni!
- Dai, adesso non cambiare discorso, come stavi?
- Male.
- E adesso?
- Meglio.
Pensarono entrambi che avrebbero potuto passare insieme una mattina ma evitarono questo discorso. Fu Marco a procedere oltre.
- Senti, io sto qui a una cabina dell’Eur, perché non vieni un po’ qui?
Marco non aveva la certezza della risposta, la sua proposta era troppo scoperta.
- Arrivo. Dimmi dove, faccio prestissimo.
- Senti, ci vediamo a viale Marconi, subito prima del ponte.
- Va bene, a tra qualche minuto.
- Ciao.
- Ciao.
Angelo andava a quell’appuntamento con l’anima piena di canti e di entusiasmo. Marco che pure l’aveva richiesto evitava perfino di chiedersi perché, si videro a distanza e si salutarono senza darsi la mano.
- Di qua o di là?
- E’ lo stesso.
- Come va?
- Bene.
- ...
- Senti ma tu che ne pensi di Pannella?
Il discorso era un puro pretesto esplorativo, Marco a quei tempi era radicale, Angelo lo sapeva e cercava di dire la sua ma con la necessaria prudenza; Marco assisteva a questo prudentissimo esercizio di parole leggendo dietro le esitazioni e le pause una forma di rispetto così rara che se non avesse avuto paura l’avrebbe chiamata amore. Angelo era felice di essere ascoltato con attenzione, a Marco non sfuggiva nulla, era analitico, ma ogni tanto si lasciava andare a un mezzo sorriso, si voltava a guardare Angelo negli occhi e Angelo rispondeva con un altro mezzo sorriso disarmante. Marco si sentiva libero, Angelo contava mentalmente il tempo, vedeva quel pomeriggio bruciarglisi così davanti agli occhi.
Marco non amava la scuola, ma a suo modo era colto, sceglieva i suoi libri con cura, era scettico e arguto, pensavano tutti che fosse di ghiaccio, ma non era così. Angelo viveva momenti intensi, dolci e molto temuti. Nessuna altra presenza lo aveva mai posto in quello stato, quell’apparente parlare d’altro e stare bene lo rendeva agitato come quando si è presi in una nuova tentazione e si teme che possa finire. La loro conversazione era attentissima. Marco stava quasi sempre ad ascoltare, ma quando interveniva la conversazione prendeva subito un’altra strada, si finiva spesso per parlare di altre persone, ma erano anche questi discorsi indiretti e allusivi.
- Tu di Massimo che pensi?
- Per me è molto intelligente, e poi non è montato, ci puoi parlare perché ti sta a sentire, non è banale, ci si passa bene il tempo, soprattutto ti rispetta, non ti snobba.
- E’ vero.
- Io però ci parlo pochissimo, mi mette un po’ a disagio proprio perché non è banale e poi sa stare zitto e qualche volta mi mette in crisi.
- E’ vero, però certe volte è meglio ascoltare, si capiscono tante cose in più, uno si sente più protetto, cioè non è che stare zitti vuol dire non partecipare...
- Lo so, però pure a parlare molto qualche volta ti viene la paura di dire sciocchezze, certe volte io attacco a parlare e non la finisco più e magari farei meglio a stare zitto, non è che poi questi problemi me li pongo sempre, certe volte parlo solo per parlare perché mi trovo davanti a gente che per me non significa niente, ma qualche volta uno del silenzio ci può anche restare male, cioè non male però... insomma uno ha paura di sbagliare.
- E di Lucia che pensi?
- Per molti aspetti mi sta bene, però vive in un mondo totalmente diverso dal mio, qualche volta quando ci parlo mi tocca proprio recitare, per lei tutto è ovvio, due più due fanno sempre quattro, qualche volta mi parla per allusioni e per sottintesi e mi fa rabbia, mi tratta un po’ come uno che sta fuori del mondo.
- Ma la conosci bene?
- Ma che vuol dire bene? La conosco da più di un anno.
- Ma le telefoni mai?
- No, ogni tanto mi chiama per qualche gita o per le feste però credo di essere un argomento poco importante.
- E l’altro giorno alla festa di che avete parlato?
- ... indovina...
- Non lo so.
- Dai, prova a indovinare...
- Non avrete mica parlato di me per caso?
- Nooo!
- Va be’, ho capito, e che avete detto?
- Ha detto che sei un’acqua cheta e che ha un progetto che ti riguarda.
- Cioè?
- Senti, cambiamo argomento.
- E tu che hai detto?
- E che dovevo dire?
- Va bene cambiamo discorso... che cosa stai pensando?
- Cambiamo discorso!
- No, dai, che stai pensando?
- Niente, non penso, sto bene e basta, perché dovrei pensare qualcosa? Certe volte mi sento assurdo, ma certe volte sto proprio bene, non lo so, però vedo tutto in un altro modo, come ti posso dire, non so se mi capisci?
- Sì, vai avanti.
- Ecco qua, ho rifatto la solita predica, la solita tirata, è vero che parlo troppo?
- No, non è vero.
- Vedi anche adesso cerco di riempire i vuoti e i silenzi, capisci?
- Sì, capisco, ma se non ti va puoi stare pure zitto, se si parla di meno quello che si dice ha più importanza.
- Va bene...
- ...
- Ti piace Baglioni?
La conversazione tornava così a livello di minore tensione, Marco cominciò a parlare di Baglioni, ma senza il linguaggio allusivo che avevano usato fino a quel momento, Marco disse che Questo piccolo grande amore era una canzone molto bella, Angelo si sentì gelare ma rispose che era molto bella veramente, il suo senso di disagio andò aumentando con il passare dei secondi, i discorsi di Marco non erano quelli che Angelo avrebbe voluto.
- Beh! Che c’è, dai, adesso non cambiare umore, che c’è?
- Niente.
- Dai, dimmi come stai.
- Stavo meglio prima.
- Me ne sono accorto... ho detto qualche cosa che non ti è piaciuta....
- No, che c’entra, ...
- Lo so che se sto zitto dico meno fesserie, ma è la forza dell’abitudine e poi a dire quello che penso non ci riesco, non te o devi chiedere, o almeno non me lo devi chiedere.
- Scusami Marco, ma sono un cretino.
- Non è vero, sono io che sono stato un po’ cattivo, se lo avessi fatto tu con me avrei reagito nello stesso modo. Angelo sorrise per sottolineare la chiusura dell’incidente, Marco si sentiva soddisfatto di quell’incidente e di essere riuscito a parlare un po’ di sè.
- Eh! Questi Leoni! Questi giovani d’oggi.
Angelo aveva superato il suo batticuore, il timore di sbagliare si era allontanato di molto ma non era svanito del tutto. Marco era come sempre un passo oltre.
- Senti, Marco, non sfottere!
- No, no, basta, sto calmo.
- Mh! ...
- Senti, andiamo dall’altra parte che c’è il sole
- Andiamo.
- Tu pensa se ci vedono qui!
- Perché, che succederebbe?
- Però sarebbe bello, te lo immagini poi, domani mattina.
- Preferisco non immaginarmelo.
- Ma perché, non stiamo facendo niente di male.
- Lo so.
- Dai, si vede che ti vergogni...
- Ma che c’entra?
- Senti, tu ce l’hai una giacca nera?
- Sì, credo di sì.
- Perché non me ne regali una? ... Nera però.
Nel dire così Marco voltava a metà il bavero della sua giacca.
- Guarda non è meglio così?
- A me non sembra.
- Senti, mi fai provare la tua giacca?
- Quale?
- Quella che porti adesso.
- Senti, io mi vergogno...
- Lo vedi come sei!
Angelo gli diede la giacca.
- Bella! Mi invecchia però.
- Senti, ma guarda che tipo...
- No, dentro ci si sta bene (e rideva) ... va be’, va be’, ti ridò la giacca... ecco.
Durante l’operazione Marco si fermò per un attimo come se si sentisse osservato, Angelo se ne accorse.
- Beh! Che fai? ... no, non c’era nessuno... però come ti spaventi presto! Aspetta che c’è la fontanella.
Marco si fermò a bere, poi con le mani bagnate spruzzò il viso di Angelo. Marco rideva, faceva quella strada tutti i giorni, ma quel giorno rideva, Angelo era sconvolto dall’entusiasmo e dalla paura. Pian piano il sole era tramontato.
- Ce l’hai la tessera?
- Sì.
- Senti, prendiamo il 30 e andiamo al Colosseo, poi la metro B, va bene? O sei stanco?
- No, va bene.
- Alla fermata aspettarono un bel po’, non volevano prendere un tram pieno.
- Senti Marco, ma se tu avessi passato il pomeriggio in un altro modo che avresti fatto?
- Mah! Forse sarei andato in giro.
- A fare che?
- Niente, così, in giro e basta.
- Ci vai spesso?
- Sì, quasi tutti i giorni.
- Proprio randagio!
- Ahi! Quanti giudizi!
- Beh, un po’ è vero.
- Ma lo sai che stai troppo zitto? Senti adesso mi devi dire una cosa, però vera, ti sei annoiato?
- Proprio no! Anzi!
- Cioè, dai, spiegami un po’.
- Mah! sono stato bene, che ti posso dire, a mio agio, mai in difficoltà, anzi! E poi non lo so, c’è poco da spiegare, tra come puoi sembrare a prima vista e come sei c’è una differenza enorme, hai uno spirito e una personalità travolgente.
- Dai, dai, che questo discorso mi interessa.
- Io qualche volta mi chiedo qual è il Marco vero, cioè mi chiedo che cosa c’è dietro.
- Mh! ... Va be’ e a te che ti sembra?
- Tirare a indovinare è pericoloso e io ti conosco poco, si vedono due comportamenti, quello di oggi è stupendo.
- Cioè?
- Cioè a me piace moltissimo, si sente che sei vivo, però non è tutto qui, non mi fare tirare a indovinare ché altrimenti finisco per dare interpretazioni secondo la mia fantasia e dico bestialità.
- No, dai, provaci!
- Non mi mettere alle strette!
- Va be’!
Marco sorrise un po’, Angelo rispose nello stesso modo, entrambi pensavano che la vita è davvero strana e che in fondo i discorsi non servono a niente, Angelo avrebbe voluto chiedere a Marco che cosa avrebbe fatto l’indomani, se per caso si poteva passare un’altra giornata così. Ebbe paura di essere inopportuno e continuò a sorridere. Marco era sicuro di sé, senza paure, libero come non si ricordava di essere mai stato, presero un 30 quasi vuoto, Marco si sedette avanti, Angelo dietro, Marco si girò e guardò Angelo negli occhi, Angelo era imbarazzato ma non ebbe tempo per pensare.
- Beh, che pensi?
- ... Mah! ... Sì, penso però è difficile dirlo.
- Cioè?
- E tu che pensi?
- E, no, qui le domande le faccio io!
- Ma tu c’hai proprio l’arte di mettere la gente in crisi?
- Alla gente di me non gliene frega proprio niente.
- No eh? ... Beh, comunque non è sempre così. Io penso che tu magari non te ne accorgi però lasci un segno...
- Cioè?
- Cioè magari le persone che hai intorno e che sentono la tua presenza non te lo dicono nemmeno...
- E perché no?
- Perché hanno paura, chissà, magari di perderti, di darti fastidio, di crearti problemi... tra l’apparenza e la realtà c’è sempre differenza.
- Perché, tu come fai a dire che metto in crisi la gente?
- Un po’ perché capita pure a me di stare attento alle parole che dico.
- Guarda che capita solo a te, agli altri non gliene frega proprio niente... vedi, io oggi sono stato bene proprio per questo, non c’è stata invadenza, mi sono sentito rispettato, in fondo pure io sono stato attento alle parole, però non per te, per me, perché parlare è bello ma non mi piace lasciarmi andare troppo.
- E fai bene, anzi, deve essere sempre così, cioè io credo che gli altri sono sempre altri, nessuno ti capisce fino in fondo ...
- Lo sai che mi sta venendo in mente che questo discorso è stupido... è la prima volta che mi viene da pensare che col tempo tante cose possono cambiare, non lo so ?! Forse ci vuole tempo, forse bisogna conoscersi meglio... non lo so.
- Il fatto è che uno c’ha paura e grossa.
Fra questi discorsi e questi silenzi erano giunti alla fermata dell’ultimo autobus, erano andati insieme fino lì, senza neppure chiedersi perché. L’autobus stava accendendo il motore. Marco disse in fretta:
- Ti chiamo domani...
e saltò sull’autobus di corsa.

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