sabato 25 marzo 2017

UN GAY RIDIMENSIONATO

Ciao Project,
leggere i tuoi siti mi ha molto aiutato quando vedevo l’omosessualità come un problema o meglio come il mio problema per eccellenza. Leggendo il forum mi sono sentito meno solo e la cosa mi ha fatto stare meglio ma, forse per l’educazione che ho rivenuto in famiglia, continuavo a pensare alla omosessualità come ad un problema, comunque ho vissuto la mia vita e a 27 anni ho avuto la fortuna di trovare un compagno. Niente colpi di fulmine, semplicemente ci siamo accorti entrambi che dall’altra parte c’era un’attenzione speciale, nemmeno dichiarata ma reale. Abbiamo cominciato a frequentarci solo come amici, poi la cosa è cresciuta da sé, ci rendevamo conto che un punto di limite tra noi realmente non c’era. Poi una sera in cui girava male ad entrambi e avevamo bisogno di non essere soli, ci siamo abbracciati in un modo speciale e non c’è stato più bisogno di dire nulla. Nonostante tutto, all’esterno, siamo rimasti solo due amici che si frequentano ma hanno ciascuno la sua vita. Viviamo ancora entrambi a casa dei nostri genitori, che non sospettano di nulla. Fin qui potrebbe essere la storia di una qualunque coppia gay del sud un po’ spaventata dalle reazioni della gente. Io mi lamentavo spesso della mia e anzi della nostra situazione e mi sentivo il più disgraziato degli uomini ma non avevo capito proprio nulla.
Poco dopo che ci siamo messi insieme, il mio compagno ha cominciato a stare male, i medici prendevano le cose alla leggera ma io vedevo che le cose non andavano bene, insomma l’ho portato a Roma all’ospedale dei tumori e lì, purtroppo, ma dovrei dire per fortuna, sono arrivati alla vera diagnosi. Il mio compagno aveva un tumore. Quando glielo hanno detto gli è crollato il mondo addosso, e a me è successo qualcosa di simile, anche se non ero coinvolto in prima persona. Ti dico subito che le cose sono andate bene, adesso è tecnicamente guarito e deve fare solo dei controlli periodici, ma l’oncologo dice che il rischio di recidiva è oggettivamente minimo. Per uscire dal tunnel ci sono voluti sei anni, adesso ne ho 34 e lui 32, Project, questa esperienza ci ha proprio trasformato la vita. Quello che ho visto accompagnando il mio amico in ospedale mi ha ridimensionato. Adesso mi vergognerei a pensare che essere gay è un problema. I problemi sono altri e la cosa veramente terribile è doverli affrontare da soli, ma noi eravamo in due. La sua famiglia minimizzava e all’inizio mi dicevano che volevo mettere in testa al mio amico idee assurde e che lui stava benissimo, poi piano piano si sono resti conto. Non hanno mai capito perché io facessi per lui tutto quello che facevo, hanno sempre pensato che fosse solo per amicizia ma non era così. Non ho mai desiderato il bene e la vita del mio ragazzo come quando lo vedevo prostrato e depresso e cercavo di fare di tutto per tirarlo fuori dalla sua angoscia. Abbiamo vissuto insieme tutte le fasi, dal terrore vissuto con una fatalistica accettazione che era in realtà sono un tentativo di nascondere l’angoscia profonda per il futuro, alla prima luce di speranza, e poi, via via, tutta la strada verso l’uscita dal tunnel, sempre con l’idea di non andare troppo in là con la speranza e di non illudersi troppo. Avremmo voluto tante volte risposte incoraggianti dai medici ma erano sempre molto professionali e parlavano solo in termini di probabilità. Ricordo in particolare il medico che lo ha seguito in tutto il percorso, avrà avuto tra 55 e 60 anni, io penso che abbia capito che rapporto c’era tra noi, ci ha fatto sempre entrare insieme, e poi si fermava a spiegarci le cose nel dettaglio ma non sorrideva mai, era uno scienziato vero, ho visto il suo curriculum, quando gli mandavo una mail esprimendo dei dubbi, mi rispondeva in giornata. Solo le ultime volte l’ho visto in un modo diverso, dopo aver letto le analisi ci ha detto: “adesso possiamo stare relativamente tranquilli” poi ha visto che quel “relativamente” per me era stato come una pugnalata, ha accennato un sorriso e ha detto che la cautela in quelle cose ci vuole sempre ma che il mio amico per i protocolli medici era da considerare clinicamente guarito.
Abbiamo passato insieme sei anni della vita e li abbiamo passati insieme a combattere per la vita e adesso siamo veramente una coppia, restiamo per gli altri solo due amici perché non abbiamo denaro e lui è disoccupato mentre io ho un lavoro che ci permette a stento di starcene per conto nostro due o tre giorni al mese. Sembra poco ma per noi la vita vera è quella e quando lo abbraccio e lo stringo forte e sento che lui c’è, che è vivo e che mi sta abbracciando mi viene da piangere per la felicità. Project, per me, essere gay è stata la cosa più bella che potesse capitarmi.
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