lunedì 10 ottobre 2011
ACCETTARE UNA IDENTITA’ GAY DOPO I 30 ANNI
In
quest’ultimo periodo mi è capitato di ricevere diverse e-mail da parte
di ragazzi più che trentenni che hanno in pratica cercato in ogni modo
di mettere da parte la loro vera sessualità imponendosi una vita almeno
formalmente etero o addirittura eliminando del tutto la dimensione
sessuale dalla loro esistenza e cercando di realizzarsi attraverso il
lavoro. Con alcuni di questi ragazzi ho anche parlato su msn e,
nonostante le differenze biografiche, tra loro si riscontrano singolari
consonanze di atteggiamenti di fronte alla omosessualità.
Un
elemento assolutamente costante è l’idea che la propria omosessualità
costituirebbe per i genitori una realtà traumatica e inaccettabile,
ragion per cui l’argomento sessualità e in particolare l’omosessualità è
accuratamente evitato in ogni situazione di possibile dialogo
familiare. Si tratta di ragazzi gay non solo non pubblicamente
dichiarati ma, salvo rarissime eccezioni, di ragazzi che non hanno mai
parlato della loro sessualità con nessuno e per questo in una situazione
di stress notevole. Lamentano tutti l’assoluta mancanza di amici e un
senso di solitudine desolante al limite della depressione ma nello
stesso tempo covano nel profondo sogni di evasione e meditano su
possibili vie d’uscita. Alla fine prevale un atteggiamento fatalistico
di rinuncia, ma non di rinuncia serena, ma invece di rinuncia per
effetto di una specie di costrizione inevitabile, quasi una specie di
maledizione biblica.
I
possibili esiti di situazioni del genere, lasciate a se stesse, sono in
pratica due: o lo scivolamento progressivo verso forme di vera
depressione, di totale passività e di cronica malinconia, o la ricerca
esasperate e rischiosa di soluzioni improbabili del problema, tramite
quelle che a una persona che non conosce realmente la realtà gay,
appaiono come le uniche vie verso una realizzazione di sé, parlo dei
siti di incontri, delle chat erotiche e dei locali, che per ragazzi come
quelli dei quali stiamo parlando sarebbero un ulteriore e
insormontabile ostacolo con tutto un seguito di sensi di inadeguatezza e
di frustrazioni.
Chiediamoci
innanzitutto: che visione hanno questi ragazzi più che trentenni della
omosessualità? La risposta è quasi automatica: ne hanno l’immagine che è
stata loro trasmessa dall’ambiente familiare, in termini di disvalore, e
l’immagine trasmessa dai media, in termini di comportamenti, tra
l’altro le due immagini non sembrano affatto dissonanti e il giudizio
negativo sulla omosessualità di conferma ulteriormente. Da lì a dire “io
sono sbagliato” il passo è breve e “se poi mi sento comunque attratto
verso quel mondo mi sento ancora peggio”.
Come
in tutti i problemi di carattere psicologico, una volta individuata la
causa, si comincia un lavoro di razionalizzazione e di presa di
coscienza che parte dal fornire innanzitutto una visione realistica
della omosessualità e, in particolare, di quella dei gay non dichiarati,
che pur essendo invisibili, costituiscono la grande maggioranza degli
omosessuali. Credo che tutti i gay abbiano chiara coscienza del fatto
che ancora oggi, nel 2011, è estremamente difficile trovare informazioni
serie sul tema e ancora più difficile è che la televisione affronti
questi problemi fuori della logica del gossip. In pratica, per un gay
non dichiarato, trovare notizie serie su come vive la maggioranza non
dichiarata dei gay è quasi impossibile. La priorità va data quindi ad
una informazione seria sul tema della omosessualità non in astratto, ma
come rappresentazione di vissuto reale, perché solo così emerge il
concetto di “omosessualità come normalità”. È ovvio che questo concetto
non la lo stesso supporto sociale che ha l’idea di “eterosessualità come
normalità” e quindi, per un gay non dichiarato, tanto più se molto
chiuso nel proprio ambiente, l’idea di “omosessualità come normalità”
non è affatto facile da interiorizzare. Molti gay, e lo dico con
rammarico, sono tuttora convinti che la loro sessualità abbia qualcosa
di intrinsecamente patologico, ed è proprio su questo che bisognerebbe
lavorare prima che su qualsiasi altra cosa. Come si fa a rendersi conto
che la omosessualità è una condizione normale di vita? Certamente le
affermazioni di principio lasciano il tempo che trovano, c’è invece una
strada naturale per arrivare a quella conclusione ed è avere la
possibilità di conoscere ragazzi gay non dichiarati che vivono
tranquillamente la loro vita, in coppia o no, ma la vivono serenamente
dando alla loro omosessualità il senso non di una condanna ma di un
valore che connota profondamente l’identità personale e dal quale non ci
si vorrebbe staccare per nessun motivo. Permettetemi un esempio che
potrebbe risultare strano per un gay ma in fondo è significativo: se una
persona ha in mente che i cani sanno solo mordere c’è un solo modo per
convincerla che con un cane si può avere un rapporto affettivo profondo
ed è mostrare a quella persona come si può giocare con un cane e
coinvolgerla direttamente nel gioco. La paura pregiudiziale si supera
solo attraverso l’esperienza che dimostra che si tratta appunto di
effetto di pregiudizi.
Per
un ragazzo che non ha mai avuto amici e, a maggior ragione, non ha mai
avuto amici gay, poter parlare con dei ragazzi gay in tutta
tranquillità, con la garanzia dell’anonimato, rappresenta una svolta
epocale. I pregiudizi cadono progressivamente attraverso la creazione di
rapporti di amicizia. Ci vorrà un po’ di tempo ma alla fine ci si
arriva.
Il
muro della solitudine che rappresenta la prigione di questi ragazzi si
sgretola quando essi si rendono conto di non essere soli, che ci sono
moltissimi ragazzi che hanno vissuto e vivono tuttora problemi molto
simili ai loro, che con quei ragazzi è possibile stringere rapporti di
amicizia vera che non è finalizzata ad altro che allo stare entrambi
meglio. Ogni forma di amicizia è uno scambio affettivo bilaterale.
Sono
profondamente convinto sulla base dell’esperienza, e Progetto Gay me ne
ha date molte conferme, che da soli non si sta bene, per stare bene
bisogna sentirsi inseriti in una rete di rapporti affettivi seri, come
quelli della famiglia, delle amicizie e anche ma non esclusivamente
quelli con il proprio ragazzo. Le amicizie gay tendono a ricostruire
l’immagine della omosessualità nella mente di un ragazzo che l’ha sempre
vista come un disvalore. Le amicizie si possono costruire anche in
chat, e possono benissimo non essere cose banali ma, ovviamente, le
amicizie che si concretizzano in una conoscenza e in una frequentazione
personale, anche se episodica, hanno certamente ben altro peso. Bisogna
che i ragazzi che devono ricostruire la loro immagine della
omosessualità si rendano conto che tutto questo non solo è possibile ma è
addirittura facile. Capita che con i ragazzi del Progetto ci si
incontri per una pizza o per una passeggiata in città, gli argomenti
affrontati sono lo studio, il lavoro, la vita sociale, la
politica,l’attualità e “anche”, se capita, qualcosa che ha a che vedere
con l’omosessualità, che non è certamente l’argomento centrare della
conversazione. La normalità di questi pomeriggi e di queste serate per
certi ragazzi è sinonimo di banalità perché questi ragazzi non cercano
una forma di amicizia e basta ma sono più o meno consciamente proiettati
verso l’idea di trovarsi un ragazzo, cosa che, al limite, potrebbe pure
accadere, ma non è assolutamente la regola. Amicizia significa poter
passare una serata tranquilla tra amici, sapere che non si è soli, che
gli altri ragazzi condividono con noi aspetti fondamentali della vita.
Vorrei
riportare qui la mia esperienza diretta nel parlare con questi ragazzi.
L’impressione che ho riportato pressoché sempre è di un forte disagio
iniziale, come se si facesse forza a se stessi per portare avanti la
conversazione, ma una volta rotto il muro della iniziale diffidenza il
dialogo diventa serissimo e si capisce che corrisponde ad una esigenza
profonda e repressa per moltissimo tempo. In pratica attraverso msn
questi ragazzi si rendono conto che la realtà gay è una cosa seria della
quale non si deve avere paura, che con un gay si può parlare benissimo
e, anzi, è in grado di capirti come altri non potrebbero fare, parlo in
particolare di psicologi o psicoterapeuti che non sono omosessuali e che
trattano anche di omosessualità a livello professionale. Osservo spesso
che questi ragazzi tendono ad accentuare molto il peso di questioni che
non sono di fatto i problemi di fondo di un gay, tendono ad andare
indietro nel loro passato alla ricerca della causa della loro
omosessualità e si stupiscono quando cerco di mettere in chiaro che
bisognerebbe ricercare invece la causa della rimozione della loro
omosessualità.
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