mercoledì 22 ottobre 2008

GAY E USO DELLA CATEGORIA DI PATOLOGICO

Mi è capitato giorni fa che un ragazzo, leggendo un mio post, mi abbia detto che si era sentito “un caso patologico”, nel corso della successiva discussione la sensazione si è affievolita ma non è sparita del tutto, quel ragazzo, in sostanza, mi rimproverava di usare o di sottintendere troppo facilmente la categoria di patologico. D’altra parte, altri mi hanno fatto notare che alcuni comportamenti dei quali ho trattato “sono evidentemente patologici” e richiedono interventi specialistici mirati e in sostanza mi hanno rimproverato di sottovalutare il problema. Quello che scrivo discende direttamente da quello che vedo e col passare dei mesi ho modificato anche radicalmente alcune mie posizioni che non reggevano al confronto con l’esperienza ed ho imparato a diffidare della categoria di “patologico” quando è usata con molta disinvoltura.

Ricordo a tutti i gay che leggeranno questo post che solo nel 1990 l’Organizzazione mondiale della sanità ha ufficialmente cancellato l’omosessualità dell’elenco delle malattie mentali. Nonostante questa pronuncia tanto autorevole quando tardiva e poco convintamente accettata, sono moltissimi che ancora adesso considerano i gay malati di mente. Da questa semplice osservazione si deduce una sola cosa: che il concetto di malattia di mente è stato usato ed è tuttora usato con una tale disinvoltura che è intrinsecamente sospetto di pregiudizi di vario genere.

L’attribuzione dell’etichetta di “caso patologico” con la conseguente destinazione del caso allo specialista, operata spesso in modo del tutto acritico, non identifica ma crea il caso patologico. Quanti ragazzi gay ho visto, avviati dai genitori agli specialisti nel presupposto che fossero “casi patologici” e paradossalmente con la finalità di aiutate quei ragazzi a risolvere il loro problema! Uno specialista serio non appiccica etichette ma valuta se ciò che gli è stato presentato come patologico lo è veramente. Conosco psichiatri e psicologi seri, con alcuni ho rapporti di vera amicizia. Bene, questi specialisti sono assai poco disponibili a compiacere le richieste dei genitori che intendono che il loro figlio sia seguito perché omosessuale. Mi è capitato più di qualche volta di discutere con specialisti circa i problemi di orientamento sessuale. In una discussione seria, tanto più su questi temi, non vale alcun principio di autorità ma esclusivamente il confronto con l’esperienza da punti di vista diversi. Mi è capitato più di qualche volta che psicologi non gay cercassero di capire, parlandone con me, alcune tipicità del modo di essere dei gay.

Sempre più spesso vedo psicologi perplessi rispetto ad approcci tradizionali come la psicoanalisi mentre cresce il favore verso approcci molto meno strutturati, cioè verso dimensioni meno formalizzate e medicalizzate di intervento psicologico. Aggiungo che l’uso della categoria del “patologico” da parte degli specialisti seri è assai più restrittivo di quello diffuso tra i profani e soprattutto dipende da elementi clinici oggettivi che vanno molto al di là della osservazione di un semplice comportamento. La categoria del patologico nell’ottica degli specialisti seri è una categoria seria della quale non è lecito abusare.

Tutti noi, per la nostra stessa natura umana, siamo deboli (specialmente quelli che pensano di essere forti). Se penso a me personalmente non riesco a pensare di essere migliore (o peggiore) di altri, ma solo di essere stato più (o meno) favorito dalle circostanze. Le cosiddette qualità di un individuo sono solo parzialmente e ipoteticamente caratteristiche intrinseche di quell’individuo. Lo stesso individuo in diversi contesti avrebbe prodotto esiti completamente diversi.

L’esperienza diretta porta spesso a mettere in crisi le certezze. Devo dire che di pregiudizi ne avevo eccome ma sono stato costretto a metterli da parte perché l’evidenza dei fatti era in tutt’altra direzione. Ero abituato a dare pregiudizialmente etichette di caso patologico a questo e a quello, accreditando me stesso di una generale patente di normalità. Parlare con alcune persone che in astratto averi definito casi patologici (sono cose rare ma capitano) mi ha fatto capire che sofferenza e disagio non significano affatto patologia. La stragrande maggioranza delle situazioni di disagio, ivi comprese la grande maggioranza di quelle che sono comunemente considerate patologiche, non sono affatto patologiche e possono essere superate senza ricorrere ad alcun intervento psicologico formalizzato e strutturato del tipo della terapia psicanalitica. Vedo ogni giorno direttamente come socializzare produca un netto miglioramento delle condizioni di vita delle persone. Come l’istaurarsi di rapporti affettivi importanti modifichi radicalmente la coscienza di sé e provochi un’autentica rinascita. Trovare un amico vero con cui confidarsi produce effetti altamente positivi e aiuta a vivere meglio. Anche uno scambio su msn o su una chat può avere un valore enorme se costituisce realmente un contatto personale.

Non dimentichiamo che le etichette di patologico creano certamente sofferenza e possono indurre una falsa coscienza di malattia dove non ci sono realmente elementi patologici.

Come è ovvio, ciò che ho detto non ha alcuna pretesa di scientificità ma è solo la sentesi della mia personale esperienza.

Se volete, potete partecipare alla discussione su questo post aperta nel Forum di Progetto Gay:

http://progettogay.forumfree.net/?t=33343004

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