venerdì 3 febbraio 2012
GAY E REPRESSIONE DELLA SESSUALITÀ
Questo post mira ad illustrare le cause ed i meccanismi del
rifiuto della omosessualità da parte di ragazzi che sono o sono stati
pienamente consapevoli di essere gay. “Sì io sono così, ma non voglio essere
così!”. Il rifiuto della omosessualità sintetizzato in questa frase si presenta
come un atto volontario e libero di scelta ma la realtà è del tutto diversa. La
repressione familiare e sociale della omosessualità ne impedisce ogni libera manifestazione
al punto che la coscienza familiare e sociale finisce per sostituire la coscienza
individuale nella motivazione delle scelte, fino a portare un ragazzo a
rinunciare ad avere la sua coscienza personale pur di non essere espulso del
gruppo.
Esaminiamo separatamente i rapporti interpersonali che
portano alla abdicazione alla coscienza individuale. Partiamo dall’ambiente
familiare. “Odio i miei genitori perché se sono gay è colpa loro! Mi hanno
sempre assillato con l’idea di avere una ragazza e così mi hanno portato a
pensare che stare con una ragazza fosse un dovere e ho finito per odiare
perfino l’idea di stare con una ragazza, ma se loro non si fossero impicciati
non sarebbe stato così. Avevo un amico e gli volevo bene, ma hanno cominciato a
dire che non dovevo uscire con lui ma con una ragazza, che quel ragazzo mi
avrebbe portato sulla cattiva strada, e io, pur di fare il contrario di quello
che volevano loro, con quel ragazzo ho passato tantissimo tempo. È cominciato
tutto così, alla fine per me c’era solo quel ragazzo”. Chi scrive queste parole
rimprovera i genitori di essersi intromessi pesantemente nella sua vita privata
apparentemente proponendo ma sostanzialmente tentando di imporre dei valori che
avrebbero portato di conseguenza “per reazione” verso l’omosessualità. Come si
vede, questo ragionamento mira alla ricerca di “colpe” che avrebbero portato
alla omosessualità. In realtà, però, gli elementi centrali del discorso restano
due “l’omosessualità è un male”, “l’omosessualità è la conseguenza di
comportamenti sbagliati”. Queste due ultime affermazioni sono il segno che i
valori della morale familiare e sociale sono stati profondamente interiorizzati
e in pratica la sola reazione che si verifica consiste nel dire ai genitori: “La
colpa non è mia ma vostra!” Ma l’idea che l’omosessualità sia una male è
talmente interiorizzata che il figlio arriva ad odiare i genitori per avergli
procurato questo male gravissimo. Di fronte al teorema della morale familiare: “L’omosessualità
è una cosa molto brutta e ti ci sei cacciato per colpa tua” la reazione arriva
a negare solo la seconda parte di questa affermazione: “Non è vero che la colpa
è la mia, la colpa è vostra!” Lo stesso uso del concetto di colpa e della
omosessualità come conseguenza di una colpa sa molto mi morale religiosa. Un
ragazzo sessualmente represso che abbia interiorizzato la morale familiare non
accusa i genitori di avergli impedito di essere gay ma anzi li accusa di averlo
fatto diventare gay “per reazione”. Naturalmente in queste situazioni ci sono a
monte delle carenze familiari molto pesanti o quanto meno della forme di
ignoranza grave che si manifesta in interventi educativi di tipo repressivo. L’educazione
ha come elemento fondamentale il dialogo e il rispetto reciproco, che in queste
situazioni vengono meno, in buona sostanza queste famiglie sul piano affettivo
non sono neppure famiglie.
In modo simile si dà abusivamente il nome di amicizia a dei
rapporti, più di gruppo che interpersonali, nei quali manca del tutto la
dimensione affettiva e l’unico valore riconosciuto è l’appartenenza al gruppo. È
il caso tipico dei gruppi di ragazzi che trovano la loro coesione nel fatto di
passare molte ore insieme in giro per la strada o nei bar. Specialmente nei piccoli
paesi dove tutti si conoscono, far parte di questi gruppi è praticamente un
obbligo al quale è impossibile sottrarsi. Quando un ragazzo gay sessualmente
represso dice: “Esco con gli amici” dovrebbe dire invece: “Siccome non voglio
rimanere in casa per nessun motivo perché in casa non potrei comunque avere
neppure un minimo di libertà, tento di integrarmi nel gruppo”. Nel gruppo, in
assenza di rapporti seri di carattere personale, si parla di sport, di politica
e ovviamente di ragazze e per integrarsi nel gruppo è necessario conformarsi al
modo di fare e di ragionare di gruppo, quindi è necessario essere etero perché
il gruppo combina uscite del sabato sera, appuntamenti in discoteca e simili ma
sempre e solo seguendo una logica etero. Con questi “amici” un ragazzo gay può
integransi solo fingendo di essere etero o meglio (cioè peggio) “volendo”
essere etero ad ogni costo.
Quali possibilità di confronto o di dialogo minimamente
serio ha un ragazzo che si senta gay in situazioni del genere? Praticamente e
paradossalmente ne ha una sola e cioè creare, nei limiti del possibile, un
rapporto autentico con una ragazza e qui viene la parte più delicata del
problema della repressione sessuale. Mettersi con una ragazza non è solo una scelta di facciata o la
risposta obbligata alle richieste espresse o tacite della famiglia o del gruppo
ma è praticamente l’unico modo che un ragazzo gay sessualmente represso ha di
creare un rapporto che abbia un contenuto affettivo reale. Un ragazzo gay,
proprio per il fatto che dimostra in genere un atteggiamento diverso nei
confronti della ragazze, molto più legato a una ricerca di dialogo che ad un
approccio immediatamente sessuale, con le ragazze ha in genere un certo
successo. Per un verso è portato a vivere il rapporto con una ragazza come una copertura
sociale ma per l’altro si rende conto che con una ragazza un rapporto affettivo
vero è possibile e non è raro il caso che questi rapporti affettivi diventino
molto importanti, anche se per motivi diversi, sia per la ragazza che per il
ragazzo gay. La ragazza ci vede una bellissima storia d’amore, il ragazzo una
reale possibilità di dialogo. Il dialogo in genere si approfondisce e col
passare del tempo la ragazza alimenta sempre di più la speranza che quel
rapporto arrivi finalmente a manifestasi anche sotto forma di interesse
sessuale ma la cosa tarda ad accadere. Le ipotesi possibili a questo punto sono
due, o il ragazzo tenta un approccio sessuale con la ragazza che, date le condizioni
di particolare calore affettivo, potrebbe benissimo avere un risultato almeno
in parte positivo portando il ragazzo all’idea di una ritrovata
eterosessualità, o il ragazzo mette da parte del tutto la possibilità di un
contatto sessuale con la ragazza e arriva a pensare di poterle confidare di
essere gay. Ovviamente si tratta di due ipotesi molto diverse ma non è raro il
caso che si possano presentare una dopo l’altra.
Quando un ragazzo arriva a dire alla ragazza con la quale ha
costruito un rapporto affettivo serio di essere gay in genere si sente sicuro
che l’esito non sarà distruttivo del rapporto e infatti spesso il rapporto
sopravvive al coming out. La ragazza, se è realmente innamorata, tende a non
dare alla dichiarazione del ragazzo un peso troppo grande, vede che il ragazzo
la cerca, sta bene con lei e pensa che la “fase gay” sia in via di risoluzione
e che con po’ di pazienza tutto si aggiusterà, cosa che però non accade e, superata
la fase del coming out, in assenza di segnali sessuali incoraggianti, la
ragazza gradualmente tende ad allentare i rapporti, tanto più se vede spesso il
ragazzo distratto da altri interessi, non è raro il caso che si arrivi a una
rottura traumatica, in genere perché il ragazzo accusa ingiustamente la ragazza
di volerlo condizionare e di togliergli la libertà. Tuttavia il rapporto con la
ragazza in questi casi ha un valore estremamente positivo perché rafforza nel
ragazzo l’idea di essere gay, non sono però rari i casi in cui, anche dopo il
coming out con la ragazza, il ragazzo rinnega del tutto il suo essere gay e si
impegna con tutte le sue forze per essere etero e per non perdere l’appoggio
della ragazza che ormai giudica indispensabile. In queste situazioni, di fatto,
è come se il coming out fosse annullato. Ci sono ragazze che mantengono in
queste situazioni un atteggiamento possibilista ma prudente e ce ne sono altre
che ci ravvisano una ormai chiaramente avvenuta conversione eterosessuale del
ragazzo. In ogni caso la situazione torna a livelli di maggiore ambiguità.
Le situazioni più complicate non sono però quelle in cui si
arriva ad un coming out del ragazzo nei confronti della ragazza ma quelle nelle
quali si arriva a costruire una relazione anche sessuale tra il ragazzo e la
ragazza. Queste relazioni per la ragazza hanno, a maggior ragione per la
presenza del coinvolgimento sessuale, la valenza di vere storie d’amore, mentre
per il ragazzo sono dei classici esperimenti sessuali in cui ci si mette alla
prova. Se la prova è superata, cioè se c’è un coinvolgimento sessuale che
permetta di arrivare fino in fondo, il ragazzo si sente gratificato, perché ha
superato il suo esame e ha ottenuto la sua patente etero, la ragazza lo vede
sinceramente soddisfatto e attribuisce quella soddisfazione al coronamento di
un sogno d’amore anche da parte del ragazzo, mentre il primo motivo di
soddisfazione per il ragazzo è costituto dal potersi finalmente considerare
etero. In questa relazione che ormai ha anche dei risvolti sessuali il ragazzo
non tende a prendere l’iniziativa, o lo fa solo per mettersi ulteriormente alla
prova e soprattutto, per il ragazzo, avere rapporti sessuali con la ragazza non
rappresenta tutta la sessualità perché anche in presenza di possibilità
concrete e di facile realizzabilità di rapporti sessuali con la ragazza, il
ragazzo non sfrutta a pieno quelle possibilità e conserva una sessualità
masturbatoria totalmente orientata in direzione gay, anche con l’uso di pornografia
gay. Questo fatto è in genere interpretato dal ragazzo come un vizio che
bisogna togliersi. Tuttavia, dopo i primi tempi, i rapporti con la ragazza
tendono ad andare in crisi, il ragazzo si sente insoddisfatto da “quella”
ragazza ed è portato a seguire la logica etero del cambiare ragazza. All’esterno
tutto questo comportamento appare come tipico di un ragazzo etero, l’integrazione
familiare migliora e così quella all’interno del gruppo degli “amici”, ma la
masturbazione in chiave gay resta, l’uso di pornografia gay resta e l’omosessualità
tende sempre più ad essere considerata come un vizio nato per reazione ad
errori educativi della famiglia: “Se i miei non si fossero messi in mezzo io
adesso sarei felice, ho una ragazza che mi vuole bene e non mi mancherebbe
nulla”. In questa espressione non si dice “sono innamorato di una ragazza” e
nemmeno “voglio bene a una ragazza” ma “ho una ragazza che mi vuole bene” il
che è decisamente diverso. In queste situazioni viene meno anche l’idea di
essere gay, e se anche quell’idea aveva portato in precedenza il ragazzo al
coming out verso la ragazza, il coming out viene del tutto rimosso. Una ragazza
mi ha scritto: “Lui prima mi ha confessato di essere gay, di masturbarsi
pensando ai ragazzi e di fare uso di pornografia gay, però poi tra noi le cose
sono andate molto bene anche sul piano sessuale e quando gli ho chiesto se si
sentiva ancora gay ha detto che io non avevo capito bene e che erano solo dubbi
come quelli che vengono a tutti i ragazzi e che lui gay non ci si è sentito mai”.
Che cosa può fare una ragazza in una situazione simile?
Credere che la “fase gay” sia realmente superata e che si possa magari dare al
rapporto una dimensione più ufficiale attraverso una presentazione del ragazzo
ai genitori della ragazza, nella prospettiva di un futuro matrimonio, sembrerebbe
la via più naturale e in genere il ragazzo è, almeno inizialmente, favorevole a
questo tipo di scelta che non fa che confermarlo nell’idea di essere etero e
gli attribuisce per di più la qualifica sociale di fidanzato ufficiale. In
realtà tuttavia qui cominciano a manifestarsi le debolezze del rapporto. Il
ragazzo prima dice di sì, poi ci ripensa e si rende conto che potrebbe
chiudersi in una trappola, ma non perché si sente gay, questione che gli sembra
ormai superata, ma perché quella “potrebbe non essere la ragazza giusta”. Il
teorema del “potrebbe non essere la ragazza giusta” può salvare il ragazzo dal
matrimonio una o due volte, ma quando l’età avanza il passo decisivo non si può
più eludere e così si arriva anche al matrimonio che sembra il coronamento
perfetto di una storia tipicamente etero, turbata solo da qualche incertezza di
orientamento sessuale ancora di tipo adolescenziale e dal permanere di una
masturbazione in chiave gay, che non mai sparita del tutto ma è stata degradata
al livello di vizietto che non potrà comunque mettere in crisi la serenità di
un matrimonio, tanto più se allietato dalla nascita di figli. Non è raro che
prima del matrimonio arrivi un minimo di resipiscenza e che il ragazzo senta l’esigenza
di confidarsi e di chiedere consiglio e qui, spesso, sedicenti esperti gli
offrono tutto il loro sostegno nel trovare che per certe “stupide fantasie” il
matrimonio è il rimedio migliore e che tutto sarà certamente risolto dalla
pratica della vita matrimoniale. Nei primi tempi le cose sembrano
effettivamente andare così e possono anche restare per lunghi periodi a questo
livello ma poi il senso di insoddisfazione si fa sentire. Le mogli si rendono
conto che c’è qualcosa che non va, il
dialogo coi mariti è in crisi e non si capisce perché, i mariti sono nevrotici,
ansiosi, hanno bisogno di un sostegno psicologico, cominciano a strare
parecchio tempo fuori casa, talvolta anche di notte, ricevono sms che non
aprono subito e telefonate che si riducono a uno “Scusami, ora non posso, ti
richiamo io” oppure le mogli scoprono nei computer dei mariti tracce dell’uso
di pornografia gay o messaggi amorosi scambiati con uomini e a quel punto il
matrimonio è in crisi totale.
In sintesi: negare la propria sessualità produce alla lunga
effetti negativi ai quali è molto difficile trovare un rimedio.
___________
Se volete, potete partecipare alla discussione di questo post aperta sul Forum di Progetto Gay: http://progettogayforum.altervista.org/viewtopic.php?f=17&t=2211
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