martedì 28 agosto 2007

QUESTI LEONI 3


QUESTI LEONI 3
ROMANZO GAY 1986

CAPITOLO 3
DICHIARAZIONE D'AMORE


(I CAPITOLI SUCCESSIVI SARANNO PUBBLICATI IN QUESTO BLOG TRA POCO)


Quella frase così naturale, tanto desiderata e non sollecitata, mise Angelo in uno stato di ebbrezza sublime, la vita in attesa di una telefonata di Marco già annunciata era l’attesa della felicità. Marco rientrò a casa sereno, sentiva che Angelo avrebbe lasciato qualsiasi cosa per restare a parlare con lui un pomeriggio, era la prima volta che provava la segreta profonda certezza di non essere solo.
Angelo aveva perduto da tempo l’abitudine di sublimare, viveva il suo rapporto con Marco in modo cosciente e per questo forse pieno di ansie e di esitazioni, da un lato considerava Marco come qualcosa di sacro e dall’altro lo considerava anche nella prospettiva di una intimità più spinta, ne era insomma innamorato e la prudenza che quell’amore gli dettava gli costava sangue. Marco non si poneva proprio il problema, stava bene e basta, rifiutava di definire e di sognare, sapeva che avrebbe sempre avuto la massima libertà, avrebbe potuto telefonare ogni giorno, ma se non avesse voluto non avrebbe ricevuto telefonate. Marco pensava realmente che quell’amicizia così strana fosse solo una vera amicizia e che da parte sua almeno avrebbe potuto farne a meno se avesse voluto... ma perché avrebbe dovuto farne a meno se in fondo si stava bene così? Marco provava un vago senso di superiorità, ma non era questo che lo faceva stare bene, si sentiva al sicuro, si sentiva in presenza di una persona che lo avrebbe ascoltato per ore, che lo stimava, che era felice di stargli vicino... perché definire con parole precise queste sensazioni? Marco non aveva paura, la paura di Angelo lo interessava più dello schema del loro rapporto e anche lui sarebbe stato con Angelo senza parlare, anche lui gli voleva bene.
Angelo attese la telefonata col segreto timore che potesse non arrivare, ma la telefonata arrivò.
- Ciao!
- Ciao.
- Che fai?
- Sto parlando con te.
- Bene, bene! Senti ti vengo a trovare... va bene.
- Benissimo, dimmi quando arrivi, che cerco di mettere un po’ d’ordine.
- Arrivo subito, sto qui sotto.
- Ah!
- ... Ecco, adesso arrivo.
Angelo cercò di essere un lampo nel sistemare un po’ di cose ma Marco fu più veloce di lui.
Angelo andò ad aprire, il corridoio era stretto, non si diedero la mano ormai era una regola. Angelo si schiacciò contro il muro nel tentativo di lasciare più spazio a Marco, Marco lo notò:
- Ma guarda che ci passo... c’è uno strano odore qui dentro!
- Proprio brutto eh?
- No! Odore di vecchio, di casa vecchia...
Entrarono nel salotto-studio, un tavolo pieno di libri e di carte, un divano e due poltrone. Marco si sedette suldivano, Angelo sulla poltrona più lontana.
- Senti ma tu vivi solo?
- Sì.
- E come si sta a stare soli?
- Ci si fa l’abitudine... si sopravvive, ci sono i libri, le carte, sono cose che servono molto e poi sto bene così.
- Senti, posso aprire la finestra o ti da fastidio?
- C’è proprio un brutto odore?
- No! Però mi va di aprire la finestra...
Girò un po’ per la stanza guardando attentamente ogni cosa, poi aprì la finestra.
- E’ vero sai, che se uno vede la casa di un altro capisce tante cose... posso curiosare un po’?
- Fai pure, tanto le cose compromettenti le ho nascoste...
- Allora non c’è gusto.
- Se mi aspetti un attimo solo arrivo subito.
Angelo si avviò verso la cucina, Marco accennò a seguirlo
- Vengo pure io...
- No, ti prego, stai lì. Faccio proprio subito.
Angelo rientrò con un cabaret con sopra delle lattine di birra e dei biscotti.
- Ecco, almeno non hai visto la confusione della cucina.
- Tu ti formalizzi troppo.
- Birra o birra? Non c’è molta scelta.
- Fai tu.
Angelo aprì la lattina, versò la birra nei bicchieri, prese il suo ma non porse il bicchiere a Marco.
- Mi passi il bicchiere?
- Angelo prese l’intero cabaret e lo porse a Marco, Marco sottolineò la manovra con un sorriso di contenuto stupore.
- Senti, ma ti viene a trovare molte gente? Qui, intendo.
- Praticamente nessuno, questa è un po’ come una tana calda, va bene per nascondersi, è troppo mia.
- Ti da fastidio che sono venuto qui e pure improvvisamente?
- No, con te non mi sento a disagio, in qualche modo non ti sento una persona estranea. Mi va bene così.
- Mh! E tu dove dormi?
- Qui, nella stanza accanto.
- Me la fai vedere?
- Ma è un disastro.
- No, no, no, dai, dai, andiamo, fammela vedere.
- E va bene... ecco!
- Che strano letto!
- Ce ne è un altro sotto, per questo è così.
- Va be’, torniamo di là, però sono stato contento che non hai detto di no, vuol dire che ti fidi.
Marco andò a risedersi sul divano, ma aveva un’aria triste, come per un momento di smarrimento...
- Che c’è? C’è qualcosa che non va?
Marco non rispondeva, incrociò le dita e le fece scrocchiare, non era sereno e non riusciva a parlare.
- Marco, ma che c’è? Ho detto qualche cosa stupida? Dimmelo, ti metto in difficoltà? Vuoi che usciamo? Che andiamo da qualche parte? Vuoi stare solo? Dimmi che c’è...
- No, non voglio niente, sto bene così.
- Non mi mettere in difficoltà, ti prego, parla.
- Non ci riesco.
Poi si alzò, si girò verso la finestra, tirò fuori un fazzolettino di carta e si asciugò gli occhi, quindi tornò a sedersi sul divano.
- Non ci fare caso, è un momento, poi passa.
- Che c’è Marco?
- Niente, non lo so neanch’io.
- Marco, ma tu stai a disagio?
- Macché, non ti fare problemi, ché proprio non è il caso.
- Se posso fare qualche cosa, qualsiasi cosa, dimmelo.
Un’altra lacrima venne fuori dagli occhi di Marco, l’asciugò con la mano.
Angelo si sentiva sconvolto e restava inchiodato alla poltrona. Rimase in silenzio assoluto, temeva quasi di respirare. Poi Marco riprese.
- Dai, non stare zitto, adesso dimmi che cosa hai pensato.
- Ti posso dire che mi sento tremare, sono pochi quelli che riescono a piangere, sono felice che tu ti senta libero fino al punto di piangere davanti a me, può sembrare assurdo, ma sono felice che ci sei. Non so dire altro, mi sento pure io molto fuori fase.
Angelo avrebbe voluto chiedere molte cose ma non lo fece e Marco gliene fu grato.
- Si sta bene qui, non ci sono rumori, sembra quasi di non stare in città, c’è tanto silenzio. Senti, mi regali un libro... quello che vuoi tu.
- Scegli tu quello che vuoi.
- Se lo scelgo io parla di me, ma se lo scegli tu parla di te.
- Hai ragione. Ti piace Pavase?
- Le poesie molto, i romanzi li conosco poco.
- Allora leggi questo: “La spiaggia”, piccolo ma a me piace molto.
- Ma tu sei figlio unico?
- No, ho un fratello che ha dieci anni più di me e lavora a Milano e ha due bambine, quindi sono pure zio, uno zio paperino... un po’ da fumetti, però nel complesso...
- Senti ma tu stai solo perché lo vuoi tu? ... cioè, c’hai mai pensato che potresti non stare solo?
- Sì, ma tra i sogni e le realtà c’è differenza.
- Cioè?
- Cioè non bisogna proiettarsi troppo lontano, ché poi ci si resta malissimo...
- Ma a te ti è mai capitato?
- ... No... delusioni vere non ne ho mai avute... basta essere prudenti prima... senti ti posso chiedere una cosa?
- Dai!
- Ma tu al futuro ci pensi mai?
- Il futuro? ... E tu ci pensi?
- No, penso solo che se tutto andrà nel migliore dei modi dopo sarà come adesso, per me non cambierà niente.
- Ma tu vorresti che cambiasse qualche cosa?
- Non lo so, certe volte penso che sto bene così e che le cose che ho, cioè anche le sensazioni, i sentimenti che provo sono belli e non credo che ci sia veramente molte gente che sta veramente meglio di me, è vero che qualche volta mi sento solo, ma mi capita solo quando mi fermo a pensare troppo, a sognare...
- Ma a sognare che cosa?
- Mah! Che vuoi sognare! Devi stare coi piedi per terra, non c’è molta scelta, è così e basta.
- Ma quando eri più giovane eri così lo stesso?
- Forse pure più intransigente, meno capace di rischiare, con tante paure in più.
- Ma paura di che?
- Mah! Paura della gente, paura di restarci male, di perdere la faccia, la rispettabilità esterna... non si tratta di paura fisica ma di abitudine a evitare, a mettere da parte, a trascurare le cose che invece mi piacerebbero veramente.
- Senti, ma tu di me che pensi?
- Pensare vuol dire anche ragionare su dati di fatto, per quello che ti conosco posso parlare più di impressioni... anzi una cosa mi è venuta in mente ieri: se non fossi me stesso mi piacerebbe essere Marco... io non so come sei veramente però vorrei essere Marco.
- E perché?
- Perché mi sembra che sia così, vedi, io non ragiono per categorie ma per sensazioni... mi piacerebbe essere come sei tu...
- Bene, è una cosa bella sentirselo dire... senti, usciamo un po’?
- Un attimo che prendo la giacca.
- No, stiamo qui!
- Ma vuoi stare o vuoi andare?
- Restiamo qui, dai! Ce l’hai una sigaretta?
- No, non fumo.
- Scendiamo un attimo a comprarle?
- No, dai, evita di fumare, ché ti fa male.
- E che vuoi che sia una sigaretta?
- Se non è niente fanne a meno.
- Va be’.
Per un attimo gli sguardi di Marco e di Angelo si incontrarono, Angelo girò lo sguardo altrove, Marco rimase a fissarlo.
- Be’? Che c’è? Mi guardi come un fenomeno da baraccone.
- Vorrei capire alcune cose che non riesco a capire fino in fondo.
- Cioè?
- Certe volte penso che in qualche modo mi somigli, le cose che dici mi interessano e certe volte le penso anch’io, però tu parli poco...
- Ah! Io parlo poco! Tu fai solo domande e non parli mai!
- Perché? Ti dispiace?
- No, però se c’è uno che parla poco non sono io.
- Va be’, allora prova tu a chiedere e io ti rispondo.
- Mo’ mi metti nei pasticci.
- Ma c’è qualche cosa che vorresti sapere?
- Sì!
- E allora dai, forza... dai, dillo che t’ho messo colle spalle al muro!
- Ma guarda questo...!
- Adesso devi chiedere.
Angelo avrebbe voluto chiedere il perché delle lacrime ma non lo fece.
- Sono contento che ti vedo così e che hai cambiato umore.
- Zitto! Cambia discorso, dai, fammi qualche domanda.
- Come le passi le giornate?
- Allora... la mattina a scuola, il pomeriggio in giro.
Angelo avrebbe voluto chiedere con chi ma si limitò a chiedere:
- Dove?
- All’Eur, al centro, a viale Marconi, alla Magliana.
- E a fare che?
- Niente, a girare a guardare in faccia la gente... senti adesso mi viene in mente una cosa : ma tu ti sei mai innamorato?
- Mh! Bisogna vedere che cosa significa questa espressione.
- E per te che cosa significa?
- Mah! Non lo so... senti ma perché devo parlare solo io? Parla un po’ tu!
- Per me significa stare bene, sentirsi bene, senza problemi, magari sentire che non si è soli...

Mentre Marco faceva questi discorsi cominciava a intuire che quel ragionamento applicato a lui portava a una strana conclusione e cercò di evitarlo

- ...però non dovrebbe essere questo, uno dovrebbe essere felice...

Avrebbe voluto parlare dell’amore verso una ragazza ma sentì che il discorso era fuori posto. Si sentì improvvisamente a disagio, inquadrò istantaneamente se stesso in una situazione che non gli piaceva.
- Senti, io adesso devo andare via.
Quando ebbe finito di pronunciare queste parole si pentì di averle dette e si corresse:
- Mi accompagni?
- Prendo la giacca,... dove andiamo?
- Devo andare verso l’Eur col 97.
Trascorsero alcuni secondi di imbarazzo.
- Ricordati il libro!
- Ce l’ho in tasca.
- Ma lo leggerai?
- Credo di sì, ma non mi mettere fretta.
- E come ti era venuta l’idea di leggere le poesie di Pavese?
- Mah! E’ una cosa stupida, il prof. di italiano ne ha parlato un po’ in modo strano e allora mi è venuta la curiosità... però sono cose molto belle, ti lasciano proprio una sensazione addosso.
- Lo so... e poi Pavese è anche utilissimo...
- Cioè? Utile a che cosa?
- A continuare a parlare anche quando uno non sa che dire.
- Però! Eh! Non ti sfugge niente!
- Beh, uno certe sensazioni se le sente addosso.
- Dai, dai, lasciamo perdere questi discorsi.
- E allora è meglio che ci stiamo zitti!
- Ah! Questi Leoni! Senti, ce l’hai la tessera?
- Sì...
- Senti, se no, andiamo a piedi.
- Benissimo... però guarda che se vuoi posso pure tornare indietro, va bene lo stesso.
- Questa non mi è piaciuta, a me questi discorsi qui non mi piacciono proprio! Guarda che io parlo chiaro!... Beh! Adesso non stare zitto e non mettere il muso... Senti ma tu te lo sei chiesto perché mi sono lasciato andare prima?
- Quando?
- Hai capito benissimo.
- Se tu ne volessi parlare ne parleresti senza bisogno di una domanda specifica e poi queste cose sono tue...
- Non te ne frega proprio niente eh?
- Guarda che le cose stanno in tutt’altro modo.
- E cioè come?
- Ma perché vuoi tutte queste spiegazioni?
- Ma il mio comportamento ti pare assurdo?
- No, non mi pare assurdo... ma mi spieghi perché mi stai trattando in questo modo?
- ... perché per me è importante vedere come ragioni. Un altro a quest’ora mi avrebbe già mandato a quel paese e tu non lo fai... senti, io sono venuto da te perché mi veniva da piangere e non sapevo dove sbattere la testa e mi ha dato fastidio che oggi pomeriggio sono stato bene, hai capito? Mi hai fatto da droga e a me non piace dipendere da nessuno, però io sono stato bene, hai capito?
- Pure io sto bene, accidenti, sono contento, non me lo aspettavo. Sei grande Marco! Sei grande! Non te lo dico per dire, accidenti, è un pomeriggio meraviglioso... mi dispiace che hai da fare perché mi piacerebbe restare a parlare.
- Ma quello che dici è vero?
- E’ addirittura troppo vero!
- Io non devo andare da nessuna parte, ma tu c’hai da fare?
- Guarda che qualunque cosa dovessi fare la lascerei perdere, adesso ci sto e ci voglio restare.
- Va be’ e forse non c’è proprio bisogno di parlare di niente.
- A me mi sta benissimo pure così.
- La senti la primavera?
- C’è questo venticello e l’erba verde verde, e poi dicono che Roma è brutta!
- Ci sediamo sull’erba?
- Ma non è meglio sulla panchina?
- ... niente, non si lascia mica convincere... va be’... ci sediamo sulla panchina, però non come fai tu... sulla spalliera.
- Marco ma lo sai che sono contento veramente?
- Zitto! Ma tu devi sempre chiacchierare?
- Va be’, cambiamo discorso, però intanto l’ho detto.
Nei pressi c’erano coppiette in atteggiamenti affettuosi, entrambi notarono quella presenza, ma entrambi continuavano a parlare d’altro come se intorno a loro ci fosse stata solo l’aria della primavera.
- Beh?... Sei stanco?
- No.
- Senti, quando avevi la mia età che facevi?
- Ma te l’ho detto.
- Va be’, ripeti!
- Dai, te l’ho detto... e poi hai capito benissimo.
- Benissimo proprio no!
- E tu perché non mi parli di te?
- Perché non c’è niente da dire, è tutto molto banale.
- A me non mi sembra proprio.
- Cioè?
- Adesso non cambiare discorso, sei tu che devi parlare.
- ... ma a me di parlare non mi va, non te la prendere, non mi va e basta... mica è per te... è che proprio è una cosa... no...
- Perché sei venuto a trovarmi oggi?
- Così, per parlare, per stare un po’ insieme... e poi senti, io sono fatto così, non mi piace stare a pensare troppo. Senti, ce ne andiamo di qua, questo posto non mi pace, mi mette tristezza.
Si alzarono e presero un vialetto verso il palazzo dello sport, Angelo restava in silenzio, Marco era teso. Non dissero parola per lunghi minuti, poi Marco riprese:
- Senti, parla tu, io proprio non ci riesco.
- Io vorrei che tu fossi felice, non so che dire quando ti vedo così, vorrei solo che non succedesse... se sono invadente o la mia presenza ti dà fastidio, dimmelo, mi metti addosso una strana malinconia quando stai così.
- Mi dispiace...
- Ma di che? del fatto che riesco a partecipare un po’? Mi sento al di fuori però mica tanto, non è una stupidaggine, mi dispiace veramente vederti così... però in qualche modo, adesso scusa l’espressione, sono pure contento... cioè sono contento che tu riesca ad essere libero già fino a questo punto... è un livello di profondità.
- Senti, ma ti dà fastidio che non parlo di me?
- Ci sono tanti modi per parlare di te...
- Mh!...
- E poi che ti credi che io parlo veramente di me?
- Cioè?
- Cioè io parlo del personaggio esterno, il resto è lontano dal livello della conversazione... cioè io devo offrire una immagine, una maschera, faccio così pure con te...
- Questo l’avevo capito, ma a me sta bene anche così, anzi forse è pure meglio e poi le parole e le spiegazioni non servono a niente... cioè questo non è un fingere, è tutta un’altra cosa... va bene così. O no?
- E’ vero! Però mi dici adesso come stai?
- Mh, così... però non sto male...
- Marco senti...
- Che c’è?
- Volevo dire una cosa.
- E cioè?
- Cioè che mi dispiace che finisce il pomeriggio e devi andare via, perché io sto un po’ sulle spine però sto proprio bene.
- Ma tu perché mi dici queste cose?
- Non mi fare troppe domande.
- Comunque grazie pure io sto bene però ho paura di stare bene, mi sento un po’ strano... Mi trovo fuori dalle regole e mi fa uno strano effetto, è questo che mi lascia perplesso, e anche il fatto che non voglio capire oltre non me lo aspettavo... cioè credevo che avresti reagito in modo molto diverso.
- Lo vedo e ti posso dire che la reazione è ovvia, capita pure a me... cioè no, non è così, io vorrei solo non fare danni, è questo che mi preoccupa.
- Cioè?
- Cioè la mia presenza può lasciare una qualche traccia e siccome non è del tutto neutra, qualche volta vorrei evitare di lasciarle.
- Non ti fare problemi che non è il caso... Senti ma tu hai fatto il militare?
- No, sono stato congedato per esuberanza di contingente, in un certo senso è stata una fortuna perché avrei potuto trovarmi malissimo... però adesso magari, a distanza di qualche anno, mi pare che non è stata poi tanto una fortuna, ho perso l’occasione di fare un po’ di esperienza e adesso mi manca, se potessi, anzi, meglio, se dovessi andarci adesso, ci andrei e penso pure che non ci starei male.
- Ma perché allora pensavi che ti saresti trovato male?
- Tu di gente giovane ne conosci un po’, credi che ci starei tanto bene insieme?
- Beh, dipende, per certe cose non ti ci vedo proprio, però credo che avresti un modo tutto tuo per fare presa.
- Cioè?
- Non lo so... però con te ci si sta bene... senti ma tu ci vai in chiesa?
- No.
- Perché?
- Non mi sembra una cosa vera, almeno per me, mi viene in mente che è la cosa più superflua che esiste al mondo.
- Io fino a qualche tempo fa ci andavo, adesso ancora qualche volta ci vado però non la sento una cosa mia... cioè mi piace leggere la Bibbia anche se certe volte è molto strana e poi quando leggo i vangeli mi vengono tante cose per la testa... penso che tutto quello che dice la chiesa non ha nulla a che vedere con quello che dice il Vangelo che pure certe volte è molto ambiguo.
- A me piace soprattutto il vangelo di Matteo, quello di Giovanni proprio non lo sopporto, è gnosticismo bello e buono, un arzigogolo... preferisco Epicuro.
- Accidenti, è bellissimo, quando ho letto le lettere mi è piaciuto tantissimo, è di una umanità che ti sconvolge.
- ... Non c’è età per filosofare perché non si mai troppo giovani o troppo vecchi per essere felici... e poi tutto il discorso sulla morte che per noi non è nulla...
- Però la gente quando sente parlare di Epicuro pensa ad altro...
- Sì ma la gente che deve capire? E pure certo Orazio... è un epicureismo così equilibrato e sereno...
- Sai che sono contento che ti piaccia Epicuro.
- Perché?
- A me piace proprio tantissimo, però non a livello scuola, interpretato e capito come piace a me, ti dà il senso della misura, dell’equilibrio...
- Però pure quell’equilibrio in fondo non esiste, cioè non ti puoi staccare dai tuoi desideri più profondi, dalle cose è facile, ma dalle idee, dai preconcetti, dalle speranze che ti porti dentro è difficile.
- Mi fai un esempio?
- Che ti posso dire... è difficile cambiare i propri concetti di bene e di male, è difficile sentirsi liberi veramente, è difficile che la coscienza non abbia una via di scampo molto semplice e ovvia, anche quando parte per provare cose molto difficili.
- Senti e per te il male che cosa è?
- Penso che non c’è regola a priori, uno il male o il bene non lo deve giudicare da sé, ma su quello che provoca nell’altra persona, non è la volontà di fare il bene che produce il bene, certe volte uno fa qualche cosa che gli pare bene e che poi fa malissimo a chi la riceve, allora quello ha fatto una cattiveria senza capirlo, perciò è importantissimo che si faccia quello che l’altro intende come bene, altrimenti si può fare malissimo senza accorgersene e con la falsa coscienza di avere pure agito bene... perciò bisognerebbe innanzitutto conoscersi molto bene.
- Sì però ci sono tanti modi di conoscersi, cioè non c’è bisogno di troppe parole, certe volte ci si capisce al volo... o no?
- ... Spero di sì!
Il pomeriggio si concluse con una lunga passeggiata fino all’ultimo autobus, Angelo rientrò a casa subito, per le scale sentì squillare il telefono, andò correndo ma non fece a tempo a rispondere, ci rimase malissimo, ma dopo dieci minuti il telefono squillò di nuovo.
- Pronto.
- Ciao! C’hai da fare?
- No.
- Che stavi facendo?
- Mi ero sdraiato un po’ sul letto e stavo pensando.
- Che stavi pensando?
- Sostanzialmente che sto bene così e che adesso come adesso non credo ci sia gente più felice di me.
- Eh! Non esagerare.
- Non esagero, io mi sento così.
- Ma tu la sera vedi la televisione?
- Se ci sono cose che mi piacciono molto, sì.
- Senti, ce l’hai una Bibbia a portata?
- No, ma me la posso procurare in dieci secondi... fatto!
- Prendi Matteo 17.47... ecco tua madre e i tuoi fratelli...
Parlarono per due ore leggendo brani di Vangelo e discutendo dell’essenza della vita umana. Poi Marco disse.
- Senti, adesso chiudi la Bibbia, aspetta dieci secondi e dimmi che cosa stai pensando...
- ... Sto pensando che ti vorrei chiedere come stai.
- Tutto bene, però ne parliamo un’altra volta.
- Perché?... ho detto qualche cosa che non va?
- Adesso non potrei essere spontaneo, qui c’è gente.
- Va be’, non ti preoccupare, sta’ bene, ci sentiamo un’altra volta.
- Grazie, stai bene pure tu e buona notte.
- Ciao!


I rumori e le voci che provenivano dalla stanza di Marco convinsero Angelo che la telefonata era stata interrotta per cause esterne. Il bilancio di quella giornata era fantastico. Angelo andò a dormire così e si addormentò subito, Marco rimase distratto dalla solita atmosfera familiare, più tardi quando andò a letto si girò verso la finestra donde traspariva qualche riga di luce e rimase a guardare e a pensare. Un altro forse si sarebbe chiesto molte cose sul conto di Angelo, Marco cercò di passare in rassegna i momenti e le frasi più importanti di quella serata, trovava in Angelo per la prima volta una persona capace di vivere in un modo autonomo, Marco già da un po’ di tempo cercava di fare lo stesso. In qualche modo il progetto di vita di Angelo lo interessava come lo interessava quel dialogo così rispettoso e così assurdamente vero. Marco rifletteva, ma al fondo di questa riflessione c’era una speranza.
Quando si è soli si ha sempre torto, quando si è in due comincia la ragione e, in fondo, perché lui e Angelo dovevano tenersi alle loro radici?

Erano loro le radici!

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